Premetto di non avere la minima simpatia per l’ex ministro Lupi. Né come persona (lo considero un nemico del porto di Trapani), né come esponente politico del NCD, un simil-partito nato per consentire ai ministri di Forza Italia del governo Letta di conservare le poltrone anche dopo la presa di distanza di Berlusconi. Ciò premesso, confesso di aver provato per lui un pizzico di solidarietà umana e – non scandalizzi – anche politica.
Due i motivi. Il primo – sottolineato da più parti – deriva dall’essere stato scaricato con tanto poca eleganza dal suo Presidente del Consiglio. La cosa non meraviglia: Renzi è quello di Enrico-stai-sereno. E non solo: Renzi è l’accentratore che – costringendo di fatto Lupi alle dimissioni – ha posto le premesse per porre sotto il suo effettivo controllo il Ministero dei Trasporti e delle Infrastrutture; un Ministero da cui dipendono le appetibili “grandi opere” e che, fino ad oggi, rispondeva a logiche pre-renziane. E – per inciso – do appuntamento ai lettori per uno dei prossimi numeri, per trattare della “filosofia” – sbagliata – di queste grandi opere, ivi compreso il famigerato ponte sullo Stretto.
Che il Pifferaio dell’Arno ci abbia – come suol dirsi – “marciato” è dimostrato dalla inconsistenza degli addebiti rivolti al suo Ministro, peraltro non indagato. A Lupi si rimprovera soltanto di non aver respinto un costoso regalo (il Rolex da 10.000 euro) diretto al figlio Luca in occasione della laurea, e di aver poi sfruttato le sue amicizie per procurare allo stesso un’occasione di lavoro, peraltro nel settore privato ed a tempo determinato. Tutti comportamenti sicuramente ineleganti, ma certo non illegali né soltanto illegittimi. Ciò non vuol dire, naturalmente, che Lupi abbia fatto bene; ma, francamente, certi ipermoralisti da marciapiede avrebbero fatto meglio a scegliere bersagli maggiormente meritevoli delle loro attenzioni.
Ma quello che a me sembra più importante è il secondo dei due motivi che mi fanno guardare a Lupi come ad un semplice capro espiatorio. Dunque – apprendo dai telegiornali – il Ministro delle Infrastrutture avrebbe telefonato al Direttore Generale del suo dicastero, Ercole Incalza, preannunciandogli la visita del figlio; da quell’incontro – secondo la ricostruzione degli inquirenti – sarebbe scaturita per il Lupacchiotto un incarico di direzione lavori in un cantiere della Salerno-Reggio Calabria. Avete capito? Non è un burocrate che ricorre ai buoni uffici di un politico per avere una raccomandazione; ma, al contrario, è un politico – peraltro di prima grandezza – che si rivolge ad un burocrate per una segnalazione.
È questo, credo, il passaggio-chiave dell’intera vicenda. È l’episodio che certifica una realtà della politica italiana che, pur essendo sotto gli occhi di tutti, è stata regolarmente sottaciuta: fatte salve le scelte di fondo che riguardano gli equilibri internazionali, il potere reale, quello da cui scaturiscono le scelte operative di tutti o quasi tutti i Ministeri e i centri di spesa, è gestito da Direttori generali, Segretari generali, Capi-struttura e, in genere, da alti burocrati. I politici hanno l’illusione di comandare, ma la loro permanenza nei posti di comando dura sovente lo spazio d’un mattino, stretti fra un cambio di governo ed un rovesciamento dei fronti interni ai rispettivi partiti; inoltre, otto volte su dieci, non capiscono nulla della materia che vanno a gestire o, tutt’al più, hanno soltanto un’infarinatura generale. Dipendono dunque, in tutto e per tutto, dai dirigenti ministeriali, i quali – invece – sono intoccabili, inamovibili, e continuano ad occupare i loro posti a prescindere dai cambiamenti delle squadre di governo.
Questo Incalza, per esempio, è in auge dal lontano 2001, con i vari Presidenti del Consiglio ed i Ministri alle Infrastrutture (tranne la breve parentesi del furbo Di Pietro) succedutisi fino al 31 dicembre 2014, data del suo pensionamento. Dopo di che, uscito dalla porta, è rientrato dalla finestra, ritornando al Ministero in veste di “consulente”.
Né si creda che quella di “Ercolino” Incalza sia una eccezione. Per i nostri boiardi di Stato questa prassi è quasi una regola. Draghi, per esempio, rimase Direttore Generale del Tesoro dal 1991 al 2001, attraversando con noncuranza 10 anni di intemperie politiche e di traumatici cambi di governo; e, se non avesse spiccato il volo verso più alti scranni, sarebbe certamente ancora lì.
Peraltro, l’invadenza degli alti burocrati (“grand commis” li chiamano i francesi) è un vecchio vizio italico, addirittura antecedente al fascismo. Quando si insediò il 1° gabinetto Mussolini (non ancora un governo dittatoriale, ma una coalizione con liberali, popolari e indipendenti), il Duce tenne per sé anche l’interim degli Esteri. Ma in quel Ministero trovò un Segretario Generale – Salvatore Contarini – che era abituato a “fare” la politica estera italiana, utilizzando poi i vari Ministri alla stregua quasi di esecutori della sua linea. Era a tal punto sicuro del fatto suo – il Contarini – che quando, in occasione dell’eccidio della missione italiana in Epiro nel 1923, Mussolini pensò bene di mostrare i muscoli ai greci e ai loro protettori inglesi, cosa non condivisa dal sussiegoso Segretario Generale, questi si mise in ferie e andò in vacanza ad Ischia, pensando forse di mettere in difficoltà il suo Ministro. I fatti – dirò per inciso – avrebbero poi dato ragione a Mussolini, che ottenne le scuse solenni della Grecia e indusse l’Inghilterra a più miti consigli.
Chiusa la parentesi di carattere storico, torniamo ai giorni nostri. Quello degli alti burocrati è uno dei grandi problemi dell’Italia. Occorrerebbe ricondurli al loro ruolo istituzionale, che è quello di esecutori di ordini. Occorrerebbe poterli spostare con facilità, impedendo che possano diventare i padroni della situazione. Occorrerebbe evitare che fossero loro a scrivere le leggi che i Ministri – obbedienti – propongono al Governo e poi al Parlamento, il quale a sua volta approva senza rendersi conto – nella maggior parte dei casi – di eventuali trabocchetti. Occorrerebbe evitare che, ritiratisi in dorato pensionamento, i nostri boiardi potessero essere tentati – così, per ingannare il tempo – di ritornare a spadroneggiare nei Ministeri, magari come “consulenti” pagati a peso d’oro.
Occorrerebbero tante cose. Ma, per realizzarle, ci sarebbe bisogno di politici – oltre che onesti – preparati ed in grado di dettare la linea ai loro uffici. E non – come oggi spesso avviene – di dilettanti allo sbaraglio che, fatalmente, finiscono per diventare ostaggio di burocrati più o meno limpidi.