Oggi come oggi viviamo in una società che ha conferito ai diritti degli animali un largo spazio, tuttavia ciò è da leggere come un segno di grande disequilibrio poiché in tale processo si oblia i diritti di tutto il mondo vegetale.
La vita vegetale generalmente viene sottovalutata e tante volte ridotta a un puro niente. Mentre da una parte se si nuoce a un gatto si viene paragonati e trattati alla stessa stregua di un assassino, dall’altra si disbosca foreste come se gli alberi fossero oggetti in senzienti, compiendo un genocidio vegetale.
Una delle prime contraddizioni dell’antispecismo, ovvero della filosofia animalista che lotta per i diritti degli animali, è quella di tendere a tutelare solo certi animali, come animali domestici e mammiferi. Tutti si commuovono per un cagnolino, nello stesso tempo inorridiscono per degli insetti, egualmente perfetti nel seno della Natura. Una persona animalista raramente si commuove quando viene ucciso un moscerino ed è del tutto ignara della vita microscopica, come batteri e microorganismi.
Indubbiamente alla radice di simile atteggiamento animalista è l’elemento psicologico che ci porta a difendere e tutelare solo ciò in cui ci riconosciamo. Mediante un processo psichico di identificazione in realtà si difende una proiezione di noi stessi, antropomorfizzando così l’animale. Dubito infatti che il vegano convinto si prenda la briga di studiare zoologia, etologia e scienze naturali, in nome di quella natura che dichiara di amare. Il crescendo dei movimenti animalisti negli ultimi decenni è indubbiamente mosso da un sotteso processo di identificazione verso il mondo animale: in effetti quando gli individui si riconoscono nelle bestie iniziano anche a comportarsi come tali.
La società stessa evolvendosi procede di pari passo con questa identificazione. Negli ultimi secoli abbiamo assistito a delle barbarie incommensurabili sconosciute nei tempi antichi e queste barbarie sono avanzate all’unisono con la crescente sensibilizzazione verso il mondo degli animali e con il riconoscimento del nostro stato “bestiale”.
Parallelamente a questo si è completamente dimenticato quale era l’altissima dignità e nobiltà del mondo vegetale.
Solo da pochi anni alcuni scienziati si sono resi conto che le piante e i vegetali, tutt’altro che essere forme di vita fisse e in senzienti, presentano invece capacità cognitive paragonabili a delle operazioni di calcolo e ragionamento. A Firenze è sorto negli ultimi anni un centro di ricerche, il centro di neuropsicologia vegetale, che ha ampiamente dimostrato come nelle radici degli alberi si sviluppino delle forme di comunicazione paragonabili a quelle del sistema nervoso, sottoponendo perfino delle piante all’elettroencefalogramma e ottenendo risposte che portano a dedurre che il vegetale abbia cognizione di causa. Capaci di riconoscere oggetti e persone, dotati di memoria e con la capacità di comunicarsi i pericoli fra di loro, i vegetali sfatano il luogo comune che la vita intelligente si sia sviluppata solo nell’animale. Malgrado ciò queste ricerche rimangono luogo di nicchia per pochi esperti e il più delle volte ridotte a una curiosità, senza comportare nella società una presa di coscienza sulla vita vegetale e senza, cosa più drammatica, che si sviluppi una legislazione in merito alla loro tutela.
La legge altresì e gli ordinamenti giuridici dovrebbero conferire alle piante il diritto a non essere torturate o uccise gratuitamente. Perché se uno picchia un cane va in galera mentre persone col solo intento di divertirsi incidono col coltello i loro nomi sugli alberi? Non è questa una tortura impunita dalla legge? Perché abbattere boschi e foreste per il buon decoro di una città o per le esigenze di mercato che vogliono legname? I tronchi sono corpi vivi, come si può con tanta leggerezza estirparli dal terreno e farli a pezzi? Una legislazione dovrebbe nascere per i diritti dei vegetali e tutte le amministrazioni intervenire al proposito.
Cosa ben diversa era nel mondo antico. Il vegetale come essere nobile e come entità vicina alle facoltà più alte dell’uomo era già stato riconosciuto dalle Mitologie greche, indiane e nordiche.
I Miti greci ad esempio da sempre hanno riconosciuto al mondo vegetale una vicinanza con le componenti psichiche più alte dell’uomo. Gli Dei Olimpici avevano degli alberi sacri: la quercia era l’albero di Zeus, l’olivo era sacro ad Atena, Dea della saggezza. Molte volte le piante, come il salice l’alloro, il mirto, erano legate all’ispirazione poetica, al contatto con il divino, a una conoscenza più ampia.
Nell’Odissea Ulisse consulta “il fogliame divino della grande quercia di Zeus”; questo legame fra quercia e sapere divino compare anche nella bibbia, basti pensare che Abramo riceve la rivelazione di Dio vicino a una quercia. Lo stesso vello d’oro, meta agognata dagli argonauti, era appeso a una quercia che aveva la funzione di un tempio.
A Nemi, nel santuario di Artemide, ( Dea dei boschi per eccellenza ) cresceva un albero da cui non era lecito spezzare alcun ramo. Poteva divenire sacerdote solo colui che avesse osato strappare un ramo nel boschetto sacro della Dea, ed affrontare il re del bosco.
Gli antichi identificarono quel ramo con il ramo d’oro che Enea colse per invito della sibilla prima di accingersi al suo immemorabile viaggio nel regno dei morti.
Oltre alla venerazione degli alberi, alle loro caratteristiche e alle loro particolarità, il mondo antico ha conosciuto dei veri e propri Dei del bosco e della vegetazione, come Attis, Artemide, Dioniso e Pan.
Attis è in genere un Dio degli alberi ed in genere il suo albero rappresentativo è il pino. Cibele, madre di tutti gli Dei, si accecò d’amore per il figlio Attis. Attis per evitare gli amori della madre si evirò sotto un pino e alcune versioni del mito vogliono che Attis fosse mutato in pino.
In qualsiasi luogo e in qualsiasi tradizione l’albero è da sempre considerato simbolo di evoluzione, di ascensione al cielo, e dei rapporti che si stabiliscono col cielo. L’albero pone in relazione il mondo ctonio con quello uranio; riunisce in sé tutti gli elementi ( terra, acqua, aria, fuoco ).
La quercia era venerata in Gallia, il tiglio fra i germani, il frassino in Scandinavia, l’olivo nei popoli islamici, il larice e la betulla in Siberia. Ovunque l’albero rappresenta la perpetua rigenerazione e quindi la vita, la potenza.
L’albero compare nella bibbia: dodici sono i frutti dell’albero della vita edenico. Gli uccelli del cielo che riposano sui suoi rami sono gli stati superiori dell’Essere mentre tutti gli altri stati sono legati fra loro dal tronco. Dio si manifesta ad Mosè in un roveto ardente che non si consuma.
Nel libro di Enoch il frutto dell’albero della sapienza è paragonato alla vite. Questa associazione con la vite compare anche nel vangelo quando Giovanni fa dire al Cristo di se stesso:
“Io sono la vera Vite”
Presso gli sciamani si ritiene che contemporaneamente alla comparsa del primo sciamano venne piantato l’albero cosmico con otto rami. Gli otto rami corrispondono agli otto grandi Dei ( motivo, questo, che compare anche nell’Ogdoade egizia). L’albero rappresenta l’opus e il suo frutto è il suo risultato, ossia l’oro. Un’immagine frequente nello sciamanesimo è quella del signore del mondo che dimora in cima a un albero.
Buddha ha l’illuminazione sotto l’albero del bodhi. Zarathustra dopo aver bevuto una coppa ricolma della bevanda dell’onniscienza ha in visione l’albero con quattro rami, corrispondenti a oro, argento, acciaio e ferro. L’albero di Zarathustra corrisponde esattamente all’albero di metallo dell’alchimia ( l’arbor philosophica ) che rappresenta la crescita spirituale sino all’illuminazione suprema.
In India viene venerato l’Asvattha ( Ficus religiosa ). In esso vivono gli Dei Brahama, Visnu e Mattesvar. È venerato in ogni villaggio e ritenuto oggetto di venerazione della trimurti.
Nella Bhagavadgita la divinità dice di essere:
“Come l’Himalaya tra i monti e come l’Asvattha tra gli alberi.”
L’albero dell’asvattha per gli indù versa dall’alto la bevanda dell’immortalità del soma.
I nordici consideravano il frassino il grande albero, l’axis mundi. L’Yggdrasill era l’albero sacro ed era identificato con il frassino. Odino ottiene la conoscenza dei principi del cosmo dall’Yggdrasill.
Non è un caso che in molte tradizioni la Nemesi greca, una delle più alte forze dell’Essere, alla quale gli Dei stessi sono soggetti, venisse raffigurata con un ramoscello di frassino in mano. Il mercurio, simbolo alchemico dell’albero, era anche associato a Wotan, cioè Odino.
Basti ricordare che il Dio degli alberi per eccellenza era Ermete ( il Mercurio dei latini ) chiamato con l’appellativo di Endendros (ενδενδροσ) letteralmente: “colui che è nell’albero”. Dendros in Greco antico significa albero, ed ha la stessa etimologia di dendrite, le cellula del sistema nervoso. Come si vede da sempre gli antichi hanno associato i vegetali alla mente, alle facoltà mentali come l’intelligenza e la ragione. Questa consapevolezza si è via via abbandonata.
Il morbo umano di riconoscersi più nello stato bestiale e meno nello stato vegetale ha dato adito a una grave aberrazione e a un profondo disequilibrio.
Indubbiamente nell’uomo vi è sia una componente animale che una componente vegetale. L’una è lunare, l’altra è celeste. Basti vedere la forma di un animale per constatare che esso tende ad una estensione orizzontale, nella sua espressione, mentre guardando la forma di un vegetale notiamo che egli sale verso l’alto, e già questo, simbolicamente, comporta una differenza abissale.
L’animale è sul piano orizzontale e il vegetale sul piano verticale. Solo l’equilibrio dei due piani può portare ad una vera consapevolezza poiché qui si afferma che la componente spirituale dell’uomo è di natura vegetale. Si pensi solo al miracolo della fotosintesi, il processo attraverso il quale la pianta si nutre di Luce, laddove in tutte le tradizioni la Luce è associata alla Conoscenza.
Invece sempre più un esercito di vegani e animalisti trucidano la natura picchiando onesti agricoltori e dimostrandosi più bestie delle bestie e non riconoscendo nessun diritto alle piante e agli alberi, ridotti dalla mentalità collettiva a un puro niente. Perché non ci si preoccupa invece di quanto viene devastata una pianta dai prodotti chimici e dalla sua sofferenza? Lo stesso senso di disgusto che ci suscita veder pugnalato un cane dovremmo provarlo nel vedere una pianta estirpata.
I vegani e gli animalisti si preoccupano del loro interesse, e di quello che mettono nella pancia, riducendosi in ultima analisi a esseri che mangiano. Il loro centro è unicamente rivolto alle loro budella non all’intelletto superiore, poiché pensare in continuazione a un problema alimentare significa che si sta pensando solo a riempire i visceri, in perfetta coerenza con il loro identificarsi nella posizione orizzontale e animale. Diventa una fissazione, una malattia che ottenebra la verticalizzazione verso la Luce. Come disse il Vangelo, occorrerebbe preoccuparsi di ciò che esce dalla bocca più di ciò che entra. L’alimentazione, di un vegetale o di un animale che sia, deve essere letta invece come un dono che ci viene offerto dalla creatura che mangiamo, come un atto di amore. Ciò che mangiamo si offre a noi, come atto di amore. Non si tratta di un problema alimentare ma si tratta della consapevolezza e del riconoscimento della dignità della vita intera.
Ogni volta che noi togliamo una pianta dal terreno, dovremmo chiederle prima il permesso, e poi farlo con delicatezza, con amore, ringraziando perfino il legno del calore che ci offre.
In ciò sta la superiorità d’Animo: nel considerare che la Vita intera si dona a noi.
Emanuele Franz 14.07.2017
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