Nell’attuale scenario raccapricciante che ha generato una nuova forma di idolatria, nella fattispecie l’adorazione da parte delle masse di una terapia genica, il vaccino Covid, presentato come siero dalle doti miracolose e panacea di tutti i mali, anche di quelli preesistenti alla stessa pandemia, coloro che non vogliono farsi risucchiare dal vortice asfissiante della narrazione a senso unico delle potenze controiniziatiche che infestano l’età di fine ciclo cosmico, si chiedono legittimamente come resistere in un mondo che non ammette deviazioni da una pseudoverità presentata come certezza granitica, quasi fosse il monolite nero adorato dagli ominidi in 2001, Odissea nello spazio, con la differenza che almeno nel capolavoro di Kubrick il monolite era una sorta di deus ex machina che guida l’essere umano predestinato a vincere la sua battaglia contro la macchina artificiale, il computer HAL 9000, mentre nella surrealtà confezionata dall’élite è la macchina la predestinata a vincere sul campo, colei che si sostituisce alla volontà e alla coscienza dell’essere umano.
Per spiegare il concetto di simulacro applicato alla concretezza, è utile fare un esempio alla portata di tutti, che attinge all’immaginario quotidiano dell’emergenza sanitaria infinita. Il 6 agosto l’EMA, l’Agenzia europea per il Farmaco, ha reso pubblici i dati statistici relativi al monitoraggio durante il primo semestre del 2021 delle reazioni avverse ai vaccini anti-Covid rilevate nei 27 paesi membri dell’Unione Europea. Le statistiche dell’EMA recano un dato allarmante: fino al 31 luglio sono stati stimati 20.595 morti e quasi 2 milioni di feriti (di cui metà feriti gravi) per reazioni avverse ai vaccini anti-Covid. Ora, in base al modello della surrealtà o realtà inventata, sia le istituzioni che i cittadini comuni, totalmente allineati alla narrazione ingannevole che presenta il vaccino anti-Covid come siero miracoloso, sono portati tendenzialmente o a minimizzare la gravità dei dati statistici dell’EMA o addirittura a non coglierla, se non persino negarla. Infatti, un cittadino assuefatto alla narrazione a senso unico sulla pandemia Covid come novella peste nera, potrebbe opporre la seguente argomentazione, peraltro totalmente irragionevole, che su una popolazione di 446 milioni di abitanti si tratta tutto sommato di un numero irrilevante. 20 mila persone sono morte a causa di gravi reazioni avverse in seguito all’inoculazione di uno dei 3 vaccini dispensati dalle multinazionali del farmaco, ma questo dato non crea corto circuito, non porta a mettere in dubbio la costruzione del teorema, o per meglio dire del dogma indiscutibile della sacralità del vaccino genico quale unica cura efficace per curare il Covid. Penso che questo esempio, ma se ne potrebbero fare centinaia dello stesso tipo, sia calzante nel mostrare come funziona un modello di surrealtà, cioè di una realtà surrettizia che per poter apparire come oggettiva e logica ha bisogno di eliminare tutta quanta la realtà o una parte consistente di essa. Per poter fare questo tipo di operazione di simulazione della realtà è necessario invertire vero e falso, cioè è necessario costruire una bolla di illusione con cui la maggior parte dei cittadini deve colludere, pena la caduta disastrosa del castello di menzogne costruito su fondamenta di sabbia. Ma per far sì che una parte consistente o tutta quanta la popolazione di un paese partecipi al grande inganno è necessario che un’altra realtà si frapponga tra la surrealtà pandemica e il soggetto spinto a coglierla come realtà. Una sorta di «mondo di mezzo» che media la fruizione da parte del soggetto di una realtà inventata: i media. Senza l’apporto dei media, che hanno smontato pezzo dopo pezzo il principio di realtà, e non solo relativamente alla pandemia, il cittadino non avrebbe avuto la capacità di interiorizzare una realtà simulata che ha ben pochi agganci nella realtà. I media, ubbidendo a logiche di indottrinamento e di spersonalizzazione dei cittadini, in questo senso, hanno svolto negli ultimi 50 anni un grande lavoro di «seduzione»: far apparire come reale una surrealtà alienata e alienante. Dunque i media sono i principali responsabili della scomparsa della realtà. Scrive Baudrillard nel saggio Il delitto perfetto: «l’Occidente, infatti, si riflette in uno specchio che esso stesso ha costruito, ossia nello schermo narcisistico del virtuale, dell’economia globale e della sub-cultura mediatica, venendone letteralmente risucchiato – non sa più qual è il riflesso e quale l’originale, il reale». Sentenza giusta e inappellabile quella pronunciata un quarto di secolo fa dal filosofo francese. L’Occidente che sorvola su 20 mila morti per reazioni avverse alla terapia genica anti-Covid e su 2 milioni di feriti gravi, è una civiltà che ha smarrito la via al reale, quella tratteggiata da Parmenide in poi. È un Occidente che non sa più fare i conti con se stesso, con i suoi errori, con le sue incongruenze non ricomponibili, che oblitera pezzi scomodi di realtà che mettono a nudo la finzione che ha costruito per sopravvivere alla sua lenta ma inesorabile agonia.
Come sopravvivere, dunque, al miasma asfittico della «realtà inventata», dell’emergenza sanitaria infinita quale mezzo per riplasmare le menti e le coscienze (o subcoscienze) a immagine e somiglianza delle élites che ci governano? Sviluppando quella che potremmo ribattezzare la «qualità perseide», giacché Perseo, eroe per eccellenza della mitologia greca, può essere assunto a simbolo della capacità dell’essere umano di resistere, attingendo alle sue risorse interiori, al potere seducente che pietrifica con il suo sguardo ogni forma di riflessione e quindi di pensiero divergente. Da Platone e da altri autori contemporanei, primo fra tutti Evola, sappiamo che il mito ha una funzione dis-velante rispetto a una realtà inventata che si presenta per sua stessa natura opaca e che è resa ancora più opaca dalla sua pretesa di assolutizzare la verità. Tale processo conduce all’azzeramento di un autentico fare ricerca, che a differenza dell’istanza della ferrea logica, sempre identificata nel corso della Storia con interessi di parte, è un processo ermeneutico che apre alla circolarità, dunque infinito. La ricerca della Verità è un processo erotico, dove per «erotico» s’intende la sua natura sempre protesa verso l’inatteso, l’imprevisto, l’inesplorato, e questo vale specialmente nell’ambito conoscitivo. L’essere umano è sì un animale politico, come ci insegna Aristotele, e un animale razionale, come ci insegna Cartesio, ma è prima di tutto, come ci insegna il divino Platone, un animale erotico per via della sua primigenia androginia e la successiva separazione in due esseri che cercano costantemente di ricongiungersi. Ma questo desiderio di unità nell’essere umano non può in vita mai essere soddisfatto appieno, ecco perché l’istanza erotica in lui agisce prepotentemente come riconquista dell’unità perduta. Questa potente tensione interna lo spinge nella direzione del Logos, che è al di là sia del razionale che dell’irrazionale.
È da questo senso di separazione che nasce la coscienza, intesa come sdoppiamento, riflessione su di sé e sul mondo. Eros per espletare la sua funzione dis-velante si serve di particolari strumenti della mente intuitiva. Uno di questi è proprio il Mito. Esso è una meta-realtà attraverso cui la mente intuitiva, distinta da quella logica, dà senso all’esperienza umana offrendo un modello di spiegazione della realtà aperto, capace di racchiudere molteplici, anzi infiniti significati. L’uomo dell’Età classica viveva l’esperienza del mondo in modo per certi aspetti diametralmente opposto all’uomo del XXI secolo. Ma essendo il Mito senza tempo, cioè archetipico in quanto incarnante il nucleo essenziale dell’esperienza umana di ogni tempo e luogo, esso può essere preso come punto di riferimento, come mappa per orientarsi in un mondo alla deriva, che ciclicamente presenta all’essere umano le stesse criticità e problematiche di duemila anni fa, irrisolte e quindi aggravatesi nel corso dei millenni. Ma torniamo a Perseo e alla sua funzione liberatoria nel Mito greco.
Narra il mito che Perseo era figlio di Danae e nipote di Acriso, re di Argo. Un giorno il re si recò a Delfi presso l’Oracolo per chiedere al dio Apollo come mai non riusciva ad avere figli maschi. L’Oracolo diede un responso che non piacque per nulla al re: non solo non avrebbe avuto figli maschi, ma un giorno sarebbe stato ucciso da suo nipote, figlio di sua figlia Danae. Allora Acriso, per allontanare da sé la profezia, escogitò uno stratagemma: rinchiuse sua figlia in una torre di bronzo affinché nessun uomo potesse possederla e generare così un figlio. Ma il Fato volle che Zeus in persona si innamorasse di Danae. Impietositosi, il re dell’Olimpo entrò nella torre sotto forma di pioggia dalle gocce d’oro e generò con lei un figlio, il futuro Perseo. Già dall’incipit del mito possiamo cogliere adombrata nello stratagemma di Acriso la volontà del mondo moderno di allontanare la realtà, di adulterarla. Il principio divino, tuttavia, che agisce sempre dietro le quinte del mondo, interviene per ripristinare il principio di realtà: grazie all’intervento di Zeus Danae concepisce un figlio destinato a diventare l’eroe per antonomasia della mitologia greca. Gli esseri umani, che siano dei servi o dei re, non possono sfuggire al loro destino e al principio di realtà che impone di essere accettato. Una volta cresciuto, furono sempre gli dèi ad affidare a Perseo la missione di uccidere Medusa, un orribile mostro dalla chioma formata da serpi che trasformava in pietra tutti gli esseri viventi che avevano la sfortuna di incontrare il suo sguardo. Da un punto di vita simbolico, Medusa rappresenta il potere tanto fascinoso, ipnotico, quanto distruttivo, pietrificante, di una surrealtà che è finzione, che priva gli esseri umani del loro principio vitale, l’anima, fino a pietrificarli, a trasformarli in esseri inerti. Ma andiamo avanti. Perseo viene aiutato nella missione di uccidere Medusa da Atena e Hermes (il Mercurio dei Latini), simboli, rispettivamente, della visione oltre le illusioni di Maya (non a caso l’animale sacro ad Atena era la civetta, uccello dall’incredibile vista notturna), e dell’acutezza di pensiero, cioè della capacità di smascherare gli inganni della mente, nonché di fare da «psicopompo», da guida delle anime nel loro ciclo infinito di morte e rinascita, fisica e spirituale (uno dei simboli di Hermes-Mercurio è il caduceo, la sacra verga che ha il potere di risvegliare l’anima dall’intorpidimento derivante dalla sua caduta nel mondo dei sensi). Atena ed Hermes fecero dono a Perseo di uno scudo forte e lucente, in grado di riflettere qualsiasi cosa, e di un falcetto di diamante per mozzare la testa di Medusa. Sempre su di un piano simbolico, lo scudo riflettente simboleggia la capacità acquisita dall’anima in contatto con il principio superiore del Sé, a sua volta in contatto con le potestates divine, di cogliere gli inganni della realtà inventata (simboleggiati nel mito dalle serpi della chioma di Medusa) senza essere al contempo pietrificata dalla loro visione orrorifica; il falcetto di diamante, invece, simboleggia la volontà di tagliare i ponti con il fascino tenebroso rappresentato dallo sguardo ipnotizzante di Medusa, la surrealtà a cui nessun essere vivente resiste. Ma ingannare Medusa non era così semplice, perciò Perseo si recò dalle sue sorelle, le Tre Graie, e con uno stratagemma si fece rivelare il segreto per avere la meglio sulla Gorgone: Perseo non avrebbe mai dovuto guardare in faccia Medusa, altrimenti sarebbe stato trasformato all’istante in una statua di pietra. Durante il combattimento con Medusa, l’eroe, camminando all’indietro, usò lo scudo come specchio riflettente riuscendo così a schivare lo sguardo mortale di Medusa e a decapitarne la testa mentre dormiva.
Che cosa ci insegna il mito di Perseo? Ci insegna che per sconfiggere il mondialismo, il mostro dalla chioma composta di serpi (il potere rappresentato dal mondialismo è tentacolare, essendo infiltratosi in tutti gli aspetti del reale), è necessario prima aver fatto opera di autorispecchiamento. Quanto il potere ottenebrante del mondialismo ha corrotto e pervertito parti significative di noi al punto che non siamo più in grado di distinguere il vero dal falso? In quali anfratti della nostra anima è riuscito a penetrare senza che ce ne accorgessimo, senza opporre alcuna resistenza? Il mondialismo, questo processo che aliena l’umanità da se stessa, dalla sua vocazione a connettersi con l’Assoluto, a sviluppare le qualità dell’Essere, è dentro ognuno di noi. Nel mito Perseo non può guardare in faccia questa terribile realtà (rappresentata da Medusa), altrimenti verrebbe annichilito. Per affrontare il mondialismo è necessario prima aver ricevuto «i doni degli dèi»: lo specchio, con cui guardare dentro di noi alla ricerca delle nostre zone d’ombra, quelle espugnate dal mondialismo; il falcetto di diamante, simbolo della purezza interiore che nasce dal riconoscere che ognuno di noi, in fondo, è stato sedotto, in misura minore o maggiore, dalle dinamiche diaboliche del mondialismo, dai suoi falsi doni che inebriano i sensi e ottundono la mente: la ricerca del potere, il conseguimento del profitto, il materialismo, l’edonismo fine a se stesso. Si può acquisire purezza, però, solo al prezzo di tagliare i legami con la surrealtà e le sue tentazioni sulfuree. Per poter liberarsi del cancro del mondialismo, le cui metastasi si sono diffuse in tutto il mondo producendo danni incalcolabili, è necessario fare i conti con se stessi. Cosa tutt’altro che facile in un mondo che spinge a silenziare la scomoda voce che grida dentro di ognuno di noi che siamo ben più di un algoritmo, di un topo da laboratorio, di un ologramma ripiegato sul virtuale, che è il fondamento stesso su cui si regge le surrealtà, la realtà inventata che gli apprendisti stregoni del mondialismo stanno plasmando per rinchiuderci in una fortezza di impassibilità, isolamento a ubbidienza cieca a un potere che ci vuole privare dell’unica qualità che ci differenzia da un animale: la libertà. Ma, come diceva 70 anni fa Evola, che come ben pochi previde lo scivolamento dell’attuale umanità verso stati di subcoscienza animale, «ognuno ha la libertà che gli spetta, misurata dalla statura e dalla dignità della sua persona».
Per essere veramente liberi bisogna prima aver acquisito lo stato di individui assoluti o soggetti radicali, come lo chiama Dugin. Ma per diventare individui assoluti occorre aver sviluppato quella che all’inizio della mia riflessione ho ribattezzato «qualità perseide». Accettare il proprio destino, che è quello di essere più del ruolo (o della comparsa) che questo mondo insozzato di illusioni ci ha assegnato. E chi noi siamo, non lo può decidere un Presidente del Consiglio che ha ridotto alla fame un popolo, quello greco, e che ora persegue il fine di portare al collasso il paese che indegnamente governa. Non lo possono decidere i Consigli di Amministrazione di una multinazionale farmaceutica e nemmeno le congreghe di affaristi incappucciati che da millenni lavorano incessantemente per ridurre il mondo a una landa desolata. Siamo solo noi a decidere chi siamo e a scegliere il ruolo che rivestiremo in questa vita. Come Perseo, che non si sottrasse alla prova di dimostrare agli dèi che anche in un semplice essere umano scorre sangue divino, immortale.
Federica Francesconi
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