di Mario M. Merlino
Tutto ha inizio con il mito. Tutto È mito. Ed ogni civiltà, la cultura di un popolo, si fonda su forme di immaginario collettivo che, custodite e tramandate nei tempi antichi dalla casta sacerdotale, si danno un proprio linguaggio. Linguaggio espresso in simboli richiami suggestioni immagini emozioni capaci di dare vita ad una complessa costruzione la cui sorte, preda della mutevolezza del tempo, finisce per trasformarsi in un nascondimento cristallizzazione perdita della chiave d’accesso tanto che diviene simile a stanza ingombra d’oggetti e immersa nella oscurità. Per esseri, stupiti e stupidi, diranno i saccenti della modernità (Nietzsche se n’era fatto ben consapevole quando riconosceva che “l’oggi appartiene alla plebe”), superstizione primitivismo… e l’essenza quale verità storica si fa oblio lasciando solo, quasi fosse testimonianza archeologica, vane parole.
(Con ‘la morte di Dio’, ai sacerdoti aedi rapsodi oracoli si sono andati a sostituire, nell’età dell’ideologia , ove impazzano illuminismo e marxismo, vari servitorelli sciocchi ora della carta stampata ora dei parlamenti ora da storici facili ad usare il postulato e ben meno l’indagine e, poi, la genia dei sociologi psicologi analisti e il cinema la radio la televisione).
Il termine mito risuona certo ancora per vicende politiche (ad esempio, per il vetero mondo comunista fa battere il cuore la Comune di Parigi e la rivoluzione bolscevica; per noi la Marcia su Roma con le squadre sui BL18 manganello bombe a mano e solidi randelli e la battaglia di Berlino, come suggeriva Adriano Romualdi, dove s’erano dati appuntamento per la Finis Europae volontari francesi scandinavi spagnoli) o per le cronache sportive (la tifoseria i colori della propria squadra lo scudetto portato in trionfo tra grida canti e clacson) o per gruppi rock (Bob Dylan e Joan Baez furono ‘icone’ durante la guerra del Vietnam per tutti coloro, pacifisti e non, che rifiutavano ogni ingerenza militare USA nel Sud-Est asiatico). E ben poco conta se, a volte, questi miti sono il gioco delle maschere e su di essi è passato il tritacarne della storia, l’ingiuria del tempo e dei vincitori, l’effimero mondo di una stagione sotto i riflettori…
(Nel mio studio la bandiera della Confederazione sudista si accompagna a quella della Siria di Assad e lo scudetto della XMAS con quelli a ricordo dei raduni dei reduci dell’Afrikakorps, gli elmetti della Wehrmacht e della guerra civile di Spagna con la bandiera, bianca e la croce nera dei cavalieri teutonici, della Marina Imperiale durante la Grande Guerra , la foto di Mila quella di Salvatore da legionario in Ciad di Robert Brasillach assorto di Ugo Franzolin in divisa, quando era corrispondente di guerra nella RSI, di Riccardo pensoso e presago forse della fine tragica e precoce e la sua foto, ormai sbiadita dal troppo tempo trascorso, di quando illusi credevamo d’essere eterni come dei in terra e prima che venisse a trovarmi nella notte del 21 dicembre ’69, cella di isolamento… miti della mente, miti del cuore).
Ci sembra, noi che tutto sappiamo e di tutto facciamo chiarezza (idioti! “Ultimi!” griderebbe il mio amico Richard Benson…), che possiamo disvelare ogni meccanismo, tacito e nascosto, in quanto detentori dei ‘lumi’ della ragione e di rigorosa analisi marxiana… Il muro del Père Lechaise ove i comunardi furono trucidati a gruppi, dopo essersi essi stessi macchiati di orrendi delitti…Lenin che arriva in Russia su un treno messo a disposizione dello Stato Maggiore tedesco e Trockij con una valigia piena di dollari fornitigli dal giudaismo americano… gli agrari i sabaudi gli industriali la guardia regia dopo la grande paura del Biennio Rosso… Himmler che va alla ricerca di una impossibile pace separata con gli Alleati mentre nel bunker si spengono le estreme illusioni in un crepuscolo degli dei (idoli?)… le squadre del cuore travolte dagli scandali e la musica, sì, la musica asservita alle case discografiche e al profitto…
Allora riprendiamoci il mito da cui tutto ebbe inizio… Perché dove abbiamo lasciato il cuore e le emozioni per farci invadere dall’arroganza della ragione, noi carnefici e vittime? Fu Socrate, il plebeo, come pensava nel suo furore iconoclasta Nietzsche, o Platone che confuse le Idee con un più originario Essere, come voleva Martin Heidegger? Il mito originario e quello della condizione umana da cui, con straordinaria capacità dell’uomo greco, si passò al logos e fu della filo-sofia la nascita (portando addosso il peccato originario della scissione tra cielo e terra di cui, nel Timeo, dà ardita descrizione lo stesso Platone).
Urano (il Cielo), dunque, sovrastava con il suo corpo possente Gea (la Terra ) e la costringeva all’amplesso e a partorire i Titani. Stanca del suo peso essa si rivolse a Cronos (il Tempo), l’ultimo dei suoi nati, e gli mise in mano un falcetto, in uso fra i pastori e gli agricoltori. Quando, dunque, Urano le si approssimò, venne con un sol colpo evirato e, avendo perso l’organon(lo strumento) per appagare i suoi desideri, si ritrasse e per sempre… Ecco perché cielo e terra non comunicano più fra loro, sebbene avvertiamo la nostalgia della luna e del cielo stellato, ad essi volgiamo lo sguardo e i desideri… Fu il Tempo a causare la frattura (Sant’Agostino lo definisce il dispiegarsi dell’anima nella sua mondanità), fu il divenire e la limitatezza (l’imperfezione di fatto) della condizione umana. Soggetta al perire, soggetta al dolore… Ora tutto ciò è soltanto ‘favola’?