17 Luglio 2024
Mitologia

Il mito simbolico di Arianna e Teseo – Luigi Angelino

Il mito di Arianna e di Teseo, uno dei più affascinanti della ricchissima mitologia greca, come è ben noto, è riportato dalle fonti storiche e letterarie con diverse varianti. In quella più conosciuta, Arianna, figlia del re Minosse e della regina Pasifae, si invaghì di Teseo, quando questi giunse a Creta allo scopo di uccidere il Minotauro nascosto nel labirinto e mettere fine al tremendo tributo di sangue che il mostro pretendeva con cadenza annuale (secondo alcuni scritti ogni nove anni).

In tale avventura, Arianna avrebbe agevolato l’operato dell’audace Teseo, consegnandogli un gomitolo di lana, divenuto nell’immaginario collettivo il filo di Arianna, in modo che il giovane potesse tracciare il percorso seguito nel labirinto e guadagnare velocemente la via di fuga. Nonostante l’aiuto provvidenziale della ragazza, l’ingrato Teseo, nel viaggio di ritorno verso Atene, invece di condurla trionfalmente in patria con sé, secondo questa drammatica versione, l’avrebbe abbandonata sull’isola di Nasso (1).In una variante della narrazione più felice, Arianna non perse molto tempo a rimpiangere l’amato, perchè consolata da Dioniso arrivato nell’isola su un carro trainato da pantere che decise di sposarla, salvandola dalla solitudine e dalla disperazione. Un’ulteriore variante della variante vuole che sia stato lo stesso Dioniso ad ordinare a Teseo di abbandonare la ragazza, in modo che si rendesse disponibile per diventare la sua consorte. L’unione tra Arianna e Dioniso avrebbe, poi, generato ben quattro figli: Toante, Stafilo, Enopione e Pepareto. Gli storici, riscontrando in tutte le versioni un comportamento poco virile di Teseo dopo l’impresa dell’uccisione del minotauro, credono che una parte del mito originario sia andata perduta e che la storia tramandata ai posteri, pervenuta fino all’epoca attuale, manchi di una componente essenziale in grado di giustificare, o quanto meno, di spiegare l’atteggiamente egoista di Teseo. Non  mancano altre versioni, tuttavia considerate postume, come quella che descrive la cattiveria di Dioniso, capace di chiedere ad Artemide il sacrificio di Arianna sull’isola di Nasso, oppure quella propinata dal filone più tragico, secondo la quale Arianna si sarebbe suicidata, gettandosi in mare, a causa dell’improvviso abbandono da parte di Teseo (2).

Vediamo ora quali siano stati i presupposti narrativi del fatale incontro tra la principessa Arianna ed il valoroso Teseo. La vicenda ebbe inizio quando il re di Creta Minosse (3), chiese al dio del mare Poseidone un toro allo scopo di sacrificarlo in suo onore. Poseidone ascoltò la richiesta del sovrano, facendo emergere dalle acque un magnifico toro bianco che, tuttavia, Minosse preferì utilizzare come capo branco da monta per la sua mandria, invece di sacrificarlo al dio del mare come aveva promesso. La vendetta di Poseidone non si fece attendere (peraltro la facile iracondia del dio del mare è sottolineata in molti racconti) e fece in modo che la regina Pasifae si innamorasse dell’animale, arrivando al punto di accoppiarsi con lui in un’unione repellente ed innaturale. Per poter realizzare l’ossessione nei confronti del toro, la perversa regina si fece aiutare dall’ingegnoso Dedalo che costruì per lei una vacca di legno sostenuta da due ruote, ricoperta di pelle bovina e con l’interno vuoto, dove Pasifae si nascose. Il toro credette che si trattasse di un esemplare reale di vacca e si unì alla donna. Dal loro insano amplesso, fu generato Asterio o Asterione, una creatura che aveva le sembianze in parte umane ed in parte del padre toro, meglio conosciuto, poi, con la denominazione descrittiva di “Minotauro” (4). Asterio era descritto come una creatura feroce e vorace che incuteva paura a chiunque gli si avvicinasse. Per questi motivi ed anche per non avere al cospetto il prodotto del tradimento della moglie, il re Minosse ordinò che fosse rinchiuso nei sotterranei del palazzo di Cnosso, dove c’era un intricatissimo labirinto ideato e costruito da Dedalo (5). Questo luogo, dall’importante significato simbolico, come vedremo in seguito, aveva un aspetto decisamente inquietante, perchè costituito da una serie di corridoi di diversa forma, finti ingressi e porte fittizie. Dedalo, insomma, aveva progettato un luogo dal quale nessuno potesse uscire liberamente, in modo che il mostro rimanesse isolato dal resto della popolazione della fiorente Creta. Si poneva, comunque, un serio problema al re Minosse: il Minotauro si nutriva soltanto di carne umana. Una via di uscita per soddisfare le terribili esigenze del mostro, si presentò in maniera inaspettata quanto tragica, allorchè il figlio di Minosse, Androgeo, uno dei migliori atleti del Mediterraneo orientale, giunto ad Atene per partecipare a giochi ginnici, fu ucciso da alcuni giovani del posto. A questo punto, la leggenda vuole che Minosse si vendicò della morte del figlio con tremenda fermezza. Non solo mosse guerra e sconfisse gli Ateniesi ma, come pegno di guerra, pretese un tributo annuale di sette fanciulli e di sette fanciulle come cibo per il Minotauro.

Come abbiamo già detto, secondo la versione più diffusa, Arianna si sarebbe innamorata perdutamente di Teseo, quando questi arrivò alla corte del re Minosse. La ragazza non esitò a tradire il turpe fratellastro e, consapevole, dell’impossibilità per Teseo di uscire dall’intricato labirinto, gli consegnò il famoso gomitolo, in modo da ripercorrere a ritroso lo stesso itinerario che l’avrebbe portato al luogo di partenza. Dal punto di vista psicologico, il racconto ci presenta Arianna, come una donna intelligente ed arguta. La giovane, infatti, non si limita alla consegna del prezioso strumento di salvezza, appunto il gomitolo di lana, ma è la stessa ideatrice dello stratagemma. All’intelligenza si aggiungono le qualità del coraggio e dell’indipendenza, non esitando a lasciare la propria patria e a scegliere di fare rotta verso Atene, in quel tempo acerrima nemica di Creta. Pertanto, Arianna rappresenta il prototipo di donna di altissimo valore che cede soltanto davanti alla propria passione, subendo il meschino tradimento dell’amato. Di Teseo, invece, la leggenda lo designa come il decimo re mitologico di Atene, ritenuto uno degli eroi fondatori della città, nonché come l’artefice del sinecismo, ovvero dell’unificazione politica dell’Attica. Aristofane parla di Teseo come dell’inventore delle più antiche tradizioni ateniesi (6) ed alcuni storici, sostenendo l’ipotesi di un esteso dominio minoico sull’intera area dell’Egeo, ritengono che la creazione della sua figura derivi dall’intento degli Ateniesi di rendere epico il movimento di liberazione, conclusosi felicemente nei confronti della potenza straniera. Lo straordinario Teseo non è presente soltanto nel racconto del Minotauro, ma emerge in numerosi altri miti ellenici, come nella vicenda di Medea e del Toro di Maratona, nel canto dell’amicizia con Piritoo, nell’amore impossibile della moglie Fedra nei confronti del figliastro Ippolito e perfino nella fantastica spedizione degli Argonauti. Nello scontro con il Minotauro, Teseo, in occasione della terza spedizione inviata dalla città di Atene, per soddisfare gli appetiti del tremendo mostro, partì come volontario allo scopo di ucciderlo ed affrancare la sua patria dall’abominevole tributo. La sua personalità coraggiosa è offuscata dall’abbandono della devota Arianna e, ancora di più, da un altro episodio. Alcune fonti raccontano che quando ritornò verso le coste dell’Attica, Teseo ed il nocchiero della nave si dimenticarono di cambiare le vele nere con quelle bianche, così come aveva promesso a suo padre Egeo prima della partenza. Egeo, avvistate le vele nere, credette che il figlio fosse morto a Creta e si uccise lanciandosi dal promontorio di Capo Sounion, all’estremità orientale dell’Attica, dove ancora oggi sorgono i resti di uno splendido tempio dedicato a Poseidone e dove si possono ammirare tramonti mozzafiato. Il suicidio del padre fu l’evento che determinò la proclamazione di Teseo come re di Atene (7). Forse la sua non era stata una dimenticanza, ma un atto voluto per provocare un immenso dolore all’anziano genitore e prenderne il potere.

Il mito di Arianna e di Teseo è ricco di simbologia esoterica, a partire dal luogo dove si svolge il punto cruciale del racconto, il labirinto. Questo luogo, così tortuoso e difficilmente praticabile, è in prima analisi la rappresentazione dell’animo umano che molte volte costituisce una prigione dalla quale non riusciamo ad uscire. Uno dei messaggi iniziatici del labirinto è quello di superare le difficoltà del percorso della nostra esistenza e di provare a rinascere, una volta trovata l’uscita. La nostra abilità deve consistere proprio nel conoscere profondamente noi stessi per riuscire a trovare quel filo di Arianna, il bandolo della matassa, che ci possa portare fuori dalle sabbie mobili delle difficoltà quotidiane e delle afflizioni del mondo sensibile. Il Palazzo di Cnosso, uno dei siti archeologici più famosi al mondo, diventa così il fulcro di importanti significati misterici, al punto che all’udire il termine labirinto la nostra mente concepisce immediatamente quell’architettura complessa disegnata nel mito di Arianna e di Teseo. In realtà si tratta di un archetipo prodotto dall’inconscio umano che trova espressione di forma e di concretezza nel racconto mitico (8).

L’entrata nel labirinto ha il significato di una “morte simbolica”, come se si trattasse di un viaggio nel mondo dell’al di là o verso i meandri più bassi degli istinti umani, come lo stesso mostro del Minotauro vuole indicare, di forma ibrida e chimerica, frutto di una unione insana che rompe gli equilibri dettati da Madre Natura. L’uscita con successo dal labirinto ci ricorda la possibilità di cambiare il nostro modo di pensare e di condurre la nostra esistenza in maniera diversa, pur dopo aver affrontato tremende avversità. Vi è un’altra importante considerazione da fare: il Minotauro, a parte l’abnormità del suo aspetto, si trova al “centro” del labirinto, il luogo dove l’iniziato incontra una sorta di “principio divino” che richiede un’accurata presa di coscienza ed un cambiamento radicale di direzione. La persona che ha la capacità di uscire dal labirinto non solo rinuncia apertamente all’esistenza passata, ma è consapevole di dover intraprendere la strada per un nuovo inizio. Gli antichi consideravano l’ambiente del labirinto una specie di “gioco”, dove fosse possibile sublimare le proprie angosce sulla vanità del mondo sensibile. Può essere definito come un particolare “gioco rituale”, nel corso del quale i protagonisti potevano sperimentare la perdita del vecchio “io” e la conquista di una nuova “coscienza”. Chi di noi non è rimasto affascinato dai labirinti, anche quelli “scherzosi” e pieni di luce dei luna park? Chi di noi non ha provato un minimo di preoccupazione, anche nei casi in cui l’uscita era palesemente garantita ed il tragitto da percorrere misurato a “tempo”?

Inoltre, sotto il profilo semantico si può affermare che il Minotauro non sia altro che la versione negativa del toro, animale sacro e caro alle divinità, sacrificato in numerosi riti misterici per garantire benessere, prosperità e fertilità. L’animale, posto al centro del dedalo ed immolato, rispecchia il nostro alter ego negativo. Non a caso Jung descrive il mostro del Minotauro come un’immagine materna divorante, espressione di brutalità ed irrazionalità (9). Ma il filo di Arianna, questo cordone ombelicale che per fortuna non ci separa facilmente dalla nostra componente divina, ci porta verso la luce e verso il raggiungimento di un rinnovato equilibrio. Nella civiltà romana, l’immagine del labirinto di memoria cretese fu modificato, in modo che il cerchio fosse diviso in quattro zone distinte, con un unico tragitto delineato per percorrerle in sequenza. Il concetto di labirinto fu elaborato nei riti funerari, nelle ideali discese negli inferi, nonché in alcuni riti di fondazioni di nuove città. La stessa ancestrale immagine di Roma, ad esempio, suddivisa nei primi quattro quartieri, richiama la forma del cerchio/quadrato della croce labirintica. Di grande suggestione è anche la ricostruzione socio-politica che ritiene il Minotauro come l’immagine rovesciata dello stesso padre/patrigno Minosse, il re di Creta.

In precedenza abbiamo detto, come il mostro rinchiuso nel labirinto potesse implicare la vergogna del sovrano davanti al tradimento insano della moglie. Ma si può andare oltre e considerare il Minotauro come un’epica narrazione del tentativo di Minosse di nascondere le proprie ipocrisie ai sudditi: il decadimento della politica separata da giuste scelte etiche. Il sovrano di Creta, rifiutando di sacrificare il toro al dio Poseidone, privilegiò i propri interessi privati rispetto a quelli della collettività, suggerendo il transito da una società di tipo comunitario ad una di carattere individualistico, dove il potere doveva reggersi sulla forza fisica e sulla sopraffazione. Come è noto, infatti, in epoca storica, soprattutto con l’avvento delle tribù composte da popolazioni indoeuropee, nel Mediterraneo Orientale si passò da un’organizzazione matriarcale ad una più squisitamente patriarcale (10). Vediamo ora, nel particolare, un altro elemento importante che si impone nel mito di Arianna e di Teseo: il filo.  Le metafore tessili nell’immaginario culturale ellenico sono molteplici e tutte associate ad attività femminili, come la tela di Aracne (11), il filo della necessità di Anankè, i fili tessuti dalle Parche o anche la dolorosa attesa di Penelope del suo amato Ulisse. Non è un caso se dal termine “filo” e dalle “attività tessili” siano derivate numerose metafore linguistiche come il filo del discorso, spezzare il filo del ragionamento, il filo della speranza , tessere una lode, tramare una congiura, tra le pieghe della mente, la ragnatela della complessità. Lo stesso universo digitale è definito una rete, a confermare come questa immagine sia di facile utilizzo esplicativo. Come non dimenticare, a tale proposito, il racconto della sfortunata Aracne, trasformata in ragno dall’invidia della dea  Atena e condannata a tessere all’infinito, dondolandosi dolorosamente dall’albero dove avrebbe voluto suicidarsi (la dea aveva impedito tale gesto estremo, considerandolo un castigo troppo blando). Il filo mitologico esprime un legame magico, evidenziando nel contempo ciò che può imprigionare e ciò che può unire. La sapienza simboleggiata dal filo è un tipo di sapienza ancestrale ed intuitiva, la cui interezza consente una corretta comunicazione tra i soggetti, mentre la sua rottura ci induce a pensare al ciclo della vita e della morte.

A differenza dell’interpretazione convenzionale, il Minotauro idealizzato da Borges (12) e da Durenmatt (13) conduce la propria tormentata esistenza al centro di un labirinto composto da specchi, simbolo della ricerca del sé profondo, attraverso un costante confronto con i propri doppi. Questa non facile attività di introspezione sta ad indicare la volontà dell’uomo di accettare sia la parte umana che quella animale di sé stesso, attraverso la quale ha la possibilità di raggiungere uno stato di equilibrio. In particolare, le osservazioni di Durenmatt rovesciano il consueto punto di vista sulla vicenda: il Minotauro da carnefice diventa una vittima inconsapevole della sua essenza malefica. La creatura viene rinchiusa dal patrigno, perchè frutto della folle unione della moglie Pasifae con un toro, senza avere nessuna colpa per quel gesto.    Il Minotauro vive emarginato ed isolato da tutti, accontentandosi di vedere i suoi doppi attraverso gli specchi. Soltanto quando la rabbia gli fa rompere gli illusori vetri, capisce di essere solo  e respinto da tutti, fino all’inganno di Teseo che, per affrontarlo, si maschera lui stesso da mostro. La creatura, allora, vive un attimo di gioia, assaporando l’effimera gioia della compagnia di un altro essere, ma rapidamente Teseo lo trafigge, mettendo fine alla sua sofferenza. In questa versione Teseo rappresenta l’uomo ben integrato nella società, bello ed ammirato, ma superficiale e legato ai beni terreni. La sua meschinità, comunque già accennata nella versione originaria del mito, qui emerge in tutta la sua crudezza: adotta un piano astuto per sopraffare una creatura già sconfitta dal proprio stato di emarginazione. Come tutte le divinità classiche, anche Arianna, elevata nell’Olimpo ed erede dell’arcaica dea-serpente, protettrice del ciclo di nascita, morte e rinascita, presenta un lato luminoso ed un altro oscuro. In qualità di signora del labirinto, Arianna è nel contempo dispensatrice di morte e rigeneratrice di nuova vita che troverà in Dioniso il suo consorte nell’opera di rinnovamento. Alcuni studiosi vedono nella coppia l’espressione duale primigenia, nella quale Ariadne (14) è associata alla dea serpente e Dioniso al toro lunare.  Ed il Minotauro, come creatura che vive negli abissi, non poteva mancare nella Divina Commedia.  Dante e Virgilio lo incontrano nell’Inferno come guardiano del girone dei violenti. Il mostro cerca di sbarrare loro la strada, ma Virgilio riesce ad allontanarlo, come emblema della spiritualità che riesce a dominare gli istinti animali.      Meraviglia, invece, il fatto che Dante abbia collocato Pasifae nel Purgatorio, nel ventiseiesimo canto dedicato all’espiazione del peccato della lussuria. Di certo se c’è da attribuire una colpa, appare più grave quella derivante dalla scelta insana della donna, piuttosto che il suo frutto sfortunato ed inconsapevole.

In definitiva, il mito di Arianna e di Teseo, al di là della sua multiforme e complessa simbologia, peraltro plasmata ed adattata a secondo dei diversi contesti storici di riferimento, è uno dei più riusciti esempi “scenografici” dei fantasmi che popolano la nostra mente e delle idee ossessive da essa prodotte. Non ha il nostro cervello la forma di un intricato labirinto, solcato da un invisibile ed ideale filo d’Arianna?

 

Note:

(1) Cfr. Maurizio Bettini e Silvia Romani, Il mito di Arianna. Immagini e racconti dalla Grecia ad oggi, Edizioni Einaudi, Torino 2015;

(2) cfr. Enrico Baldassarre, Teseo ed Arianna. Un’indagine sul mito e le sue rielaborazioni storico-letterarie, Edizione Santoro, Roma 2017;

(3) Minosse è considerato più un personaggio mitologico che storico, anche se i primi riferimenti attendibili risalgono alla Guerra del Peloponneso, redatta da Tucidide;

(4) cfr. Sabina Colloredo, Teseo, il Minotauro e il filo di Arianna, Edizioni Elle, Trieste 2010;

(5) Con il mito di Arianna e Teseo, si intreccia quello ugualmente suggestivo di Dedalo e del figlio Icaro;

(6) Il riferimento proviene dalla famosa commedia teatrale Le rane, vincitrice  alle competizioni Lenee tenutesi ad Atene nel 405 a.C.;

(7) Di Egeo, padre di Teseo, i riferimenti più importanti sono quelli di Plutarco nelle Vite Parallele 1, di Apollodoro in Biblioteca III, e di Igino in Fabulae, 37;

(8) cfr. Alessandra Olive, Le danze del labirinto. Mito e archetipo in Martha Graham, Macerata 2010;

(9) cfr. C.G. Jung, Il libro rosso-liber novus, curatore Sonu Shamdasani, Editore Bollati Boringhieri, Torino 2010;

(10) cfr. Umberto Pestalozza, Matriarcato e divinità del mare. Saggi di religione mediterranea, Roma 2019;

(11) E’ di immediata evidenza che il nome del personaggio sia stato adoperato per attribuire il nome scientifico ai ragni; (12) cfr. www.loescher.it, versione pdf del testo, consultato in data 15/03/2021;

(13) cfr. Friedrich Durenmatt, Il Minotauro, Editore Marcos y Marcos, Milano 2001;

(14) il nome è probabilmente di origine pre-ellenica e, quindi, di difficile decifrazione. L’interpretazione più diffusa, già nella Grecia classica, è quella di “castissima” o “purissima”.

Luigi Angelino

2 Comments

  • Nebel 18 Marzo 2021

    Pasifae non ha “compiuto una scelta” autonoma. È stata indotta all’azione insana da Poseidone per vendetta nei confronti del marito. Dunque lei è innocente tanto quanto il figlio. Veramente colpevoli sono Minosse e Poseidone, che tra l’altro in quanto dio dovrebbe possedere intelligenza e giudizio superiori. Ancora una volta l’eredità patriarcale induce a colpevolizzare una donna per i desideri e gli atti di due uomini (dei quali uno è un dio).

    • Luigi Angelino 22 Marzo 2021

      Il concetto di “colpevolezza” del sistema giuridico razionale-positivo attuale è profondamente diverso da quello di carattere etico presente nelle civiltà antiche. Ed il passaggio da un’organizzazione sociale matriarcale ad una di tipo patriarcale è ampiamente sottolineato nell’articolo.
      Buona giornata

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