Quello della religione mitraica, è un ambito poco “battuto”, se non da pochi ed appassionati studiosi, sia a causa dei pochissimi testi originali, ad oggi, disponibili, che, probabilmente per una sorta di imbarazzo intellettuale a trattare quella che, a detta di un Ernst Renan, poteva ambire a divenire la “religio” ufficiale dell’Impero, al posto di quella cristiana. Tra i coraggiosi ed intrepidi studiosi ed esegeti di questo particolare culto, non possiamo non annoverare il Prof. Stefano Arcella che, con la sua ultima fatica sul tema, “Il Dio Splendente” della Arkeios Edizioni, porta agli studi sul mitraismo una serie di innovativi spunti di riflessione. Motivo conduttore del testo, la cui analisi sull’essenza del culto mitraico, è svolta con un linguaggio lineare e scolastico e, perciò stesso, ben approcciabile per chiunque, è la sua esatta contestualizzazione in quel particolare ambito culturale rappresentato dall’età ellenistica.
Di Mithra, in verità, in terra d’Oriente esistono pochissimi santuari, uno a Dura Europos in Siria e l’altro nella penisola anatolica (Turchia), al suo confine orientale, a Nemruth Dagh, nel suggestivo complesso funerario di Antioco III di Siria. Portato, si dice, a Roma da quei pirati cilici contro cui si battè Pompeo, ben presto, il suo culto subì una rielaborazione ed un riadattamento propri ai parametri della cultura romana, assumendo, in tal modo, le vesti di una vera e propria misteriosofia, così come noi, ad oggi, la conosciamo. L’essenza del mitraismo, sta tutta nella sua raffigurazione plastica, così come ad oggi, ci viene riportata dai numerosi rilievi marmorei a noi pervenutici. Il Dio è raffigurato nell’atto di compiere un sacrificio animale, sgozzando un toro (tauroctonia, per l’appunto…) tenendo lo sguardo rivolto al sole, mentre un serpente, uno scorpione ed un toro si accalcano attorno al toro in agonia. Alle estremità dei bassorilievi sono raffigurati due Eroti alati, i Dadofori Pates e Cautopates, intenti a far da cornice ed osservare la scena. La tauroctonia è, in verità, una sorta di atto palingenetico, attraverso il quale viene generata la volta celeste e stellata, all’insegna di una rinnovata armonia dell’universo intero, sotto i benauguranti occhi del sole. Un’immagine plastica, dalla forte carica sensuale e drammatica, che rivela tutta una serie di significati e di inaspettate influenze culturali che, con dovizia e cura, l’autore ci sottopone, non senza, però, lasciarci con qualche dubbio.
Uno tra tutti, l’idea, frutto delle suggestioni del Merkelbach, secondo la quale, a conferire al Mitraismo la sua impostazione ellenizzante sarebbe stata una, o anche più, figure-guida, nel ruolo di veri e propri profeti ispiratori. Una cosa questa che, invece, contrasta con l’idea di una spontanea evoluzione culturale, frutto di un silenzioso trasmettersi e trasmutarsi di forme sapienziali, attraverso culture, civiltà, contesti epocali ed in cui le singole figure hanno un ruolo quasi sempre marginale, al massimo di cantori o aedi di un atemporale sapere che, si trasforma e si ripropone continuamente, attraverso archetipi, figure e narrazioni mitopoietiche, come anche accaduto nel caso del mitraismo, per l’appunto. Ma, a parte questo particolare elemento, quella dell’Arcella è una narrazione semplice ed avvincente, che ci porta ad esaminare nel dettaglio, tutti quei motivi culturali che stanno alla base del Mitraismo e che ne fanno, pertanto, un complesso fenomeno culturale. Come abbiamo già avuto modo di rilevare, anche in questo caso sulla originaria matrice indo-iranica del mitraismo, si innestano tutta una serie di motivi propri dell’Ellenismo, in una originale amalgama di Neoplatonismo, Orfismo, Pitagorismo, non senza concreti richiami all’Astrologia di cui, a sua volta, è espressione tipica di questa fase della tarda classicità, quella forma di religiosità definita “planetaria” (di origine babilonese…), accostante le figure del Pantheon classico a pianeti e costellazioni, qui oggetto di un vero e proprio culto. Se l’orfico Phanes ( o Eros che dir si voglia…) nasce da quell’Uovo Primordiale da cui, scindendosi, fuoriescono quegli elementi quali Cielo, Terra ed Acqua, da cui sorgerà il creato intero, prima del quale sussisteva unicamente “nyx/notte”, l’oscuro Erebo primordiale, Mithra è invece “petrogenito”, generato da una pietra che si apre in due, accostandosi in tal modo, all’immagine della rottura dell’orfico Uovo Primordiale.
In ambedue le teogonie a prevalere è l’idea di un primordiale sacrificio, da cui scaturiscono gli Dei stessi e che va ripetendosi, trovando il suo perfetto compimento nell’atto della “tauroctonia”, attraverso il quale sorge il creato intero, (in questo caso raffigurato dalla volta stellata presente sul mantello del Dio iranico…). A determinare, però il ripetersi attraverso le ere, di una ciclica vicenda di morte e rinascita, l’immagine di Zurvan, o “Aion/Tempo senza Tempo”, il Leontocefalo, simbolo di un Tempo che, tutto divora e consuma ma che, nella sua consustanziale perennità sa farsi “Epochè/ Sospensione”, in tal modo rimarcando il proprio duplice e contraddittorio aspetto di principio cardine del Divenire da un lato e di principio immutabile ed eterno dall’altro, in tal modo conferendo agli Dei ed al Creato intero, una valenza di atemporalità tale, da farli apparire perenni, increati, al pari dell’Orfico Phanes/Eros, primordiale spinta propulsiva ad una generazione senza fine.
Gli oscuri e sotterranei antri, nei quali si praticavano il culto mitraico, ci riportano alla mente l’immagine della caverna platonica dalla quale il miste dovrà uscire, rinnovellato nell’animo e nello spirito, da una nuova forma di salvifica conoscenza che solo Mithra può conferire, attraverso un percorso iniziatico di realizzazione spirituale, da attuarsi attraverso una serie di tappe o gradi da percorrere, ognuna delle quali rappresenta un determinato stadio dell’animo umano. Una conoscenza alla cui base sta un’idea del divino monolatrica, sovrastata da quel Sol Invictus, di cui Aureliano prima e Giuliano imperatore dopo, furono i massimi apologeti, infine sovrastati e sconfitti da una rozza e massimalista fede cristiana, così come esemplificato dalle vicende di Simmaco e Pretestato, di cui il testo tratta a proposito delle sopravvivenze pagane nel tardo impero. Se quello di Sol Invictus rappresenta il lato “essoterico”, aperto, di una religiosità neoplatonica, tutta imperniata sugli scritti dei vari Profirio, Giamblico e Proclo, Mithra, invece, ne rappresenta il lato più oscuro, “esoterico”, poiché scava nei più profondi recessi dell’animo umano, collegandoli alla primordiale vicenda della nascita dell’universo.
E qui, si fa interessante il paragone che l’Arcella fa tra le vie “solari” del XX secolo,così come indicate da un Rudolph Steiner o da un Massimo Scaligero e la pratica cultuale mitraica volta, quest’ultima, ad una palingenesi dell’animo umano che trova nella “tauromachia” il proprio momento fondante. Uccidere il lato taurino, bestiale, lunare, del nostro animo, vuol dire aprirne i più profondi recessi a quella “solarità” che ne rappresenta la immediata palingenesi, a mò di ellenistica versione dell’orientale “satori”. Il paragone che l’autore fa con le pratiche antroposofiche, è sì ardito, ma assolutamente calzante, visto che, sebbene da scenari epocali differenti, ambedue le vie iniziatiche rappresentano una ricerca di connessione dell’animo umano con l’elemento “solare” e sovrasensibile in esso presente, animato da un Logos altrettanto “solare” e numinoso, verso il quale l’ “io” nella sua versione di “Atman”/”Io sovrasensibile”, tende a riconnettersi. Ma, mentre il Mitraismo, vive comunque in un’epoca che, anche se di profonda crisi spirituale e decadenza, risente del diretto riflesso di una religiosità politeista, rivolta alla Molteplicità dell’Essere e ad esso profondamente connessa, l’Antroposofia, invece,sorge in un’epoca impregnata dal più oscuro e profondo materialismo, in cui quell’immediato e sinergico contatto con l’Essere, di cui avevano potuto, in tutto o in parte, godere le precedenti forme di civiltà, è totalmente venuto a mancare. Pertanto la base di partenza per pervenire ad una effettiva “solarità”, starà proprio in quel dato sensibile dal quale, invece, in precedenza, ci si poteva molto più agevolmente, distaccare.
C’è un altro aspetto, però, che il Mitraismo assume e del quale, almeno nella pubblicistica ufficiale, non ci si è voluti occupare e che riguarda la finalità più recondita di questa pratica religiosa. In Ur, Julius Evola, nel commentare il Papiro Magico di Parigi, vede in tutto il complesso rituale mitraico, una vera e propria pratica teurgica, in grado, cioè, di portare il miste, attraverso i vari passaggi iniziatici, ad uno stato di divinizzazione o, quanto meno di completa osmosi e totale sinergia con la sostanza divina. Che, tali considerazioni siano pienamente coerenti con l’impostazione espressa da Evola, nella sua fase di maggior avvicinamento alla filosofia idealistica, in scritti come “Fenomenologia dell’Individuo Assoluto”, non può non lasciarci con l’interrogativo ancora aperto, sulla reale essenza del culto mitraico e sulla sua complessità. A questo punto, possiamo tranquillamente affermare che, quello di Mitra, rappresenta la tappa finale della religiosità romana e classica in genere, raccogliendo al proprio interno le più svariate influenze sia dal versante culturale ellenico (orfismo, neoplatonismo, pitagorismo, culto solare) che da quello iranico ed orientale in genere (religiosità indo-iranica, zoroastrismo, astrologia sacra, etc.), coniugati all’insegna di un deciso e spinto enoteismo solare. Mithra, Dio dei patti e dell’onore avrebbe dovuto rinsaldare e rinfrancare lo spirito di coesione attorno ad un’idea imperiale, messa in profonda crisi, anche dall’opera di delegittimazione, alimentata dal nascente sovversivismo cristiano. Il Mitraismo si fa, pertanto, ultimo, disperato tentativo, di opporsi allo sgretolamento spirituale della società romana veicolando, attraverso una misteriosofia solare, un messaggio di riscatto e potenziamento dell’Io, la realizzazione del quale, trova la sua rappresentazione figurativa nell’immagine del sacrificio cosmico primordiale (tauroctonia), compiuto da un Dio “mesites/mesites/intermediario”, tra la potenza solare ed il miste. Costui avrà la possibilità di realizzare il proprio “Io” sino a spingersi alla propria divinizzazione…
Ed allora, ecco che, dagli oscuri antri in cui si raffigurava il sacrificio del toro primordiale, mentre tutt’intorno un mondo andava in disfacimento, si sarebbe dipartito un messaggio che, al di là di contingenze e scenari epocali, avrebbe percorso, come un “fil noir”, i secoli a venire. Una suggestione, una tentazione senza nome, la muta rappresentazione di un dramma cosmico principiale, in grado di offrire all’uomo di tutti i tempi, la possibilità di pervenire, ad uno stadio superiore della propria esistenza. Questo, tramite il percorso iniziatico, di una forma di religiosità “enoteista”, in grado cioè di contemperare al proprio interno la molteplicità delle raffigurazioni divine accanto ad un unico e comune principio iniziale, “en kai pan/uno e tutto”, per l’appunto. Il che, per i grami tempi d’oggi, all’insegna della più grigia e codina omologazione al credo unico Tecno Economico, non sarebbe cosa da poco conto…
UMBERTO BIANCHI