8 Ottobre 2024
Attualità

Il mondo capovolto di Lupo De Lupis – Roberto Pecchioli

Per caso abbiamo ascoltato il dialogo tra due bambine delle scuole elementari: compunte, serissime come sanno essere a quell’età, discutevano dei massimi sistemi e sostenevano che i lupi sono buoni. Parola delle maestre. Ci è venuto in mente un cartone animato di tantissimi anni fa, il cui protagonista era Lupo De Lupis, “il lupo tanto buonino”. Aveva un romantico, mondano accento francese e, a differenza dei lupi delle fiabe e di quelli veri, era animato da ottimi sentimenti. Incompreso, finiva sempre per essere picchiato e cacciato, vittima del pregiudizio di essere un lupo.

Se Lupo De Lupis tornasse, sarebbe sorpreso di quanto è cambiato il mondo dagli oscuri anni Sessanta. In altri cartoni che hanno forgiato l’immaginario infantile di generazioni c’erano topi tutti “legge e ordine” – Topolino di Walt Disney- infallibile investigatore al servizio delle istituzioni, un gatto maldestro, Silvestro, che non riusciva mai a catturare il petulante canarino Titti e persino un leone mansueto, Svicolone, lesto a fuggire, doppiato con una gioviale cadenza bolognese.

Erano già in fila tutte le premesse del mondo sottosopra, alla rovescia, negatore della realtà naturale. L’ associazione di idee corre a un quadro surrealista di René Magritte, Il castello dei Pirenei. Una fortezza merlata dall’aspetto impenetrabile si erge sopra un enorme masso sospeso su un mare grigio e ondeggiante. Tra le varie interpretazioni “serie”, una, la meno attendibile, è la nostra: una civiltà arroccata in se stessa, priva di ancoraggi, sostenuta da un sistema di valori estranei alla realtà, fluttuante sul nulla, rappresentato dal mare minaccioso e scuro. Surrealismo, la rivincita impossibile di un mondo inesistente, irrazionale ed onirico.

Negli stessi anni di Lupo De Lupis, del gatto Silvestro e dell’orso Yoghi, socievole, bonaccione, simpatico ladruncolo dei cestini delle merende, ci entusiasmavamo al cinema per le imprese dei cow boys e dei soldati blu in lotta con i selvaggi pellerossa, colpevoli di difendere la terra dei padri dall’ ingordigia degli invasori.

Tutto era molto chiaro, benché già capovolto, in quella colonizzazione culturale. Il percorso ha raggiunto il suo culmine nel presente: lupi buoni, negazione della natura e della biologia a favore del “costrutto culturale”, disprezzo di tutto ciò che è stato faticosamente costruito nei secoli e nei millenni. Resta il bisogno umano di tracciare una linea che divide il bene e il male, una bussola per orientare il cammino. La differenza è l’inversione dei fattori, ma “noi” siamo sempre di qua (i buoni, colti, illuminati) e gli altri di là (i cattivi, i selvaggi). Josep Borrell, Alto (!!!) Rappresentante dell’Unione Europea per gli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza, a proposito delle guerre e delle turbolenze presenti, ha dichiarato che “noi siamo il giardino”. Gli altri-immaginiamo- l’orrenda oscurità da squarciare anche con le armi.

Certo, rassicura pensare che ci sia una linea di demarcazione tanto netta. Buoni e cattivi: semplifica le cose, specialmente se il giardino dei buoni è abitato da noi. Tracci una linea per terra e trascorri la vita a posizionare l’uno e l’altro di qua o di là in base al criterio che ti è stato fornito, ma che ritieni frutto della tua libera, virtuosa riflessione. Le esperienze, le vicende della vita, i capelli grigi fanno capire solo a qualcuno che la linea disegnata con tanta sicurezza è opaca e niente affatto retta.

La frontiera è tra chi è “uno di noi” e chi, non essendolo, entra nel novero dei malvagi e perfino degli sciocchi. Strano che i cretini stiano sempre dall’altro lato.

Prima la distinzione coinvolgeva anche gli animali. La gazzella e il leone, la volpe e le galline. Inutile ricordare chi è buono e chi cattivo. Eppure gli animali vivono di istinti e mancano di inclinazioni al bene o al male. Agiscono in base a ciò che serve alla conservazione della vita e della specie. Non aspirano ad altro, quindi è assurdo attribuire loro “diritti” nel senso umano del termine, come vuole una folle cultura dominante.  Il leone non odia la gazzella: è semplicemente carnivoro, il gatto non attacca per gusto topi o uccellini (l’orribile Titti…).  Quasi tutti, poi, come gli stessi umani finché non sono stati assaliti dalle ubbie della civilizzazione, hanno un forte istinto territoriale, difendono il “loro” spazio e la progenie. Sono forse tutti razzisti, da iscrivere senz’altro nel girone del Male?

Il caso del lupo è diverso, ha radici negli aspetti più profondi delle nostre paure. Per generazioni fu l’incarnazione del male e della cattiveria. Le madri zittivano i bambini minacciandone l’arrivo. Era il nemico dell’uomo perché colpiva le greggi e gli animali d’ allevamento. Ma soprattutto per l’apparente irrazionalità malvagia del suo comportamento: il lupo non si limita a cacciare per sfamare se stesso e il branco, ma azzanna, sgozza e lascia sul terreno le vittime.

 Per questo, l’inimicizia del contadino e dell’allevatore verso il lupo persiste e aumenta con l’avanzare dei branchi verso le aree dominate dagli uomini. Per converso, gli umani di città, che guardano solo la TV e cianciano di natura davanti all’aperitivo, privi di relazione con l’ambiente e le sue leggi, difendono i lupi sino a ribaltare la vecchia fama. Possono addirittura pensare che siano “buoni” e cattivo l’uomo che tende trappole o spara ai superbi esemplari di Canis Lupus – che non è un placido animale da salotto, solo un po’ più fiero e riservato. Forse viene scambiata per bontà la prudente tendenza a evitare la prossimità con l’homo sapiens.  Il lupo rappresenta il male in senso ancestrale, in quanto non uccide solo per soddisfare il suo appetito ma anche come modalità di scarico dell’adrenalina che si porta dentro, che non si esaurisce finché non ha sgozzato un certo numero di animali più deboli. Quella tensione non può essere fermata: è un disegno della natura, l’animale non ha scelta. È un lupo e si comporta da lupo: uccide e se ne va. Il lupo fa danni e l’uomo moderno – che considera il lupo “buono” e se stesso la quintessenza della civiltà e della bontà- fa leggi per proteggerlo. Nessuna malvagità nell’istinto dell’animale, ma in ossequio al sentire comune contemporaneo i “buoni” difendono i lupi, mentre “cattivi” sono coloro che difendono se stessi. In alcune zone rurali si è diffusa la consuetudine di inserire nel gregge un asino. Il simpatico equino- inseguito a sua volta dalla cattiva nomea di stupidità per la sua ritrosia a faticare per l’uomo- “sente” i lupi, raglia e avverte del pericolo. Non ci stupiremmo se la bontà dei Lupo De Lupis postmoderni considerasse tale pratica violenza contro il povero asinello.  Il privilegio di vivere in questo Occidente infatti è che siamo tutti buoni. Tranne pochi riottosi come lo scrivente, che – lo confessa con riluttanza- non amava Topolino, preferiva i soldati grigi confederati a quelli blu, stimava i guerrieri indiani, animati dal senso dell’onore e dal radicamento nella loro terra, ed era infastidito dalla bontà dolciastra di Garrone nel libro Cuore, il gigante povero e mitissimo, ligio all’autorità costituita. Non facevamo il tifo per Franti – il ragazzino torvo e maledetto, la malvagità in persona- ma l’abbiamo spesso giustificato. Fin dall’adolescenza, infatti, eravamo stati inseriti oltre la linea, nel campo dei cattivi.  Oggi tutti paiono buoni e benintenzionati, perfino i lupi, che impartiscono lezioncine travestiti da agnelli. Civiltà del buonismo: viva Lupo de Lupis.  Il risultato è che, nell’alluvione di finta bontà, tutto si capovolge e non ci sappiamo né vogliamo difendere. Se tutti sono buoni, a che serve? In lingua francese un’espressione idiomatica “entre chiens et loups”, tra cani e lupi, indica l’ora dell’imbrunire in cui colori e contorni sfumano e una cosa non si distingue più dall’altra.  I lupi non sono buoni, esattamente come non sono cattivi, due categorie soltanto umane. Per Ramiro De Maeztu, scrittore spagnolo, “essere è difendersi”. Difendersi non è attribuire categorie o etichette consolanti, ma distinguere con realismo il bene e il male per agire di conseguenza, seguire le tracce della verità senza credere nelle utopie di bontà universale. Non è vero che tutto può essere risolto attraverso il dialogo. Provate a dialogare con il lupo in azione, predicare tolleranza verso le pecorelle. Siamo così buoni e benintenzionati da dimenticare di difendere noi stessi e proteggere ciò che è nostro.  Branchi di lupi tanto buonini ci circondano. I loro morsi sono pensiero unico obbligatorio, minacce nucleari, dominio dei signori del denaro, imposizione di modelli esistenziali ed economici, boicottaggio di oleodotti, menzogne spacciate per clamorose verità scoperte solo da loro, virus che sfuggono ai cattivi pipistrelli. I lupi agiscono in branco se vedono un gregge debole, una difesa abbandonata. Un’Erinni seminuda del gruppo Femen irruppe in una chiesa urinando e simulando un aborto davanti alla Madonna: fa parte dei buoni, dovrà essere risarcita. Il suo era gesto era espressione del libero pensiero.  Buoni sono anche i cretini “climatici” che hanno cercato di deturpare i Girasoli di Van Gogh. Cattivo era il gigante olandese, anche se non riusciamo – al di là della furia nichilista- a comprendere il senso di ciò che fanno.  D’altronde, apparteniamo ai cattivi incalliti da troppo tempo per vedere la luce dei giusti. E giusti- come no- sono i liberatori anglosassoni i cui avi trassero popolazioni in schiavitù e legittimarono i corsari, banditi del mare autorizzati dalla Corona. Buoni per definizione, esportatori di bontà sotto forma di “democrazia”, quelli che lanciarono due ordigni nucleari su un nemico sconfitto, ci occupano e colonizzano la nostra mente, per impedirci di diventare cattivi.  E buoni, buonissimi, nonostante l’odio che distillano, sono quelli che considerano orribile il nuovo presidente della Camera, omofobo, allergico all’immigrazione, addirittura “putiniano” e- udite, udite- un empio che prega quotidianamente. Ohibò. Essere buoni significa pensare come loro, cioè quello che vogliono loro. I buoni, si sa, hanno casa a “sinistra”, una curiosa residenza da cui hanno sfrattato i poveri e gli operai per fare posto a stranieri e omosessuali. Una delle icone della bontà, Laura Boldrini, nel lanciare su Lorenzo Fontana gli anatemi del neo-bigottismo progressista, lo ha accusato di detestare i LGBTQIA+. Noi cattivi siamo incolti: non sapevamo che la A dell’acronimo designasse gli “asessuali”. Del resto ignoravamo anche di odiarli. Abbiamo imparato qualcosa e siamo grati all’esercito del bene che veglia su noi, mascalzoni che non si fidano dei lupi.   I finti buoni sono pappagalli che ripetono suoni, non concetti, altoparlanti o fotocopie, come disse il Beato quindicenne Carlo Acutis citato dal pessimo Fontana. Spettatori di un cartone animato in cui i rospi sono drag queen e il male si trasforma in bene, credono sinceramente nella bontà dei lupi. Inquilini del mondo capovolto, dicono, come le tre streghe di Macbeth, “bello è il brutto, e brutto è il bello. E voliamo nella nebbia e nell’aria sporca.”

3 Comments

  • Natascia 17 Ottobre 2022

    Il finto buonismo finira’con la fame.

  • Lupo nella Notte 18 Novembre 2022

    Se l’impianto generale dell’articolo è, da chi scrive, piú che condivisibile, gli esempi che vengono portati a supporto lo sono assai meno:

    > il lupo non si limita a cacciare per sfamare se stesso e il branco, ma azzanna, sgozza e lascia sul terreno le vittime.

    Come notato in piú di uno studio comportamentale, ciò non costituisce affatto la norma, come viene raccontato qui, ed avviene prevalentemente, sebbene non in esclusiva, nel caso di predazione su animali domestici, i quali, ormai completamente snaturati dal processo di domesticazione, reagiscono in maniera del tutto sconcertante per dei predatori che selvatici lo sono ancora, o meglio, non reagiscono affatto o quasi, rimanendo passivamente alla mercè dei loro aggressori, e sono inoltre prigionieri di un recinto che ne impedisce la fuga, tipicamente le pecore nell’ovile. Ciò causa la caduta di quell’istinto “inibitorio” che, all’abbattimento di una preda selvatica, induce, nella maggior parte dei casi, l’esemplare o gli esemplari coinvolti nella predazione – (Canis lupus è una specie comportamentalmente assai flessibile e non ha nella caccia in branco ormai proverbiale la sua unica modalità predatoria; spesso, anzi, i lupi cacciano soli o in coppia, raggiungendo in maniera che per noi risulta controintuitiva un tasso di successo anche piú alto rispetto a quando vi è impegnato un numero maggiore di individui (Mech, Boitani et al. 2003)) – a cessare di proseguire nella stessa poiché l’obiettivo è stato raggiunto. La riprova è che con le prede selvatiche questa “frenesia predatoria” si verifica assai piú di rado ma comunque sempre per una ragione naturalmente valida, quindi chiamare in causa un inesistente presunto compiacimento “istintualmente indotto” dello sgozzamento fine a sé stesso non ha alcun senso né tantomeno riscontro nella realtà dei fatti.
    Inoltre, tale pur innaturale comportamento perlopiú pesantemente condizionato dall’interferenza umana, non è affatto prerogativa dei soli lupi, come si sostiene nell’articolo senz’alcun riferimento a supporto, tant’è vero che in etologia ha una definizione ben precisa che è quella di “predazione in eccesso”, ed è propria a numerose specie animali predatrici elencate all’indirizzo che segue:

    https://it.wikipedia.org/wiki/Predazione_in_eccesso

    Un passo da un testo specialistico potrà fungere in proposito da ulteriore chiarimento:

    “Il lupo attacca le prede secondo meccanismi comportamentali in larga parte istintivi, ma in cui gioca un ruolo fondamentale il giusto svolgersi dell’interazione tra preda e predatore: nella sequenza di caccia la reazione della preda è essenziale a determinare lo stadio successivo.
    Nel caso di prede domestiche però queste reazioni sono del tutto anomale. Si tratta di animali risultato di una selezione artificiale che l’uomo ha condotto per far emergere particolari caratteristiche, in cui non è certo inclusa la capacità di sopravvivere in ambienti liberi. Non solo, ma l’assembramento delle greggi provoca una situazione anormale di densità dove la fuga è impedita o rallentata. All’attacco dei lupi le pecore non reagiscono con una fuga ordinata e selezionatrice, come farebbe un animale selvatico, ma con uno sbandamento totale e il terrore provoca solo una ulteriore eccitazione dei predatori. È proprio il comportamento “da preda” (sbandamento, paura, fuga) che scatena ancora di piú l’istinto del lupo. […] In questa situazione il lupo opera esattamente come un qualsiasi altro predatore: una piccolissima donnola in un pollaio o in una fagianiera di due o tremila capi, non si fermerà fino a che non avrà ucciso tutti gli uccelli. Lo stesso per una volpe in un pollaio o una conigliera” – Boitani, 1986

    > Per questo, l’inimicizia del contadino e dell’allevatore verso il lupo persiste e aumenta con l’avanzare dei branchi verso le aree dominate dagli uomini.

    Veramente per tradizione i contadini non hanno mai odiato i lupi, ma, al contrario, veniva da essi visto come un agente benefico, limitando e regolando il numero degli erbivori che danneggiavano i loro raccolti. Tale atteggiamento raggiunse il suo apice nel Paese del Sol Levante, dove l’appellativo di “Ōkami”, che letteralmente significa “Grande Spirito”, è usato anche, assai significativamente, per designare il Lupo, animale al quale i contadini tributavano grande venerazione affinché proteggesse i raccolti da cervi e cinghiali. E gli stessi Pellerossa, peraltro giustamente chiamati in causa dall’autore quale simbolo di resistenza oppositiva alla civiltà moderna antitradizionale, tenevano ugualmente in grande considerazione Shunkmanitu Tanka – piú o meno “il Grande Spirito che somiglia a un cane” (notare come identico appellativo si ripeta pur al variare di tradizioni geograficamente ed etnolinguisticamente distantissime ma che attingevano alla medesima Fonte). Né era loro ignota, cosí come non lo era a ogni altro popolo ancestrale che con essi coabitasse, e al contrario degli “ambientalisti” odierni persi in una proiezione fantastica e astratta della realtà – il solo termine “ambientalista” la dice poi assai lunga sulla sostanziale “sterilità” del linguaggio attuale – la nozione che a volte i lupi attaccassero l’uomo a scopo alimentare, senza che per questo essi ne venissero demonizzati. Solo da quando i contadini sono anche allevatori, confondendo cosí quelli che in principio e nell’alveo di un mondo veramente “tradizionale” erano due ruoli nettamente distinti – Caino e Abele, per dirla biblicamente… – hanno ereditato l’atteggiamento di aperta ostilità “licofoba” proprio agli allevatori “sic et simpliciter”.
    Nell’articolo traspare, inoltre, un’inversione di prospettiva per nulla strana al giorno d’oggi, eppure sempre rimarchevole in chi abbia espliciti riferimenti tradizionali: non sono infatti “i branchi” ad “avanzare verso le aree dominate dagli uomini”, ma semmai l’esatto contrario: è stata l’attività antropica a invadere anche alcune tra le piú riposte e impervie aree nelle quali i lupi e in genere i selvatici tutti, potevano ancora trovar riparo dall’esiziale contatto con l’attuale “civiltà” materialistica terminale.

    > Il lupo rappresenta il male in senso ancestrale, in quanto non uccide solo per soddisfare il suo appetito ma anche come modalità di scarico dell’adrenalina che si porta dentro, che non si esaurisce finché non ha sgozzato un certo numero di animali piú deboli. Quella tensione non può essere fermata: è un disegno della natura, l’animale non ha scelta. È un lupo e si comporta da lupo: uccide e se ne va.

    Piacerebbe sapere quali sono le fonti, e di che genere, usate dall’Autore per tracciare questo pittoresco quanto fantasioso e nel contempo stereotipato quadretto descrittivo dell’etologia lupina. In un simile mortificante abbandono a tutti i piú vieti pregiudizí sulla natura del Lupo incistatisi nell’immaginario umano nel corso dei secoli dell’Età Oscura, non può non giocare un ruolo fondamentale il pressoché inavvertito retroterra culturale di stampo religioso prima, positivistico poi, che ha a poco a poco plasmato la figura della “Bestia” per antonomasia, una Bestia che non è che la proiezione dei peggiori istinti “umaneschi” attribuiti per comodità a un’entità esteriore, concrezione degli abissi invece tutti interiori all’animo umano, o a ciò che ne rimane.
    Da rimarcare è inoltre come nonostante la corposa lista accessibile al succitato indirizzo wikipediano delle specie animali predatrici che occasionalmente si producono in comportamenti identici a quello di cui si tratta qui, questo non ha indotto nessuno ad affermare che tali specie rappresentino il male “in senso ancestrale”. Attenti al Lupo, insomma, e basta…

    Bisognerebbe anche chiedersi perché mai la Natura avrebbe “disegnato” un animale capace di un comportamento del tutto insensato, che non servirebbe né alla propria specie (salvo che per le necessità di sopravvivenza strettamente individuali piú cogenti, che però si ritorcerebbero contro gli stessi cospecifici, giacché a quel livello non converrebbe affatto sprecare in modo sistematico tante prede privando cosí la propria stessa specie di future fonti di sostentamento), né a quelle che si trova a predare, che ne risulterebbero decimate senz’alcun criterio selettivo. Piú che un “disegno” si direbbe piuttosto uno “scarabocchio”…

    Questo per quanto concerne gli appunti puramente logico-scientifici; quanto a quelli frutto di un punto di vista tradizionale, si dirà che definire il Lupo quale simbolo “del male in senso ancestrale” significa ignorare bellamente che per tutte le tradizioni boreali esso era invece simbolo della luce iperborea, un simbolo luminoso, insomma, e niente affatto “oscuro”. In tale ottica, nella Civiltà Classica Greco-Romana era animale sacro ad Apollo, dio della pura conoscenza intellettuale, tant’è che persino il principale tempio dedicato al dio, quello di Delfi, ricadeva sotto l’egida del Lupo, che ne costituiva il protettore, e aspetti analoghi erano presenti praticamente in tutte le tradizioni collegate. La sua figura si capovolge solo con l’avvento del Cristianesimo, dove le metafore a sfondo pastorale sono la norma: se il popolo di Dio è un Gregge, è chiaro che il Lupo non potrà che essere il diavolo. Ma con il Cristianesimo istituzionale la prospettiva è già sufficientemente distorta…

    Se la difesa di sacrosante istanze antimodernistiche dall’assalto dell’attuale “ésprit du temps” digitalizzato e contronaturale deve passare per il ripescaggio di uno sterile quanto vieto immaginario luogocomunistico che riprende certe caratteristiche di stampo demonizzatorio solo per “convertirle” in direzione “biologistica” e quindi, ironia della sorte, e a dispetto di ogni piú limpida intenzione di partenza, ugualmente modernistica mantenendole sostanzialmente inalterate – se prima, infatti, per il bigottismo cattolico medievale era l’incarnazione del Male perché asservito al Maligno, ora lo sarebbe ugualmente, ma solo per cieca istintualità – a danno di quello che viene qui definito quasi cartesianamente, come una sorta di automa biologico in balia di sordi istinti ineluttabili – ma, per ciò che concerne Canis Lupus, la casistica è ricca invece di esempi di grandi capacità “sublimatrici” del puro istinto, poste in essere in condizioni di particolare necessità nelle quali gli appartenenti a tale specie hanno dato prova tanto individualmente quanto collettivamente di grandi intelligenza, astuzia e capacità adattative, pur non essendo tutto ciò ovviamente una loro esclusiva – allora, forse, provocatoriamente, vien di dire che sarebbe meglio la “vecchia” demonizzazione rispetto a tale distorta “naturalizzazione di ritorno” solo ingannevolmente reattiva nei confronti di quella che si potrebbe benissimo definire la “sterilizzazione ontologica” dell’Età Oscura.

    Meglio il “lupo cattivo” di Cappuccetto Rosso, insomma, non solo di quello buonistico e irreale giustamente stigmatizzato nell’articolo, ma anche di quest’altro insipido lupastro “naturalisticamente” neutro, non buono né cattivo, ma neanche piú sanamente feroce; solo razionalmente inserito in un’organizzazione anodina che non prevede una dimensione spirituale ma nient’altro che istanze biologiche subpersonali agite su un piano puramente “grossolano”, un lupo altrettanto irreale che sembra fare da “pendant” etologico alla ormai tanto sbandierata neutralità sessuale, tanto da sembrare solo “diversamente” politicamente corretto.

    • Ereticamente 24 Novembre 2022

      Gentile lettore, i commenti troppo lunghi vengono classificati spam in automatico pertanto La invitiamo la prossima volta a spalmare i commenti in più parti. Grazie

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