8 Ottobre 2024
Attualità

Il … paradosso del “paradosso di Popper”: il Salone del Libro e i nostalgici di Del Poggetto – Luigi Morrone

L’allontanamento dell’editore Altaforte dal Salone del libro di Torino è un precedente unico nella storia della manifestazione. Impressionante l’attacco alla piccola casa editrice, con un fuoco concentrico che è partito da intellettuali à la page (in gran parte coincidenti con quelli che nel 2004 firmarono l’appello in favore di Cesare Battisti), dall’immancabile ANPI che ormai agisce da soggetto politico a sé stante, è rimbalzato quasi come parola d’ordine sui mezzi di comunicazione di massa, ed ha avuto accoglienza nelle istituzioni (1), per culminare con il rifiuto di una reduce di Auschwitz di partecipare alla manifestazione se non fosse stata esclusa la casa editrice in questione, rifiuto che ha indotto gli organizzatori a recedere dal contratto con Altaforte. La parola d’ordine è la solita: antifascismo. Il titolare della piccola casa editrice si sarebbe macchiato del delitto di apologia di fascismo. Sul piano giuridico, l’accusa è inconsistente. La XII disposizione transitoria della Costituzione vieta la RICOSTITUZIONE del disciolto partito fascista. Giorgio La Pira, in seno alla Prima sottocommissione permanente per la Costituzione avrebbe voluto:
1. che la norma venisse inserita nel testo della Costituzione e non in una norma finale;
2. che vietasse qualunque formazione che avesse fini in contrasto con la legge penale “e con le libertà garantite dalla presente dichiarazione”.

La proposta venne discussa nella seduta del 25 settembre 1946 (2) , relatori Lelio Basso (socialista) e Giorgio La Pira (democristiano). Si discute della libertà di associazione. Il relatore Basso comunicò che la frase “e con le libertà garantite dalla presente dichiarazione” è stata proposta da La Pira, ma da lui non accettata «… perché tra le libertà che la Costituzione garantisce c’è un diritto di proprietà. Ora il partito socialista è appunto un’associazione che si riunisce con il compito di ridurre la proprietà o di vietarla.

Non vorrebbe che domani si potesse giungere a vietare al partito socialista di riunirsi – e così pure al partito comunista – prendendo pretesto da un contrasto, vero o presunto, con le libertà garantite dalla Costituzione». Il grande latinista Concetto Marchesi, comunista, rincarò la dose: «… si dichiara contrario all’inciso proposto dall’onorevole La Pira. Ritiene che esso apra la via a molti abusi. La Costituzione stabilisce alcune libertà in un ordinamento costituito, il quale non esclude altri ordinamenti che aspirano a costituirsi. L’onorevole Basso ha parlato della libertà di proprietà; egli porterà un altro esempio: la Costituzione afferma la libertà di religione; domani potrebbe sorgere un’associazione – di cui egli non farebbe mai parte – a carattere anti-religioso, e questa associazione potrebbe essere proibita proprio in base all’inciso che si vuole introdurre nell’articolo, mentre anch’essa dovrebbe avere la libertà di svolgere una propria attività associativa, ben inteso nei limiti posti dalla legge».

Il democristiano Moro, viceversa, propose di vietare le associazioni che avessero fini in contrasto “con le libertà democratiche sancite dalla Costituzione” (3) . La proposta venne respinta. Il socialista Mancini propose di vietare esplicitamente le associazioni “fasciste”, ma la proposta non trovò alcun assenso e non venne neanche messa ai voti. Il problema del divieto di organizzazioni fasciste si ripropose nella seduta del 19 novembre 1946 (4) , in sede di discussione in merito al pluripartitismo. I socialisti Merlin e Mancini proposero per i partiti politici una norma così concepita: “I cittadini hanno diritto di organizzarsi in partiti politici che si formino con metodo democratico e rispettino la dignità e la personalità umana”.

Concetto Marchesi si oppose, e subito trasparì il perché: «… Rileva che mentre il partito comunista vuole essere lo strumento del rinnovamento e della trasformazione civile e sociale, non pochi sono del parere che esso tenda invece ad una dittatura del proletariato, cioè ad una forma di tirannia. Dichiara che la cosa non risponde a verità … Ha ragioni per ritenere che questo, che è il reale pensiero dei comunisti, non sia riconosciuto da altri partiti, e fa presente che anche un Governo con basi democratiche potrebbe, servendosi dell’articolo in esame, mettere senz’altro il partito comunista fuori legge». Vedremo che i timori di Concetto Marchesi erano fondati. Togliatti, segretario del Partito Comunista, aderì ai timori di Marchesi, perché avrebbe potuto sorgere in futuro un partito antidemocratico ed «È del parere che dovrebbe essere combattuto sul terreno della competizione politica democratica, convincendo gli aderenti al movimento della falsità delle loro idee, ma non si potrà negargli il diritto di esistere e di svilupparsi, solo perché rifiuta alcuni dei principi contenuti nella formula in esame». E propose di varare una norma che si riferisse esclusivamente a “movimenti esistenti”, vietando solo la ricostituzione del partito fascista quale si è conosciuto: «… quel movimento politico che prese corpo in Italia dal 1919 fino al 25 luglio 1943, e che si chiamò fascismo». Ad alcune obiezioni, «Fa presente che nella sua proposta egli si limita al richiamo storico del partito fascista quale si è manifestato nella realtà politica del Paese dal 1919 al 1943 e non è quindi possibile alcuna interpretazione equivoca». Propose, dunque, la formulazione: «È proibita sotto qualsiasi forma la riorganizzazione del partito fascista», che venne approvata all’unanimità e fu poi ratificata in sede di coordinamento del testo del Progetto di Costituzione (5) come I disposizione finale, aggiungendo l’aggettivo “disciolto”, in modo da eliminare ogni dubbio in merito al fatto che la norma colpisca esclusivamente UN partito: “quel movimento politico che prese corpo in Italia dal 1919 fino al 25 luglio 1943, e che si chiamò fascismo” (6) . La I disposizione divenne XII nel testo definitivo approvato dall’Assemblea, discusso in parte qua nella seduta del 29 ottobre 1947 (7) .

E la Costituzione non proibisce in alcun modo di dichiarare la propria adesione a questo o quel principio fatto proprio dal movimento fascista e neanche di aderi vi in toto. Ne vieta solo la ricostituzione. Né, come si evince dagli atti della Costituente, è stata vietata qualunque organizzazione “non allineata” con i principi Costituzionali. Si ricorda, en passant, che il 2° comma dell’art. 9 della Grundgesetz (Costituzione) tedesca del 1949 dispone: «Sono proibite le associazioni i cui scopi o la cui attività contrastino con le leggi penali o siano dirette contro l’ordinamento costituzionale, o contro il principio della comprensione fra i popoli», cioè una formulazione simile a quella proposta da Moro alla Costituente, onde l’art. 21 attribuisce al Bundesverfassungsgericht (Corte Costituzionale) il potere di sciogliere “I partiti, che per le loro finalità o per il comportamento dei loro aderenti si prefiggono di attentare all’ordinamento costituzionale democratico e liberale, o di sovvertirlo”: in base a questa norma, il Bundesverfassungsgericht, il 17 agosto 1956 ha disposto lo scioglimento della KommunistischeParteiDeutschlands (Partito Comunista di Germania) (8) , così confermando i timori espressi da Concetto Marchesi alla Costituente.

Per l’attuazione della XII disposizione finale della Costituzione, venne varata, nel 1952, una legge ordinaria (9) , che vieta anche reati di opinione, come l’apologia di fascismo (art. 4), o le “manifestazioni fasciste” (art. 5). La Corte Costituzionale, con sentenza interpretativa di rigetto (10) n. 1 del 26 gennaio 1957 (11) chiarì, però che «… l’apologia del fascismo, per assumere carattere di reato, deve consistere non in una difesa elogiativa, ma in una esaltazione tale da potere condurre alla riorganizzazione del partito fascista. Ciò significa che deve essere considerata non già in sé e per sé, ma in rapporto a quella riorganizzazione, che è vietata dalla XII disposizione». Identica pronuncia per il reato di “manifestazione fascista”, con sentenza 6 dicembre 1958 n. 74, in cui si afferma: «Chi esamini il testo dell’art. 5 della legge isolatamente dalle altre disposizioni, e si limiti a darne una interpretazione letterale, può essere indotto … a supporre che la norma denunziata preveda come fatto punibile qualunque parola o gesto, anche il più innocuo, che ricordi comunque il regime fascista e gli uomini che lo impersonarono ed esprima semplicemente il pensiero o il sentimento, eventualmente occasionale o transeunte, di un individuo, il quale indossi una camicia nera o intoni un canto o lanci un grido. Ma una simile interpretazione della norma non si può ritenere conforme alla intenzione del legislatore, il quale, dichiarando espressamente di voler impedire la riorganizzazione del disciolto partito fascista, ha inteso vietare e punire non già una qualunque manifestazione del pensiero, tutelata dall’art. 21 della Costituzione, bensì quelle manifestazioni usuali del disciolto partito che … possono determinare il pericolo che si è voluto evitare».

Quindi, esaltare gerarchi fascisti, esibirsi in saluti romani o andare in pellegrinaggio a Predappio, non possono considerarsi reato in sé e per sé, perché è vietata la ricostituzione del partito fascista, con una limitazione del diritto di associazione, mentre in nessun modo il Costituente ha inteso limitare la libertà di esprimere le proprie opinioni. Di conseguenza, in sede dottrinaria si è ritenuto che, ove approvata, la c.d. “Legge Fiano” (12) che mirava a mettere al bando tout court qualsiasi forma di “propaganda fascista” sarebbe stata costituzionalmente illegittima, per violazione dell’art. 21 della Costituzione, in quanto «Usando la ragione e non i sentimenti, mi pare proprio che la XII disposizione nonoffra alcuna giustificazione costituzionale alla lesione della libertà di manifestazione del pensiero ad opera di una norma che arretra la soglia della punibilità al momentodella mera propaganda» (13) . Viepiù, la limitazione alla libertà di associazione, come detto, riguarda la ricostituzione di UN partito, onde vieta la costituzione non di qualunque associazione che si proclami “fascista”, bensì di un’associazione che persegua, come finalità, quelle di eliminare la dialettica politica mercé istituzione di un partito unico, o si proponga di adottare metodi violenti per la realizzazione dei propri scopi (14). Di nessuna consistenza giuridica, dunque, l’accusa di “apologia di fascismo”. Inconsistente è, tuttavia, il dato politico e, soprattutto culturale.

Sul piano politico, com’è stato acutamente osservato: «In democrazia ognuno può fare ciò che vuole, nella misura in cui non nuoce agli altri. Per lo stesso motivo, come garantisce l’articolo 21 della Costituzione, ognuno ha diritto di esprimere liberamente le proprie idee per quanto aberranti possano apparire al pensiero contemporaneo. L’unico discrimine è che nessuna idea, buona o sbagliata che sia, può essere fatta valere con la violenza. Invece dai garantisti un tanto al chilo, che non hanno nemmeno l’idea di che cosa sia un regime liberale e democratico, si invocano le manette contro idee, fasciste, ‘sovraniste’ e, sia pure in modo indiretto, contro Matteo Salvini che ha pubblicato un libro-intervista con Altaforte. Non so se costoro si rendono conto del vaso di Pandora che stanno aprendo. Quando si viola un principio di libertà, anche con le migliori intenzioni di cui peraltro è lastricato l’inferno, si sa dove si comincia ma non dove si finisce» (15).

Paradossalmente, i medesimi timori agitati alla Costituente da coloro di cui gli attuali censori di Altaforte dovrebbero essere gli epigoni. E non mancano i precedenti che avvalorano tali timori. Paradigmatico il caso portoghese: dopo la “Rivoluzione dei Garofani”, in Portogallo, ci fu un periodo di incertezza, da cui emerse il “Consiglio della Rivoluzione” che, tra l’altro, dichiarò fuori legge la Democrazia Cristiana, accusata, logicamente, di “fascismo” (16) . Le giustificazioni addotte dai censori per questo atto senza precedenti, si riducono ad una meccanica ripetizione di slogan quali “alzare la guardia”, “restare vigili” ed altre affermazioni prive di contenuto concettuale, mentre viene citato – come si dice a Napoli – “a schiovere” (17) il cosiddetto “paradosso di Popper”, per il quale una società basata sulla tolleranza deve essere intolleranti con gli intolleranti (18).

Ora, che gli aventi causa di coloro che decretarono per trent’anni l’ostracismo a Popper (19) adesso lo invochino quale Oracolo può solo far sorridere chi è avvezzo a certe giravolte degli intellettuali italiani adusi all’egemonia nel mondo della cultura. Il punto è che, appunto, il paradosso viene citato “a schiovere”, perché in realtà, Popper dice: «In questa formulazione, io non implico, per esem-pio, che si debbano sempre sopprimere le manifestazioni delle filosofie intolleranti; finché possiamo contrastarle con argomentazioni razionali e farle tenere sotto controllo dall’opinione pubblica, la soppressione sarebbe certamente la meno saggia delle decisioni. Ma dobbiamo proclamare il diritto di sopprimerle, se necessario, anche con la forza; perché può facilmente avvenire che esse non siano disposte a incontrarci a livello dell’argomentazione razionale, ma pretendano di ripudiare ogni argomentazione; esse possono vietare ai loro seguaci di prestare ascolto all’argomentazione razionale, perché considerata ingannevole, e invitarli a rispondere agli argomenti con l’uso dei pugni o delle pistole» (20).

Quindi, per Popper, bisogna essere intolleranti con chi NEI METODI è intollerante, con chi ripudia il dialogo, con chi risponde alle argomentazioni altrui con la violenza. Ma non è questa l’accusa rivolta ad Altaforte dai censori. L’accusa è – semplicemente – quella di “fascismo” che, secondo gli emuli di Bertrando del Poggetto (21) , implicherebbe di per sé l’uso di metodi violenti. Sta di fatto che il fascismo non è certo l’unica “ideologia” (22) che usò la violenza per la conquista del potere, né l’unica che la predicò, per cui è del tutto fuori luogo l’equiparazione fascismo = intolleranza. E, per restare a Popper, esiste in Italia una legislazione che punisce non solo gli atti di violenza compiuti uti singuli, ma anche coloro che “invitano a rispondere agli argomenti con l’uso dei pugni o delle pistole”: esiste, certo, la “legge Scelba”, ma esistono norme di un “codice fascista” contro “Chiunque nel territorio dello Stato promuove, costituisce, organizza o dirige associazioni dirette e idonee a sovvertire violentemente gli ordinamenti economici o sociali costituiti nello Stato ovvero a sopprimere violentemente l’ordinamento politico e giuridico dello Stato” (art. 270 c.p.), e lo Stato democratico ha comunque protetto sé stesso con l’aggiunta della punizione di “Chiunque promuove, costituisce, organizza, dirige o finanzia associazioni che si propongono il compimento di atti di violenza con finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico” (art. 270 bis), per cui, si ribadisce per l’ennesima volta, il “paradosso di Popper” è invocato “a schiovere”.

Anche sul piano culturale, è priva di qualsivoglia giustificazione l’esclusione di Altaforte dal Salone del Libro. Non esiste, tra i titoli pubblicati dalla Casa Editrice, alcuna esaltazione di metodi violenti per condurre la lotta politica. Soprattutto, non esiste alcun libro edito da Altaforte che esalti la persecuzione degli ebrei tra gli anni 30-40 del secolo scorso o la neghi (23) , come hanno erroneamente riferito alla reduce di Auschwitz Halina Birenbaum, che ha così motivato il suo “O io o loro”.

Va precisato che al Salone del Libro sono stati presenti libri di ispirazione razzista, come il “Saggio sull’ineguaglianza delle razze umane” di Joseph Arthur de Gobineau edito dalle edizioni di AR (24) , nonché svariati autori che si ispirano, direttamente o indirettamente alle esperienze fasciste. Nella stessa edizione 2019 da cui è stata esclusa Altaforte, è stato celebrato Emil Cioran, che militò nella Guardia di Ferro del fascista rumeno Corneliu Zelea Codreanu. Certo, è in atto da anni un’operazione, chiamata con un orrido anglismo polically correcteness, mediante la quale «… le classi dirigenti delle società occidentali globalizzate contemporanee hanno adottato, negli ultimi decenni, una retorica che pretende un monopolio inflessibile sulla dialettica civile e politica … Una retorica proposta come morale che si auspica universalmente condivisa a prescindere, e identificata in modo insistente con l’idea stessa di progresso, veicolata in ogni sede» (25) , ma – appunto – la persecuzione degli eretici rispetto alla dottrina della Fede nel politicamente corretto non ha mai trovato ingresso al Salone del Libro.

Perché proprio Altaforte?

Una piccola casa editrice, che non ha mezzi per veicolare i propri titoli, che prima di questa polemica era sconosciuta ai più, perché diventa bersaglio dei custodi del politicamente corretto? Tra l’altro, con una curiosa eterogenesi dei fini: con la pubblicità derivata dal battage mediatico sul caso, i libri dell’editrice Altaforte sono balzati in testa alle classifiche editoriali (26). Non vale neanche il richiamo a presunti precedenti di episodi di violenza in cui sarebbe stato coinvolto l’editore: al Salone del libro ha concionato Adriano Sofri, condannato per l’omicidio Calabresi (27) ; in passato la rassegna ha ospitato i terroristi Adriana Faranda e Renato Curcio. Si è sostenuto che la “colpa” della casa editrice sarebbe la pubblicazione di un libro – intervista con il ministro dell’Interno Matteo Salvini (28) , per cui, con un’acrobazia dialettica che richiama la militanza di Francesco Polacchi in CasaPound – ci si domanda – un politico del passato, avrebbe pubblicato i suoi libri con una casa editrice di Ordine Nuovo?

Riteniamo che, in effetti, l’esclusione sia legata, sì, al libro intervista con Matteo Salvini, ma non per le ragioni ipotizzate da Sofri, che possono legittimare una polemica politica con il Ministro che ha rilasciato l’intervista, non la censura all’editrice che l’ha pubblicata. Molto più fondata l’ipotesi di molti, per i quali l’antifascismo è “l’ultima trincea” in cui si rifugia un certo mondo quando vede crollare i consensi, per cui un abbinamento tra Salvini, additato come “fascista” da certa pubblicistica, ad un movimento come CasaPound che ripudia ogni forma di antifascismo, ha dato fiato alle trombe delle vestali del politicamente corretto che si illudono così di recuperare il terreno perso (29). Noi, però, abbiamo un’ipotesi molto più “terrena”. Gli “intellettuali” firmaioli sono nella stragrande maggioranza persone di poco o nessuno spessore culturale (vengono in mente solo Salvatore Settis e Carlo Ginzburg, come gente di un certo rilievo scientifico), che campa solo grazie ad una “bolla” del politicamente corretto che consente di avere visibilità, da cui conseguono fiumi di sovvenzioni pubbliche, dirette o indirette (30).

Che un editore “non allineato” abbia pubblicato un libro – intervista di un Ministro in carica, ha fatto scattare in costoro quella che Bernardino Telesio chiamava “etica dell’autoconservazione”, ha fatto scattare la furia di chi teme che del fiume di denaro pubblico che drena qualche rivolo possa deviare dai soliti flussi. E quale migliore arma da brandire, se non l’antifascismo? Ma il “vaso di Pandora” di cui parla Massimo Fini non è solo quello del precedente pericoloso per il quale censura chiama censura: è anche un altro. Radicalizzare lo scontro, negare cittadinanza alle idee altrui, con il pretesto dell’antifascismo, è stato il “terreno di coltura” degli anni di piombo, della lunga scia di sangue tra gli anni Settanta e Ottanta, dell’ “uccidere un fascista non è reato”. Perché c’è il paradosso del pa-radosso: chi invoca “a schiovere” il paradosso di Popper per pretendere censure, è proprio quella gente che – come dice Popper – non sono disposte a incontrare chi la pensa diversamente a livello dell’argomentazione razionale, ma pretendono di ripudiare ogni argomentazione e, magari, invitano a rispondere agli argomenti con l’uso dei pugni o delle pistole.

Note:

1 – In particolare, nel Sindaco di Torino, Chiara Appendino, e nel Presidente della Regione Piemonte, Sergio Chiamparino – cfr. “Il Salone rompe con Altaforte”, Corriere della Sera 9 maggio 2019, p. 13.
2 – Atti dell’Assemblea Costituente – Commissione per la Costituzione – Lavori della Prima Sottocommissione – resoconto sommario della seduta del 25 settembre 1946 – pp. 120 ss.
3 – La dizione proposta da Moro apparirebbe in linea con l’art. 17 del Trattato di Parigi del 10 febbraio 1947, nel quale l’Italia si impegnava a «… non permettere, in territorio italiano, la rinascita di organizzazioni, siano esse politiche, militari o militarizzate, che abbiano per oggetto di privare il popolo dei suoi diritti democratici», ma la parola “rinascita”, anziché “nascita” consente di ritenere che il Trattato si riferisca esclusivamente alle formazioni fasciste. A questa interpretazione restrittiva soccorre il fatto che il Trattato fu, in realtà, un diktat imposto dalle Potenze vincitrici della Seconda guerra mondiale, tra cui vi era l’URSS comunista, in cui le “libertà democratiche” riconosciute non erano coincidenti con quelle riconosciute dalla Costituzione italiana.
4 – Atti dell’Assemblea Costituente – Commissione per la Costituzione – Lavori della Prima Sottocommissione – resoconto sommario della seduta del 19novembre 1946 – pp. 403 ss.
5 – Presentato all’Assemblea il 31 gennaio 1947.
6 – Il PNF fu “disciolto” con Regio Decreto-legge 2 agosto 1943, n. 704.
7 – Atti dell’Assemblea Costituente – resoconto sommario della seduta del 29 ottobre 1947 – pp. 1651 ss.
8 – Heinz Laufer, “Verfassungsgerichtsbarkeit und politischerProzeß”, Mohr Siebeck, Tübingen 1968, § 476
legge 20 giugno 1952, n. 645, comunemente conosciuta come “Legge Scelba”, dal nome del Ministro dell’Interno proponente
9 – Sulle sentenze interpretative di rigetto, cfr. Andrea Pisaneschi, “Diritto Costituzionale”, Giappichelli, Torino 2017, pp. 619 ss.
10 – Le decisioni della Corte sono liberamente consultabili sul sito http://www.giurcost.org/decisioni/index.html
11 – Approvata dalla Camera dei deputati il 12 settembre 2017 ma non proposta al Senato
12 – Giulio Enea Vigevani, “Origine e attualità del dibattito sulla XII disposizione finale della Costituzione: i limiti della tutela della democrazia”, in MediaLaws – Rivista dir. media, 1, 2019.
13 – Significativo il caso del movimento fondato dal giornalista ex senatore del MSI Giorgio Pisanò, denominato “Fascismo e Libertà”, avente quale simbolo il fascio littorio adottato dal Partito Fascista Repubblicano. La Magistratura ha costantemente escluso che la costituzione di tale movimento violi la XII disposizione finale della Costituzione: da ultimo, archiviazione del GIP presso il Tribunale di Bologna del 22 dicembre 2016.
14 – Massimo Fini “L’antifascismo non sia un fascismo al contrario” – Il Fatto Quotidiano, 8 maggio 2019.
15 – Aldo Cazzullo – “I ragazzi che volevano fare la rivoluzione, 1968-1978: storia di Lotta Continua”, seconda edizione, Mondadori, Milano 2015 – p. 206. Curiosa la posizione del futuro Presidente della Repubblica, Sandro Pertini, che protesta per quello che considera un vulnus alla dialettica dei partiti, ma poi scrive una lettera a Lotta Continua: «Io ho protestato perché nel Portogallo sono stati messi fuori legge non solo la Democrazia cristiana, ma anche due partiti di estrema sinistra. A voi tutti cari compagni i miei saluti fraterni» (“Portogallo: una lettera del compagno Pertini”, in Lotta continua, 28 marzo 1975. Quindi, in nome dell’antifascismo si può sciogliere un partito cattolico, non partiti di “estrema sinistra” … l’espressione è a mio avviso intraducibile, perché significa “a vanvera”, “a sproposito”, ma ha delle sfumature che potrebbero essere rese solo con lunghe perifrasi.
16 – Giulio Cavalli – “Ma quale tolleranza? I fascisti al Salone del libro sono la negazione della democrazia”, sul giornale Online “TPINEWS” dell’8 maggio 2019
17 – “La società aperta e i suoi nemici”, pubblicato nel 1945, vide la luce in Italia solo nel 1973
18 – Op. cit., vol. I, “Platone totalitario”, Edizione del Centenario, Armando, Roma 2002, p. 254 n. 4
19 – Il cardinale che bruciò in pubblica piazza il “De Monarchia” di Dante.
20 – Riferita al Fascismo, l’espressione è impropria, ma la utilizziamo per semplificazione di linguaggio.
21 – Cfr. le puntualizzazioni dell’editore Francesco Polacchi al nostro sito, consultabile all’indirizzo.

22 –  https://www.ereticamente.net/2019/05/ereticamente-intervista-francesco-polacchi-editore-di-altafor-te.html?

23 –  fbclid=IwAR3q09HU_dI0AcswDMVHTl0tvNqm8pfxteSAEi_P3OY2YZsaDD3WAtaASOE
24 – Antonio Dall’Igna, La mercatura e la vocazione, in RisguardoEd. AR, 2013, p. 151
25 – Eugenio Capozzi, “Politicamente corretto”, Marsilio, Venezia 2018, pos. Kindle 69.
26 – http://www.la7.it/coffee-break/video/il-libro-io-sono-matteo-salvini-%C3%A8-in-testa-alle-classifiche-10-05-2019-271311
27 – https://www.salonelibro.it/news/178-la-scrittrice-masha-gessen-racconta-la-russia.html
28 – Adriano Sofri – “Il punto non è Altaforte, ma la combinazione fra CasaPound e Salvini” – Il Foglio 8 Maggio 2019
29 – Alessandro Gnocchi – “I conformisti del salone del libro”, Il Giornale, 4 maggio 2019
30 – Emblematico il caso di Pierfrancesco Diliberto “Pif”, “mattatore” di film interamente (o quasi interamente) finanziati, direttamente o indirettamente, dalla mano pubblica

Luigi Morrone

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