Il pensiero corrente dell’Europa e dell’Occidente terminale può essere definito in vari modi. A noi piace un’espressione coniata nel 2006 da Gustavo Bueno, filosofo spagnolo: pensiero Alice. Quasi tutti ricordano il libro per l’infanzia Alice nel paese nelle meraviglie, dell’inglese Lewis Carroll. Narra le vicende di una ragazzina, Alice, che cade in una tana di coniglio – il Bianconiglio – ed entra in un mondo fantastico popolato da strane creature antropomorfe. Carroll gioca con la logica e penetra nel territorio del nonsenso, in un racconto che sa affascinare anche gli adulti. Alice nel paese delle meraviglie (Wonderland) non trasfigura la realtà, la sostituisce con immagini apparentemente infantili, talvolta oniriche, e costruisce un universo parallelo la cui caratteristica principale è la leggerezza. Non ha ambizioni filosofiche o pruderie sociologiche: è un racconto per fanciulli in cui l’insostenibile leggerezza dell’essere è nascosta dalla scoperta infantile, dallo stupore di Alice. E’ celebre un dialogo, quello tra la protagonista e Humpty Dumpty, un personaggio a forma di uovo dal sorprendente linguaggio.
Nulla a che fare con il “pensiero debole” di un Gianni Vattimo, il cui principio è l’inesistenza della verità. Il pensiero Alice ha verità multiple, una o più per ogni stagione, valori cangianti, liquidi. E’ fragile, non debole, leggero perché privo di peso e spessore. Per questo funziona, nella terra e al tempo del tramonto. I suoi esponenti non formulano pensieri, lanciano invocazioni. Le loro asserzioni implicano che loro soltanto promuovono fini nobili, a differenza di chi non è d’accordo con l’asserita bontà “emotiva”, leggera come una piuma, ma implacabile verso i dissidenti malvagi. Le loro proposizioni a cavallo tra utopia e sogno visionario trasportano, come Alice dopo la caduta nella tana del Bianconiglio, in un mondo virtuale, modellato da un volontarismo superficiale e parolaio, eccitato, che trasuda melassa dolciastra, diabetica. Un paese delle (sedicenti) meraviglie dove tutte le fantasie sono possibili se davvero lo vogliamo. Viene in mente lo slogan privo di contenuto, ma di ardente successo, di Barack Obama. Yes, we can, sì, possiamo. In questa forma generica, indistinta, infantilizzata, tanto gradita all’europeo liquido del XXI secolo, si può realizzare la pace perpetua o approvare leggi che stabiliscano l’uguaglianza e l’equivalenza, che attribuiscono diritti “umani” ai primati superiori (la Spagna di Zapatero, primo “pianeta delle scimmie “!), promulgare norme per le quali è evidente l’insussistenza o l’insufficienza di risorse economiche.
Eppure, la critica volta a smascherare l’irrealismo del pensiero Alice brilla per la sua inesistenza. Zapatero affermò che “tutto ciò che non è iscritto a bilancio non esiste “. Humpty Dumpty al potere, il Cappellaio Matto e lo Stregatto ministri di Stato. Il successo è stato strepitoso: il pensiero Alice è al potere e l’allucinazione, il trip psichedelico divenuto programma hanno sostituito la realtà. Non sarebbe accaduto senza l’adesione acritica dei mezzi di comunicazione, ovvero senza il placet di chi detiene le chiavi del potere. Ben piantata nella realtà materiale che domina e possiede, l’oligarchia promuove, prescrive dosi sempre più massicce di pensiero Alice. La critica non gode di buona stampa: non bisogna disturbare il manovratore, che ha costruito per noi un paese dei balocchi, una Wonderland planetaria, superando Peter Pan e l’Isola che non c’è. Il paese delle meraviglie esiste perché ne sussiste l’idea, perché noi abbiamo deciso così. La correttezza politica, architrave del pensiero Alice, sparge empatia e bontà a buon mercato, e nulla importa che sia semplicista ed irreale. Le anime belle autoproclamate sono altrettante Alici che pendono dalle parole di Humpty Dumpty, applaudite freneticamente senza sospettare l’imbroglio. Esistono tanti paesi delle meraviglie quante sono le gracili, esangui Alici contemporanee. La realtà, presto o tardi, rompe lo specchio e fa sentire la sua voce. Il problema è la leggerezza delle generazioni “fiocchi di neve”. Milioni di Alici d’Occidente non reggeranno il colpo, non sopravvivranno alla caduta delle illusioni dell’ annus horribilis 2020, con il virus e la restrizione improvvisa delle libertà, il distanziamento sociale, la paura sparsa a piene mani, l’egoismo che ne è frutto. A differenza del paese delle meraviglie, la salvezza, la stessa vita sono soggettive, riguardano “me” e “tu” sei un mio nemico, un potenziale untore. L’ assurdo e il ridicolo prevalgono e ricevono la sbavante approvazione di una generazione che non capisce in quanto non ragiona e non vede oltre il naso. Nel pensiero Alice non valgono gli argomenti: yes, we can, sì possiamo: così è deciso e qualunque ostacolo si frapponga è un segno di empietà. Quanto piace questo decisionismo totalitario alle greggi umane al pascolo, desiderose di un pifferaio come ad Hamelin, anche se il flauto magico conduce nell’abisso. Serve il genio creativo di un García Márquez – che immaginò il suo pazzo Macondo, così reale sotto molti aspetti – la perspicace intelligenza di un Gustavo Bueno per sbrogliare l’intricata matassa di sciocchezze, i fili ingannevoli di cui è intessuto il pensiero Alice.
E’ una farsa che dispiega il suo trompe l’oeil davanti ai nostri occhi, per truffare una volta di più il sedicente popolo sovrano. Poiché tutto è stato fatto male, finora, vogliono ripartire da zero, abolendo il passato, novelli Adami o buoni selvaggi alla Rousseau, infantili e stupidi. Si può applicare ai seguaci del pensiero Alice ciò che García Márquez scrive nelle prime righe di Cent’anni di solitudine. “Il mondo era così recente che molte cose non avevano un nome e, per dirle, dovevi segnarle a dito” La sinistra – la Sinistra “divina “(Alain Finkielkraut) con la maiuscola – reinventa tutto, anche il vocabolario, o meglio “de-inventa”, decostruisce, come voleva Derrida, uno dei suoi sacerdoti – tutto ciò che la incomoda. Hanno posto l’idea di Stato, nazione, di Italia, nel loro particolare indice delle parole proibite. L’ Italia non esiste, e, se è esistita, va annientata. E’ solo “questo paese”. Il pensiero Alice muove dalla rappresentazione di un mondo diverso dal mondo reale, l’opposto del nostro, perché lo immagina riflesso oltre lo specchio. Alice detesta essere consapevole delle difficoltà da superare per raggiungere il mondo immaginario e impossibile. “Tutto è molto più semplice, se hai la volontà di entrare nel mondo a rovescio.” Il pensiero Alice perde tutto il mordente critico e funziona come una fantasticheria semplicistica, tipica dell’adolescente che vede le cose dall’esterno, senza penetrare nella loro realtà e circostanza. Ciò non esclude che possa essere “molto efficace e trionfante per la folla frumentaria” (G. Bueno).
Il Pensiero Alice procede disegnando un mondo diverso dal mondo reale e, cosa bizzarra, capovolto come negli specchi. Rovescia la dura realtà, non vuole essere consapevole delle difficoltà, dei metodi e dei percorsi. In questo differisce dal modo di pensare utopico, che per quanto tenda a prefigurare un mondo perfetto (“un altro mondo è possibile”), mantiene la coscienza delle difficoltà, che possono richiedere anche rivoluzioni sanguinose. Una consapevolezza che serve a misurare la distanza tra la realtà effettiva e quella ideale, a formulare obiettivi intermedi, misurare le speranze e la possibilità dei progetti di trasformazione, analizzare le possibilità di successo. Nessuna di queste implicazioni tecniche o filosofiche sfiora il pensiero Alice, che funziona come una reverie semplicistica, una fantasticheria immatura, un sonno della ragione che finisce per coprire la realtà più che analizzarla, ragionando per linee rette, elementari, senza tener conto e addirittura senza riconoscere le infinite variabili. Dà vita a una razionalità astratta, cieca e rigida. Il pensiero Alice tira solo un capo della matassa senza voler sapere nulla degli altri fili in cui è impigliata. Procede affermando una somiglianza tra diverse realtà per estenderla all’intera gamma delle possibilità. Si comporta come un bambino assetato che beve il liquido alcolico trasparente in bottiglia, confidando nella somiglianza con l’acqua pura offerta dai genitori.