9 Ottobre 2024
Società

Il “politicamente corretto” rende stupidi? – Gianfranco De Turris

All’ultima assegnazione degli Oscar a Hollywood a fine febbraio 2019, abbiano assistito alla apoteosi del politically correct, ma non tanto per gli attori e film premiati tutti “antirazzisti”, come ha sottolineato la stampa italiana allineata, quanto per la modifica dell’annuncio. Non più “Il vincitore dell’Oscar è…”, bensì: “L’Oscar viene assegnato a…”. In tal modo, hanno pensato i solerti organizzatori, non si offende chi non lo ha ottenuto. Ecco perché il politicamente corretto (o correttezza politica) rende inequivocabilmente stupidi. Avevano perfettamente ragione Fruttero & Lucentini quando scrissero La prevalenza del cretino (Mondadori, 1985): oggi come oggi dovrebbero aggiornare, quindi raddoppiare, il loro aureo libretto. Infatti siamo passati dalla “prevalenza” al “trionfo” e giustamente il francese Armand Farrachi nel suo sapido pamphlet Iltrionfo della stupidità (Fandango, 2018) racconta con amara ironia la triste situazione odierna: la dittatura di questa categoria essendo dovuta soprattutto alla pervasività dei mezzi di comunicazione dell’era digitale che consentono a chiunque, specie gli ignoranti, d’imporre la loro opinione in linea con le ideologie attuali, soverchiando con a quantità gli altri.

Il politicamente corretto non è infatti una degenerazione del linguaggio come si potrebbe pensare, ma il suo stravolgimento del linguaggio sino ai limiti del ridicolo è una vera e propria ideologia, come ben dimostra Eugenio Capozzi nel suo puntualissimo saggio intitolato, né più né meno, Politicamente corretto (Marsilio, 2018), che tutti coloro che sono consapevoli dell’attuale degrado mentale dovrebbero leggere. Personalmente lo considero da otre venti anni una delle malattie culturali del nostro tempo che pervade l’Occidente e, come tutte le tendenze di questo genere, è nato negli Stati Uniti negli anni Ottanta (anche se c’è chi ne pone le origini fra gli intellettuali comunisti USA degli anni Trenta), emanazione dell’intellighenzia progressista e accademica americana, ma anche hollywoodiana – i liberal, i radical – un eufemismo ideologizzato, una ipocrisia politicizzata, alle cui spalle è la fisima buonista-demoratica del non “offendere”, “colpevolizzare”, “far sentire inferiore o a disagio” nessuno in generale ma soprattutto quelle che si considerano minoranze o gruppi sociali meno difesi (per il colore della pelle, per il sesso, per le condizioni fisiche o sociali), anche per questioni o motivi banali, ovvi e naturali. In sovrappiù, a caricare il peso, si sono aggiunti negli ultimi anni anche i condizionamenti del neo-femminismo e del neo-puritanesimo.

Come al solito le vie per l’Inferno sono lastricate di buone intenzioni (frase, pensate un po’, attribuita a Karl Marx…). E che altro si può definire l’Era del Politicamente Corretto se non come un Inferno anticulturale e antistorico in cui si cerca di mutare la realtà mutando di punto in bianco le parole che la hanno definita sino ad certo momento perché definite all’improvviso “offensive”, cercando di cambiare la storia del passato condannandola alla luce della nuova ideologia imperante? Il risultato è che domina quanto è sempre stato condannato dalla democrazia occidentale nei regimi dittatoriali: la censura a tutti i livlli. Intanto quella lessicale, la messa al bando di chi non si adegua, il conformismo morale e intellettuale portato alle estreme conseguenze. Insomma, una specie di nuova dittatura democratica che è assai peggio di quelle “direttive” che emanava ad esempio il Minculpop fascista con quelle famigerate “veline” per la stampa che tanto sono state ridicolizzate dagli intellettuali antifascisti. Purtroppo ci sono delle istituzioni che si adeguano e danno un senso di “ufficialità” a certe decisioni: l’ex sindaco di Roma Marino ordinache gli zingari siano definiti “nomadi” (anche se non lo sono più); la ex presidente della Camera Boldrini e l’ex ministro della Pubblica Istruzione Fedeli danno disposizioni a femminilizzare le varie funzioni (e i loro successori non aboliscono questa decisione per paura); soprattutto – il che è intollerabile – l’Ordine dei giornalisti emana un vademecum su come chiamare o definire gli immigrati irregolari che approdano in Italia…

Di solito si rasenta il ridicolo lessicale e concettuale (strano che non se ne rendano conto): non più ciechi ma “non vedenti”, non più sodi ma “non udenti”, non più omosessuali ma “gay”, non più vecchi ma “diversamente giovani”, non più bassi ma “verticalmente svantaggiati”, non più handicappati o disabili ma “diversamente abili”. Grottesco, no? Anche perché è una decisione dall’alto ritenere che una certa parola sia da considerarsi “offensiva” senza averlo chiesto ai diretti interessati. E infatti l’Unione Ita liana Ciechi si chiama ancora così…Non è forse un segno di stupidità? Si pensi, come une caso emblematico, al termie “negro” (dal latino niger, nero)che qui da noi, sino ad un certo momento, è stato usato come esplicativo, descrittivo, e non certo come dispregiativo, anche perché non c’erano alternative ad esso. Quasi all’improvviso è stato considerato un vero e proprio insulto. Come mai? Un giornalista di lunga esperienza anche internazionale come Livio Caputo ha cercato di capirne il motivo facendo varie ipotesi senza venirne in effetti a capo, la più fondata delle quali è forse quella che fa riferimento alla parola dispregiativa americana nigger o negroes che negli Stati Uniti è stata sostituita man mano da coloured (“persona di colore”),black (“nero”), afro-american (“afroamericano”) ecc., ma da noi? Evidentemente gli intellettuali ed i giornalisti italiani l’hanno subito assimilata ed hanno deciso che “negro” anche nel Bel Paese dovesse essere considerato dispregiativo, insultante. E per conformismo tutti dietro. Non è questo un preclaro esempio di Pensiero Unico? Tanto per curiosità: nel dizionario inglese-italiano Garzanti del 1981 gay è”allegro, gaio”, ma in quello molto piùampio del 1999 il termine ha accezioni diverse:1.allegro; 2.vistoso; 3.dissoluto; 4.omosessuale; 5.sfrontato.

Questa correttezza politica non solo rende stupidi ma, come si è detto, anche ignoranti, faziosamente ignoranti. Non altrimenti si potrebbero considerare alcuni recenti episodi: la richiesta di rimuovere un quadro di Balthus dal Metropolitan Museum considerato pedofilo; un gruppo di studenti pretende l’eliminazione della targa dedicata all’esploratore Cecil Rhodes in una università inglese in quanto razzista; la statua di Cristoforo Colombo a Buenos Aires spostata perché il navigatore sarebbe il responsabile del genocidio degli indigeni; i libri di Ovidio cancellati dalle università americano in quanto sessista e violento; il finale della Carmen di Bizet modificato per rispetto delle donne; i monumenti agli eroi confederati abbattuti nelle città americane perché offensive per gli “afro-americani” odierni. Vogliamo aggiungere altro per dimostrare che il politicamente corretto porta alla ignoranza e induce a cambiare la storia?

Eravamo stati però messi in guardia che si sarebbe giunti a tutto questo, sarebbe bastato leggere e prendere spunto da libri come quelli di un grande giornalista anticonformista quale Tom Wolfe che ha inventato il termine radical chic contro i “rivoluzionari da salotto” sin dal 1970 nel suo Lo chic radicale (Rusconi, 1972) ora reperibile con il termine oggi in uso di Radical chic (Castelvecchi, 2005); e del critico Robert Hughes con La cultura del piagnisteo. La saga del politicamente corretto (Adelphi, 1994), una delle prime opere che denunciavano acutamente e satiricamente il fenomeno da parte di un famoso intellettuale controcorrente.

Come si vede non è che non ci siano antidoti autorevoli, passati e presenti, per documentarsi e reagire a questa inondazione di buonismo lacrimevole promossa dai perbenisti liberal e radical con tendenze autoritarie, che così definisce Farrachi: “Le loro idee sono giuste, generose, moderate: detestano il razzismo, temono l’estremismo, si rammaricano per la povertà, amano la democrazia, difendono i diritti umani e della donna, ovviamente delle minoranze, dei bambini”. E i loro fini sono così sintetizzati da Capozzi: “Una marcia verso la perfezione che deve essere guidata attraverso un percorso politico, secondo u programma ideale e gestito da un leader o un partito, coadiuvato da un ceto intellettuale organico”. Senti, senti..

Insomma, si rifiuta il passato e si marcia verso un radioso futuro privo di diseguaglianze. Mi pare di aver già sentito tutto questo, e si sa come è andata a finire. Non ricorda qualcosa? che so, i giacobini, i bolscevichi, magari anche PolP ot? Ideologie simil-religiose che mirano alla redenzione umana costi quel che costi, anche ammazzare chi non vuole essere redendo? Niente di nuovo sotto il Sol dell’avvenire. Ecco perché il politicamente corretto rende stupidi e ignoranti. Ed è pericoloso dietro il suo volto buonista, pur se non tutti se ne rendono conto sino in fondo.

Gianfranco de Turris

2 Comments

  • Comini Renato 8 Aprile 2019

    Io mi dichiaro completamente d’accordo con l’autore del presente articolo nonchè con i contenuti ed i concetti in esso espressi.
    Si vedano anche, a tal proposito, i miei due articoli, pubblicati rispettivamente nelle date 9 e 15 luglio 2015, sempre concernenti l’argomento in parola. Cordialmente
    Comini Renato

  • Louis Vermont 9 Aprile 2019

    Uno scritto ineccepibile, che condivido dalla prima all’ultima riga.
    E poi come allude bene la chiosa finale, quello di cancellare il passato è il primo passo di ogni totalitarismo…

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