Di Fabio Calabrese
Io non vorrei – lo faccio con riluttanza sempre maggiore – occuparmi del teatrino sempre più inverecondo della politica spicciola, ma negli ultimi tempi, in questa prima decade di dicembre, si sono rincorsi una serie di eventi che non è possibile lasciare senza un adeguato commento, dagli strascichi della decadenza da senatore di Silvio Berlusconi, alla bocciatura della legge elettorale, il cosiddetto “porcellum”, ai congressi del PD e della Lega che hanno visto l’elezione dei rispettivi nuovi segretari, Matteo Renzi e Matteo Salvini, a quello che è forse l’unico evento davvero importante che non viene dal “palazzo” della politica istituzionalizzata, la protesta “L’Italia si ferma” del 9 dicembre, forse la prima vera reazione della nostra gente alle porcate sempre più invereconde di cui è vittima da decenni.
Recentemente su alcune testate straniere, certamente non addentro ai misteri della politica italiana a volte di difficile decifrazione anche per noi, è apparsa l’affermazione (difficile considerarla una notizia) che la “vittoria” elettorale di Grillo avrebbe determinato “la caduta” di Berlusconi. Come effetto di una simile affermazione, si è scatenata sul web una bagarre mediatica tra grillini e sostenitori del PD che si sono contesi “il merito” di questa caduta, un “dibattito” che non si sa se abbia fatto più pena o schifo, e in ogni caso ha evidenziato il basso livello intellettivo degli uni e degli altri.
Il Movimento Cinque Stelle ha dimostrato una volta di più di esistere solo a rimorchio della propaganda del PD intesa a far ricadere su Berlusconi la responsabilità per tutti i mali dell’Italia.
In realtà, politicamente la caduta del governo Berlusconi è avvenuta due anni fa a seguito di una vera e propria congiura di palazzo voluta dalla UE e impostaci a dispetto del fatto che in quel momento il centrodestra avesse ancora la maggioranza parlamentare. Le grane giudiziarie che hanno portato alla decadenza da senatore di Berlusconi hanno invece seguito una strada parallela da parte di una magistratura ovviamente non obiettiva e infeudata al PD.
Che almeno una parte della stampa estera non abbia le idee chiare sulle vicende italiane, è comprensibile, ma chi in Italia ci vive dovrebbe saperne qualcosa di più.
È probabile che se un giorno qualcuno si ricorderà (ma non è detto) del Movimento Cinque Stelle, lo ricorderà come il movimento soufflé: rapidamente gonfiatosi e altrettanto rapidamente sgonfiato. In particolare il recente test elettorale amministrativo trentino ha parlato molto chiaro, e i grillini con ogni probabilità stanno per pagare il prezzo dell’inutilità del voto dato a loro.
Lasciamo che Grillo e soci si godano quest’ultimo sprazzo di falsa gloria, in attesa di andare a raggiungere Mastella, Di Pietro e Fini nell’ideale museo dei partiti estinti.
Un fatto che ai primi di dicembre è stato il fatto del giorno, è stata la decisione della Consulta di dichiarare incostituzionale la legge elettorale finora in vigore dal 2005, il cosiddetto “porcellum”. La Corte Costituzionale ha certamente preso questa decisione per premere sull’acceleratore di una riforma elettorale che, benché sia nell’agenda di tutti i gruppi politici, ancora non si è riusciti a fare, ma se davvero ci sono in questa legge elementi di incostituzionalità, quanto meno, potevano svegliarsi prima invece che dopo otto anni. Altrimenti, se non è così, significa che la Consulta è entrata in un ruolo politico che non le compete.
Ricordiamo che la legge elettorale finora in vigore ha questo bel soprannome perché all’indomani della sua approvazione, il suo stesso proponente, il leghista Calderoli commentò: “Abbiamo fatto una porcata”. Indubbiamente, si trattava di una legge con grossi difetti, da rivedere a breve scadenza, cosa che non è stata fatta, ma forse dopotutto un po’ meno porcheria di quel che recentemente si è dato a intendere. I suoi punti caratterizzanti rispetto alla normativa precedente sono soprattutto due: l’introduzione di un premio di maggioranza per la coalizione vincitrice in modo che essa, qualunque sia, non debba governare con maggioranze troppo risicate, e l’abolizione del voto di preferenza, in ragione di cui le elezioni politiche si fanno con liste bloccate i cui componenti sono decise dalle segreterie dei partiti.
Riguardo al primo punto, che ha accentuato il carattere maggioritario del nostro sistema elettorale, sembra che nessuno sollevi particolari obiezioni, anche Matteo Renzi ha precisato di ritenere che la riforma elettorale che si dovrebbe fare, dovrebbe avere un carattere nettamente maggioritario. Quel che si vuole eliminare a tutti i costi del “porcellum” è l’ab
olizione delle preferenze.
olizione delle preferenze.
Forse non ci si ricorda bene il motivo per cui si è arrivati all’abolizione delle preferenze, a suo tempo fortemente voluta dalla Lega: per impedire il fenomeno del voto di scambio tramite il quale in molte aree dell’Italia tramiti preferenze manovrate, certe persone: faccendieri immischiati in affari che è meglio che rimangano nell’ombra e clan mafiosi, sono riusciti a mandare al parlamento nazionale politici di loro gradimento pronti a ricambiare sottobanco il favore ricevuto.
Si è sostenuto e si sostiene che l’abolizione del voto di preferenza rappresenti una lesione della democrazia e concentri troppo potere nelle mani delle segreterie dei partiti. Obiettivamente, non sembra proprio che le cose stiano in questo modo: se noi pensiamo che nel 2008 il centrosinistra fu affossato dalla defezione di D’Onofrio e Scilipoti e che oggi Alfano e soci hanno voltato le spalle al PDL decretandone la fine pur di rimanere attaccati alle poltrone governative, si vede bene che gli eletti fanno quello che vogliono, infischiandosene non solo della linea dettata dalla segreteria del partito, ma anche e soprattutto della volontà degli elettori che hanno dato loro il mandato di rappresentarli.
Dipende tutto da quel che s’intende per democrazia: se dovessimo intendere la libertà di scelta del cittadino elettore che sceglie tra i partiti, l’abolizione delle preferenze non solo non la lede, ma la rafforza, rende la scelta più chiara, riduce la possibilità che in una lista s’infiltrino persone che faranno una politica del tutto diversa da quella per la quale sono state votate, ma se per democrazia s’intende il potere degli eletti di fare quello che gli pare senza alcuna forma di controllo, allora sì, l’abolizione delle preferenze e del voto di scambio è una lesione alla democrazia.
Sarebbe stato di gran lunga più saggio, c’è da pensare, abolire il voto di preferenza nelle elezioni regionali e amministrative, perché tutti noi sappiamo bene che a livello locale in certe aree del nostro Paese il rischio di infiltrazioni mafiose nelle istituzioni locali è molto elevato. Si torna alle preferenze: via libera al voto di scambio e agli inciuci. La mafia ringrazia la Corte Costituzionale e il PD.
Diversi giornalisti e commentatori hanno fatto rilevare che, con l’elezione di Matteo Renzi alla segreteria del PD, è la prima volta che un ex democristiano si siede sulla poltrona che fu di Togliatti e di Berlinguer. Sarà anche vero ma non è la prima volta che questa poltrona è occupata da un non comunista. Prima di Bersani, sull’ “augusto” scranno si era seduto Walter Veltroni che anzi del PD è stato il creatore attraverso la fusione degli ex comunisti DS con la Margherita ex democristiana. Veltroni, “l’americano” che nessuno ha mai capito cosa ci facesse nel PCI, che ha creato il PD a imitazione del democratici americani, che ha palesemente aspirato a essere un Obama in sedicesimo e molto pallido, che ha ufficialmente proclamato che “la lotta di classe non esiste”.
Prima di lui, alla guida del centrosinistra pre-PD, in ogni caso (parliamo ovviamente dei centrosinistra della Seconda Repubblica, non di quelli anteriori al 1991), vi sono stati gli ex democristiani Prodi e Rutelli.
Il comunismo non è stato forse totale negatività. A suo favore, valutando le cose da un punto di vista storico, bisogna riconoscere una certa ansia di riscatto sociale delle classi subalterne, un’aspirazione socialista sia pure distorta, ed è proprio questo, questa tenue positività che gli si può riconoscere, che la sinistra dei Prodi, dei Rutelli, dei Veltroni, dei Renzi ha definitivamente seppellito. Rimane solo l’utopia cosmopolita che nella pratica si traduce in una totale sudditanza al progetto mondialista manovrato (e le ossa di Marx probabilmente si rivolteranno nella tomba) dal grande capitale internazionale, progetto mondialista che prevede la distruzione dei popoli europei, prima attraverso il saccheggio delle loro economie mediante una pressione fiscale abnorme, poi minando la loro compattezza etnica per mezzo dell’immigrazione.
Lo ha detto lo stesso Renzi: “Adesso non abbiamo più alibi”.
Il PD ha con ogni probabilità toccato il suo zenit politico. D’ora in poi, potrà soltanto deludere.
Il grado di libertà di un Paese si può misurare dalla correttezza dell’informazione: là dove di libertà non ce n’è, la propaganda prevale nettamente sull’informazione. Allora dobbiamo concludere che nella democraticissima democrazia italiana, di libertà ce n’è molto poca.
I fatti di questi giorni ne sono un esempio evidente. Si dà il caso che in contemporanea con il congresso del PD sia avvenuto quello della Lega. Mentre il primo ha avuto un’esposizione mediatica fortissima che ha costituito un’indebita e indecente propaganda, il secondo è stato praticamente ignorato. È vero che il risultato di quest’ultimo era scontato e Umb
erto Bossi, l’anziano fondatore dalla salute precaria e con attorno una famiglia molto “chiacchierata” aveva poche possibilità di spuntarla contro il giovane Matteo Salvini, ma forse che non era altrettanto scontata l’elezione di Renzi alla segreteria del PD?
erto Bossi, l’anziano fondatore dalla salute precaria e con attorno una famiglia molto “chiacchierata” aveva poche possibilità di spuntarla contro il giovane Matteo Salvini, ma forse che non era altrettanto scontata l’elezione di Renzi alla segreteria del PD?
Propaganda, vergognosa mistificazione della realtà anche tutte le giaculatorie che sono state recitate dai media nostrani e internazionali in occasione della scomparsa del leader sudafricano Nelson Mandela. Quest’uomo è stato presentato come un eroe e un campione della pace, si è deliberatamente ignorato che ha scontato una lunga detenzione non per le sue idee ma per terrorismo, e soprattutto si evita di guardare a quello che è oggi il Sudafrica post-apartheid.
La gestione del Paese da parte della minoranza bianca garantita dall’apartheid aveva portato anche i neri sudafricani a godere di un tenore di vita sconosciuto nel resto del continente africano, una situazione che oggi sta rapidamente regredendo, e oggi il Sudafrica è noto soprattutto per detenere il record mondiale dell’AIDS.
Dalla fine dell’apartheid a oggi, il Sudafrica ha introdotto un nuovo sport nazionale: la caccia al bianco. Nel silenzio e nell’indifferenza del sistema mediatico internazionale, la minoranza bianca sudafricana è oggetto di un lento genocidio. La democrazia, a livello internazionale, è razzista, ritiene che solo i bianchi possano essere colpevoli di razzismo e genocidio; quindi sulle atrocità del Sudafrica di Mandela si stende una colpevole e funerea cortina di silenzio. Se i bianchi opprimono, segregano o uccidono dei neri, sarà dovere di ogni buon democratico esserne informato e indignarsi, ma se sono dei neri a opprimere e uccidere dei bianchi, allora per correttezza democratica, non si dovrà parlare di queste cose.
Lo stesso sistema di due pesi e due misure, la stessa ipocrisia si vede, naturalmente, nelle faccende di casa nostra, in particolare nell’atteggiamento con cui la casta mediatica, fedele servitrice della casta affaristica e politica, sta trattando la rivolta civile iniziata in tutta Italia il 9 dicembre “L’Italia si ferma” definita riduttivamente dai media di stampa e televisivi: “rivolta dei forconi” con riferimento al Movimento dei forconi siciliano che l’ha preceduta.
Diciamo pure che il modo in cui i mezzi, in teoria di informazione ma in realtà DI PROPAGANDA DI REGIME, hanno trattato e stanno trattando la questione, rivela un’assoluta malafede. Non si tratta soltanto della rivolta di alcune categorie come gli agricoltori siciliani (“i forconi”) o gli autotrasportatori, è una rivolta che riguarda tutto un popolo, stremato da una politica di oppressione fiscale che sta provocando la sparizione dell’Italia dal novero delle nazioni industriali, e che tocca tutti, senza distinzioni fra agricoltori, trasportatori, operai, impiegati, commercianti, studenti, giovani disoccupati, cassintegrati, pensionati. È la prima manifestazione veramente di popolo senza partiti o sigle sindacali, LA GENTE scesa in piazza per manifestare un malessere ormai generalizzato.
In questa occasione abbiamo potuto toccare con mano tutta l’arroganza della casta politica chiusa a riccio in difesa dei propri privilegi e tutto il servilismo del sistema mediatico. L’una e l’altro stanno cercando di far passare per eversione una protesta pacifica e rispettosa della legge, di evidenziare le difficoltà per altri cittadini come se un qualsiasi sciopero non ne comportasse, di presentare la protesta addirittura come una “minaccia alla libertà e alle istituzioni cosiddette democratiche. Non c’è nulla di più grottesco che fare il confronto con altre manifestazioni analoghe in altre parti del mondo che sono invece osannate dai nostri media, ad esempio la rivolta “europeista” in Ucraina. Come mai queste cose, quando vanno nel senso del mondialismo sono un’alta espressione democratica mentre quando vanno contro di esso sono una minaccia alla democrazia?
Quello che questi signori fanno finta di non capire, è che la gente è sempre più stanca della loro inefficienza, della loro corruzione, dei loro privilegi, e che è iniziato il movimento destinato a spazzarli via, e a salvarli non sarà certo una nuova faccia mediatica, mister Bean travestito da Fonzie.
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