A chi legga con attenzione i testi di Massimo Scaligero o dello stesso Rudolph Steiner, non sarà mancato di notare l’insistente ricorrere del termine “Logos”, il cui uso qui assume una determinata e particolare valenza, tale da ingenerare in chi legge una serie di riflessioni e di problematiche che finiscono inevitabilmente con il riportarci a tutte quelle tematiche attinenti la direzione ed il destino dell’Occidente. Stavolta, però, anziché partire dall’ analisi “si et si” del testo scaligeriano, prenderemo spunto da un particolare momento della sua narrazione : quello attinente i rapporti tra l’antroposofo romano da una parte e Paolo M. Virio dall’altra.
Tutti e due gli autori, sono, a diverso titolo, accomunati dal tentativo di conferire al Cristianesimo quella tanto agognata valenza esoterica, attraverso una sua rivisitazione nell’ottica di una serie di saperi ed impostazioni metodologiche, che vanno esulando dall’ortodossia dottrinaria. In tutti e due gli autori, il Cristianesimo si fa momento di massima espressione della presa di coscienza dell’Occidente e di quell’individuo che, prima immerso in un a dimensione sognante, ora con l’avvento della luce Solare del Cristo, assume pienezza di sé, in quanto parte di quella luce, frutto ed emanazione di quel Logos, che, dell’Uno dovrebbe rappresentare la primaria e più importante manifestazione.
Ma, mentre in Scaligero, l’animo umano si connette al Logos, quale ratio finale, Anima Mundi universale, non attraverso l’immediato contatto con lo spirito, attraverso l’abbandono si et si del pensiero oggettivante e della corrispettiva materialità, bensì veicolando quello stesso pensiero oggettivante in direzione del Logos, in Virio la Tradizione trova la propria massima incarnazione nella figura di Cristo, la cui essenza informa di sé tutte quelle dottrine misteriosofiche , dalla Gnosi all’Alchimia, sino alla stessa Cabala, in modo tale da farsi momento centrale ed universale, punto finale di convergenza di quella Tradizione, in cui le varie forme sapienziali che abbiamo citato, verranno ridotte al subalterno ruolo di mere forme di espressione di quest’ultimo.
In un’ottica di miglior comprensione dell’intera questione bisognerebbe, a parere di chi scrive, partire da quella che dovrebbe essere una corretta comprensione e contestualizzazione del termine “Logos”. Logos appare per la prima volta negli scritti attribuiti ad Eraclito, quale oscura ragione alla base di tutte le cose, di quel continuo Divenire, di cui il “polemos” la guerra e la continua alternanza tra opposti elementi rappresenta il momento centrale. In Platone, invece, il Logos trova la propria ragion d’essere quale criterio di discernimento in grado di conferire una esatta definizione e di logico inquadramento ai vari aspetti della realtà.
Saranno comunque gli Stoici, a conferire al Logos una vera e propria valenza di principio coordinatore, alla base dell’essenza delle cose, tanto da arrivare a parlare di “Logos Spermatikòs”. Valenza questa, che verrà ripresa appieno da Plotino e dai Neoplatonici, quanto da Filone l’Alessandrino, in un’ottica profondamente “emanazionista” dell’intera realtà, tale da far assumere al Logos la valenza di elemento primario nella successione delle emanazioni dell’Uno. E tutto questo, non può non riportarci al problema rappresentato dall’intero comparto di pensiero Gnostico o Neoplatonico e delle sue successive interpretazioni.
Nel contesto ellenistico, il Neoplatonismo e la sua consorella gnostica, rappresentano il momento di massima raffinazione, ma anche di deviazione del pensiero greco. La definizione della suprema Entità che presiede all’intiero ordine universale, attraverso l’idea di Uno, va facendosi sempre più eterea ed astratta, proprio in virtù di un procedimento volto a dare un ordine e semplificare il mare magnum del politeismo che, con il sincretismo Ellenistico aveva conosciuto una profusione di culti e misterisosofie, tali da giustificare la necessità di un riordino ideologico ed impostativo dell’intero, vasto ambito di quel pensiero, occupante un’area geo spirituale che andava dal Mediterraneo sino alle propaggini dell’Oriente siriaco ed iranico, sfiorando l’India.
D’altronde, l’Ellenismo sorge a seguito delle conquiste alessandrine e del successivo sorgere di entità statuali multietniche ed a carattere universalizzante, in cui il cittadino non si sentiva più appartenente ad un ambito comunitario, inserito in una Polis o in un Regno Dinastico, bensì preavvertiva in modo angoscioso il proprio rinnovato status di sradicata e spiantata individualità, inserita in un contesto statuale anodino ed anonimo. Una situazione questa, che non poteva non favorire il sorgere di nuove sintesi spirituali volte alla salvazione ed alla cura delle anime di un singolo, spaesato ed incerto.
Sintesi quali quelle del Mitraismo, ma anche dei vari culti solari vicino- orientali, quali quello del Bolide-Sole di Emesa, il culto di Men-Sabazio, o quello di Iside, lo stesso Neo-Pitagorismo ed altri ancora, stanno lì a dimostraci quanto sinora detto, riconfermandoci il momento di netta cesura e rottura con la tradizione classica che, invece, partiva da un’idea onnicomprensiva di “cives” e “communitas”, supportate da una “religio”, perfettamente inserita nello “ius publicum”, cosa che con l’Ellenismo, sempre più verrà meno.
Così in ambito Gnostico e Neoplatonico l’emanazione diviene la modalità di espressione della presenza del divino in terra, in sostituzione del diretto intervento che ne caratterizzava la precedente natura. Il Logos si fa così elemento di chiarificazione e mediazione tra l’ambito umano e quello divino, sempre più astratto e lontano. Quello dell’ellenistica astrattizzazione del divino, di contraltare alla sua precedente immediatezza, riscontrabile proprio nella succitata idea di onnicomprensività civica e religiosa, diverrà il convitato di pietra di tutta la successiva riflessione filosofica ed esoterica a seguire e finirà con lo spalancare le porte al materialismo Tecno Economico…
L’eredità di Gnosi e Neoplatonismo lascerà il segno in tutta la successiva e travagliata riflessione misterisosofica occidentale, sin praticamente ai giorni nostri. Così come tutto l’impianto alla base del Rosicrucianesimo e delle successive obbedienze massoniche è di matrice eminentemente gnostico-neoplatonica, il successivo sorgere della Teosofia di Madame Blavatskji e della sua filiazione antroposofica animata da Rudolf Steiner, è indiscutibilmente della stessa natura. In quest’ultima, nella riflessione di Massimo Scaligero in particolare, assistiamo al ritorno di quel Logos, qui animato dall’intento di non esser più un elemento nell’ambito di una gerarchia gnostica, ma si ha la netta sensazione che finisca con l’assurgere ad una valenza esclusivista e totalizzante, quale ragione ultima dell’Essere intero, relegando l’Uno o l’Assoluto che dir si voglia, ad un ruolo che da quello di “deus absconditus” va, in questo consenso, mutando in quello di vero e proprio “deus absens/assente”.
Ed in questo, Scaligero nel suo linguaggio, a volte estremamente intellettualizzante, mostra di far sua quell’istanza che, come abbiamo già visto, trova i propri prodromi nella “krisis” della tarda grecità e che senz’altro, possiamo indicare con il termine di “astrattizzazione”. Nel contesto scaligeriano l’astrattizzazione e la concettualizzazione dell’Assoluto, attraverso la centralità del Logos, se da una parte, sorge quasi come un artifizio intellettuale, nel ruolo di vero e proprio “deus ex machina”, in grado di convogliare la riflessione del discepolo su un lavoro eminentemente introspettivo, dall’altra finisce con l’avallare la tendenza tutta occidentale, a confinare la dimensione dell’Assoluto in un altrove etereo e lontano.
Ma, a voler essere onesti, Scaligero paga per colpe che vengono da lontano. Il Cristianesimo rappresentò la sintesi finale di tutte le istanze ellenistiche. Fruì degli apporti di tre fondamentali correnti spirituali dell’epoca, greca, ebraica ed iranica, ma ne raccolse anche gli aspetti più controversi: l’intolleranza monoteista, di radice tutta abramitica e la già citata tendenza all’astrattizzazione del divino, in questo contesto espressa in una modalità del tutto particolare. Per quanto paradossale questo possa sembrare, contrariamente alla Gnosi o al Neoplatonismo, che tendono ad una elaborazione intellettualizzante ed esoterica, il Cristianesimo attraverso autori come Tertulliano, Origene e Sant’Agostino, relegano l’intera teologia ad una dimensione essoterica, puramente di facciata, che andrà via via spalancando le porte all’agnosticismo e poi al materialismo.
Il che ci spiega l’assenza quasi totale di una forma di vero e proprio esoterismo cristiano, sicuramente rinvenibile in tutte quelle forme sapienziali di disparate origini, dalla vicenda dei Vangeli Gnostici, passando per il Catarismo, attraverso i vari protagonisti dell’Ermetismo e del Neoplatonismo che, dall’Evo Medio in poi, cercheranno di intersecare la propria vicenda con quella del Cristianesimo, con esiti inutili e spesso tragici. Se il tentativo di Scaligero di tornare a conferire una valenza esoterica al Cristianesimo, veicolandone il messaggio cristiano in un ambito più introspettivo, attraverso il ricorso al concetto di Logos, quale elemento di catalizzazione del lavoro introspettivo di cui sopra, all’insegna di un rinnovato emanazionismo gnostico-neoplatonico, di matrice steineriana, porta in sé il merito di rappresentare un valido tentativo di liberare lo spirito occidentale della contemporaneità, dalle asfissianti maglie di un edificio teologico oramai strettamente legato alle linee guida del Globalismo, dall’altra parte, finisce con il risentire pesantemente dell’eredità di cui abbiamo già precedentemente trattato.
Discorso identico, anche se con delle varianti, per quanto riguarda Paolo Virio. Anche qui, il cercare di fare del Cristianesimo il momento apicale della Tradizione, facendo di Gnosi, Ermetismo, Alchimia e Cabala, delle mere espressioni di quest’ultimo, non elide il problema che, apparentemente messo alla porta attraverso la centralità della figura cristica, ritorna dalla finestra rappresentata dal suo lavorare in sinergia con le forme sapienziali di cui sopra, andandone inevitabilmente a recepire le istanze fondative. Medesima osservazione potrebbe venir fatta a proposito dell’Archeosofia di Tommaso Palamidessi, con le varianti del caso. E pertanto, senza nulla voler togliere ai validissimi tentativi di uno Scaligero, al pari di quelli di un Paolo Virio, di fronte alla conclamata impossibilità di addivenire ad una vera e propria forma di esoterismo cristiano, non possiamo non dire che questi tentativi non vengano in parte o del tutto inficiati o, comunque sia, che non riescano a cogliere integralmente nel segno.
Quella della natura del Cristianesimo, è una questione che fa da sottinteso ad un’altra e più vasta tematica: quella dell’incomprensione del problema dell’Occidente e della sua duplice natura, sempre in bilico tra un autoannientamento all’insegna dell’ideologia Tecno-Economica ed una sottintesa ma continua ricerca di slanci verso una dimensione “altra”, non conforme ed irrazionale, alla quale i nostri autori sembrano non aver voluto o potuto dare una risposta esaustiva. E forse, una risposta definitiva a tale “vexata quaestio”, mai si potrà dare o, quanto meno, vi si potrà arrivare solo attraverso un lungo percorso, una lunga sedimentazione culturale, di cui, ora, stiamo vivendo ed abbiamo vissuto, le prime, faticose tappe.
UMBERTO BIANCHI
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