25 Giugno 2024
Cultura Origini

Il racconto delle Origini – 1^ parte – Rita Remagnino

 

Il dilemma delle origini

 

In un’epoca in cui vince il presente, il rifiuto di ereditare, il disprezzo per tutto ciò che sa di ieri, dare alle proprie riflessioni un accento di anacronismo è una forma di resistenza. Stiamo attraversando gli Anni della Fine, la fase in cui si dissolvono le forme che hanno concluso il corso completo del loro sviluppo e compaiono i germi delle forme non ancora sviluppate, poiché per la forma, come per qualsiasi altra cosa, il punto di partenza e il punto d’arrivo si trovano necessariamente nello stesso ordine di esistenza.

Basterebbe questo per invogliare l’«uomo ultimo» a capire almeno un po’ da quale punto la sua specie è partita per arrivare al punto in cui si trova, se solo sapesse rispondere alla sua natura anziché farsi sobillare dalle domande della mente. Perché scomodare l’Origine, quando le tecnoscienze soddisfano già qualsiasi bisogno? Cos’è, in fondo, la Preistoria se non cocci sparsi, episodi sfuocati di un tempo dimenticato sul quale possediamo testimonianze scarse e frammentarie? A quale scopo perdersi in un’epoca di impenetrabile oscurità in cui poco risulta essere «scientificamente provato»?

Già lo stiamo facendo, in realtà, a giudicare dal rinnovato interesse che ultimamente stanno suscitando i miti e le storie legate alle più antiche civiltà. Piacciono al cinema come in libreria i racconti di fondazione, i richiami preistorici e tutto ciò che può rientrare in un filone suscitatore d’incanto, le grandi imprese e i grandi sogni. In effetti la Storia delle nostre Origini non è affatto una cosa ammuffita, né inerte, o astratta, bensì la traccia visibile e intrigante lasciata dalle donne e dagli uomini che hanno inaugurato il Ciclo presente e segnato il nostro destino.

Narrazioni e materiali ancestrali sono ancora vivi nel sottotraccia del patrimonio immaginale delle maggiori culture del pianeta. Tralasciando le vicende legate all’Homo habilis, all’Homo erectus, all’Homo sapiens neandertalensis, è chiaro che i fatti straordinari, le catastrofi ambientali, i diluvi e le tragedie famigliari di cui parlano diffusamente i miti e i racconti tradizionali hanno riguardato l’Homo sapiens sapiens, la nostra specie. Esseri umani come noi, forse migliori o peggiori ma comunque persone che potremmo incrociare per strada senza battere ciglio se solo indossassero un paio di jeans e una t-shirt.

La loro storia è la nostra storia. Anche perché noi non ne abbiamo una: ciò che sta succedendo adesso non ha più la forma della Storia ma piuttosto quella di un gigantesco e inarrestabile processo, di un titanico scivolamento di terreno, una frana mostruosa di cui occorre attendere la fine prima che i superstiti possano riemergere alla luce del sole, ritrovando magari un po’ di stabilità.

Dando seguito alle idee di Darwin noi oggi pensiamo di essere gli ultimi nati sulla Terra come risultato di un’evoluzione biologica. Dai batteri agli animali marini, ai mammiferi, all’homo sapiens. E così eccoci qua: pallidi, di media statura, grassottelli, con pochi peli e tendenti con l’età alla calvizie. Presumibilmente arrivati via terra dall’Africa (?) per cacciare da territori appetibili l’uomo di Neanderthal, che aveva il cervello un po’ più piccolo e tante cose non le capiva, come ad esempio la tecnologia avanzata della selce scheggiata, l’utilità della palafitta, la necessità di progresso e di novità, che invece nell’homo sapiens sapiens fu una vera e propria esplosione. Grosso modo, vengono descritte così le nostre origini nei libri di scuola.

Guardandola un po’ più da vicino, tuttavia, l’idea che vi sia stato un progresso lineare capace di trasformarci da scimmie bipedi in uomini dotati di strumenti litici e poi in umani moderni provvisti di pensiero simbolico è piuttosto strampalata. Se anche fosse vera, ammetterebbe tante di quelle eccezioni da rompersi la testa nel tentativo di spiegarle tutte.

Non meno bizzarre della credenza in una direzione evolutiva preordinata, legata principalmente alla crescita del corpo e del cervello, sono state numerose idee sbocciate nel corso del tempo su questo argomento. Una per tutte quella espressa da Platone nel Timeo, secondo cui l’uomo sarebbe comparso per primo sulla Terra e solo in seguito sarebbero nati gli animali come «degenerazioni» del suo stesso DNA.

Ma non è mia intenzione perdermi nel labirinto dei punti di vista. Fra cent’anni, intanto, chissà cosa uscirà fuori. E poi, si penserà a qualcosa di diverso. Ogni Era porta sulle spalle il peso delle teorie che produce e ha le sue piaghe fondatrici, che, per quanto ci riguarda, risiedono principalmente nel crollo della Storia, una materia penalizzata proprio dal preconcetto che vede il cammino dell’uomo nel tempo come una progressione costante dalla barbarie alla civiltà.

Mentre i nostri predecessori davano per scontata la «superiorità» degli Antichi e si dicevano sicuri che l’uomo fosse giunto più di una volta all’apice dello sviluppo per poi perdere ogni cosa e ricominciare tutto daccapo. Numerose volte la luce si sarebbe spenta di colpo sulla nostra strada, di solito a seguito di un generale decadimento della civiltà dovuto a una catastrofe naturale che obbligava l’umanità di turno a ripartire da zero, altrettante volte quella luce si sarebbe riaccesa.

Convinti di abitare nel «migliore dei mondi possibili», perfetto come nelle pubblicità del Mulino Bianco, noi rifiutiamo una simile idea e nel tentativo di metterci una pietra sopra ci siamo inventati la storia del genere umano che non è andato peggiorando bensì migliorando, essendo l’attuale umanità il risultato di questo costante perfezionamento. Non è mancato qualche scivolone strada facendo, ammettiamolo pure, ma sempre una «mano santa» è intervenuta a raddrizzare la situazione e poi, via … dritti sparati verso il progresso.

Personalmente fatico a credere che sia stato un vegliardo barbuto dallo sguardo di fuoco a segnare le fasi fondamentali della vita sulla Terra. So bene che questo è il cavallo di battaglia delle religioni e non è mia intenzione togliere il pane di bocca a tanti bravi predicatori, ma per quanto mi riguarda sono giunta alla conclusione che la teoria del processo lineare sia un’idea semplicemente folle.

Non so come si possa pensare che gli ominidi, apparsi sulla Terra dai 3 ai 5 milioni di anni fa, siano rimasti tanto tempo con la clava in mano per svegliarsi una mattina all’improvviso. Mentre trovo accettabile l’idea di un uomo capace fin da subito di esprimere la sua natura metafisica, il quale, di volta in volta, se sapeva di più si è dato da fare per risollevare le sorti di chi sapeva di meno, abbassando suo malgrado il livello della propria cultura.

Ne consegue che la conoscenza e la saggezza non sono state rivelate all’umanità da esseri soprannaturali, profeti e figli di dio, bensì da Fratelli Maggiori che hanno istruito con pazienza Fratelli Minori, i quali, per un meccanismo misterioso connesso alla vita stessa, alla scomparsa dei primi sono quasi sempre sopravvissuti.

Questo spiega perché non siamo andati migliorando con il passare del tempo. Se alle Origini i popoli erano guidati da grandi saggi e da eroi che rischiavano la pelle per proteggere la comunità, oggi chi sta in cima alla piramide sociale è lì grazie a legami famigliari e conoscenze personali. Svincolati da ogni principio sapienziale e privi di riferimenti culturali i cosiddetti «poteri forti» sono diventati così «poteri deboli», il che significa che al volante dell’auto-mondo attualmente c’è gente che non sa guidare.

Ma presto questa società liquida tendente al gassoso si sgonfierà lasciando in bocca ai superstiti l’amara constatazione che presa nell’insieme la parabola umana non offre particolari motivi di vanto. L’andazzo ha evidenziato una spiccata tendenza all’impermanenza, con la costante che all’interno di ogni singolo Ciclo evolutivo la nostra specie impiega decine di migliaia d’anni a sviluppare la sua «parte spirituale» e meno di un terzo del tempo a smantellarla. Ecco perché alcune volte siamo stati grandi e in più di un’occasione ci siamo fatti piccoli piccoli.

Drammatiche catastrofi esterne ed interiori periodicamente ci hanno colpito, abbruttito e degenerato, accentuando per compensazione le nostre capacità tecniche: meno siamo stati «esseri spirituali», più ci siamo dati da fare sul fronte della materialità, e viceversa. Ma sempre abbiamo potuto disporre, tornando sui nostri passi, di un bagaglio di abilità prima sconosciute in grado di aiutarci a salire sul gradino superiore.

Si direbbe che istintivamente puntiamo verso l’alto. Una caratteristica che non dà affatto ragione ai sostenitori del progresso lineare poiché la nostra innata tendenza alla verticalità non ha nulla da spartire con la progressione sociale e materiale senza limiti che intendono oggi i cosiddetti «progressisti». L’avanzata dell’uomo non si esprime in perpendicolare come sull’albero della cuccagna, o sull’albero di una nave, ma procede con un andamento spiraliforme, che poi è il movimento più comune in natura.

Dalla struttura del Dna al rapporto numerico della Sezione Aurea fino all’evoluzione di tutte le specie, risulta chiaro che la vita sulla Terra è possibile grazie a un’elica che gira attorno a un’asse. L’elica può essere semplice o doppia mentre l’asse non è necessariamente visibile.

Semplificando si può paragonare ogni singola esistenza animale e vegetale a un sentiero che si arrotola attorno a una montagna: tanto più si sale, tanto più il percorso si fa ripido, duro e faticoso. Se lo caccino bene in testa coloro che incolpano gli anziani di «diventare egoisti invecchiando»: ancora non sanno che più si va avanti e più c’è da lavorare! Manca il tempo per tutto, figurarsi per le cose non strettamente necessarie. Non l’egoismo ma lo sforzo, dunque, viaggia in tandem con la vecchiaia. Mica è facile puntare all’essenziale rinunciando a ciò che prima riempiva la vita, c’è sempre una raffica di colpi da parare, le maschere cadono, tutto si spoglia. In compenso molte nebbie diradano perché la messa a nudo corrisponde quasi sempre a una messa a fuoco, i sensi si spiritualizzano, e allora si capisce di essere a buon punto.

Fortunatamente una volta giunti in cima non si deve più tornare indietro, solo gli dèi possono scendere e salire a piacimento dal cielo mentre l’uomo deve andare sempre avanti. Dopo la Terra c’è il cosmo, poi vengono la galassia, l’universo, l’infinito e chissà cos’altro. Ciò a causa, probabilmente, della pasta con cui siamo fatti: un gene del DNA passa sempre da una generazione alla successiva ma il contrario è impossibile.

Non fa eccezione la Storia dell’Umanità, la quale si concretizza in una lunga catena di civiltà sempre più materiali e sbrigative, aggressive e superficiali, i cui ultimi anelli finiscono nella dissoluzione di un intero Ciclo, preludio della nascita di una realtà più potente di tutte quelle che ci sono già state. Non lamentiamoci, perciò, della nostra attuale piccolezza. In qualità di uomini e donne della Fine, siamo in procinto di arrivare a una meta mai prima d’ora toccata dall’uomo.

 

Ricercatrice indipendente, scrittrice e saggista, Rita Remagnino proviene da una formazione di indirizzo politico-internazionale e si dedica da tempo agli studi storici e tradizionali. Ha scritto per cataloghi d’arte contemporanea e curato la pubblicazione di varie antologie poetiche tra cui “Velari” (ed. Con-Tatto), “Rane”, “Meridiana”, “L’uomo il pesce e l’elefante” (ed. Quaderni di Correnti). E’ stata fondatrice e redattrice della rivista “Correnti”. Ha pubblicato la raccolta di fiabe e leggende “Avventure impossibili di spiriti e spiritelli della natura” e il testo multimediale “Circolazione” (ed. Quaderni di Correnti), la graphic novel “Visionaria” (eBook version), il saggio “Cronache della Peste Nera” (ed. Caffè Filosofico Crema), lo studio “Un laboratorio per la città” (ed. CremAscolta), la raccolta di haiku “Il taccuino del viandante” (tiratura numerata indipendente), il romanzo “Il viaggio di Emma” (ed. Sefer Books). Ha vinto il Premio Divoc 2023 con il saggio “Il suicidio dell’Europa” (ed. Audax Editrice). Attualmente è impegnata in ricerche di antropogeografia della preistoria e scienza della civiltà.

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