Per noi italiani, la truffa dell’€uro e dell’Unione Europea è cominciata il 18 giugno 1989, con un referendum consultivo. Il quesito che ci veniva posto era il seguente: «Ritenete voi che si debba procedere alla trasformazione delle Comunità europee in una effettiva Unione, dotata di un Governo responsabile di fronte al Parlamento, affidando allo stesso Parlamento Europeo il mandato di redigere un progetto di Costituzione europea da sottoporre direttamente alla ratifica degli organi competenti degli Stati membri della Comunità?»
Rispondemmo con una valanga di “si”, convinti che l’Unione ci avrebbe fatti più ricchi e più forti: come sarebbe stato (errori di grammatica a parte) se quella Unione fosse stata creata effettivamente a beneficio dei popoli europei. E non a beneficio dei mercati e della speculazione finanziaria, come i fatti hanno poi dimostrato.
Il quesito referendario – anche se allora non ce ne accorgemmo – celava due insidiosissime trappole. La prima era il via libera alla creazione di una Unione Europea «effettiva», dotata di un governo responsabile soltanto di fronte al Parlamento Europeo; non – quindi – di fronte ai governi, ai parlamenti e, men che meno, di fronte ai popoli degli Stati-membri. La seconda era l’attribuzione alla Camera e al Senato (gli «organi competenti») del potere di ratifica della Costituzione Europea, scongiurando così il pericolo di un referendum popolare confermativo.
La Costituzione Europea – poi – non fu adottata, perché bocciata dagli elettori di Francia e Olanda; gli altri referendum già programmati (in Inghilterra, Svezia, Danimarca, Irlanda, Portogallo, Polonia e Cechia) vennero precipitosamente annullati. Ma, malgrado l’assenza di una Costituzione, con il referendum del 1989 gli italiani avevano comunque dato il loro assenso alla formazione di un potere esecutivo sovranazionale, con ciò approvando – sia pure in via di principio – che a quell’esecutivo venissero attribuite quote più o meno significative della nostra sovranità nazionale. Ad interpretare in senso ampliativo tale approvazione, provvederanno poi la Commissione Europea ed i governi nazionali vassalli, stipulando vari trattati: da quello iniziale (Maastricht 1992) a quello “di completamento” (Lisbona 2007), alla creazione della funesta “moneta unica” (1999), ai due accordi del 2012 che hanno definitivamente sotterrato la nostra economia, quello sul “Meccanismo Europeo di Stabilità” e quello sul “Fiscal Compact”.
E veniamo ad oggi. Gli italiani non possono fermare con i sistemi convenzionali l’infernale macchina europea, e ciò per i meccanismi difensivi della “Costituzione più bella del mondo”. Infatti: 1) sono previsti esclusivamente i referendum abrogativi e confermativi, con esclusione di quelli propositivi e consultivi; 2) è esplicitamente vietato che il popolo possa pronunziarsi con qualunque tipo di referendum su materie quali i trattati internazionali ed i provvedimenti di natura fiscale. Per sottoporre agli italiani il referendum dell’89, fu necessaria una legge costituzionale che consentisse l’indizione di quel referendum consultivo, e soltanto di quel referendum consultivo.
Ciò premesso, che risultato si prefigge il Movimento 5 Stelle con la raccolta di firme che è stata lanciata in questi giorni? Semplice: la presentazione di una proposta di legge costituzione d’iniziativa popolare che indìca un referendum consultivo sulla permanenza o meno dell’Italia nella “zona euro” (non nell’Unione Europea). In analogia assoluta con la legge costituzionale che permise agli italiani di dare il via-libera all’adesione all’UE nell’89. Quindi, l’iniziativa grillina è assolutamente legittima, praticabile, ineccepibile anche dal punto di vista formale. Certo, quella legge costituzionale potrà non trovare in parlamento i voti necessari per essere approvata. Ma, in quel caso, i partiti euro-dipendenti (o usa-dipendenti) dovranno ammettere esplicitamente quello che tutti sanno ma che i politici fanno finta di non sapere: e cioè che il popolo italiano è favorevole all’uscita dall’Euro. In altre parole: anche nel peggiore dei casi (e cioè ove il referendum non fosse indetto) sarebbe ugualmente una vittoria clamorosa per il fronte anti-europeista.
È quindi comprensibile che i partiti collaborazionisti levino alte ed allarmate grida contro il referendum “populista”. Meno comprensibile è che al coro eurocratico si accodi anche la Lega di Matteo Salvini, che nella scala dell’antieuropeismo sopravanza Grillo di dieci punti buoni. O, meglio, è comprensibile soltanto in relazione a calcoli di natura elettorale. Grillo e Salvini sono ben coscienti di “pescare” insieme nel grande mare del populismo antieuropeo, e di essere – quindi – in palese concorrenza tra loro. Ma sbagliano entrambi se pensano di logorarsi in una estenuante prova agonistica. E, in questa occasione, sbaglia Salvini nel dissociarsi dal referendum grillino, accusato di inseguire un obiettivo impossibile da raggiungere. Non è vero. Ciò che si propone questo referendum è certamente possibile, anzi – ammiccando al titolo di una canzone in voga – “bello e possibile”.
Dopo di che, ci saranno mille motivi per votare Lega e non Cinque Stelle: un antieuropeismo più radicale, più “lepenista”, un populismo politicamente meglio attrezzato, e soprattutto l’esigenza di contrastare senza mezze misure l’invasione immigrazionista dell’Italia e dell’Europa. I grillini non sembrano averlo compreso appieno, ma anche l’immigrazione selvaggia (ed eterodiretta) concorre a funestare la nostra economia, a svuotare le nostre casse, ad aggravare la nostra disoccupazione. Come l’euro, come il fiscal compact, come la globalizzazione pro-americana.
Ma – chissà? – se dovesse passare il referendum consultivo sull’euro, forse domani potremmo anche poter votare un referendum pro o contro l’immigrazione. Chiedo troppo? No, soltanto un po’ di democrazia vera, diretta, non mediata dai partiti e dai comitati d’affari.
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