8 Ottobre 2024
Libreria Tradizione

Il ritmo del desiderio: Evola, Jung e la luminosità dell’Io – Giovanni Sessa

Auspichiamo da tempo che gli autori afferenti al pensiero di Tradizione siano letti oltre gli steccati eretti da scolastiche riduttive e dogmatiche e che le loro opere siano discusse, messe a confronto, con i grandi nomi del pensiero contemporaneo. Siamo stati pertanto piacevolmente colpiti dalla lettura del libro di Roberto Cecchetti, Il ritmo del desiderio. Da Jung alle pratiche filosofiche, edito da Mimesis (per ordini: 02724861657, mimesis@mimesisedizioni.it, pp.206, euro 22,00). Il libro è impreziosito dalla prefazione di Massimo Donà e dalla postfazione di Luca Siniscalco. La firma di Donà non è affatto casuale. Il volume che presentiamo è, infatti, caratterizzato da una significativa adesione-discussione delle tesi estetico-teoretiche del filosofo veneziano e di autori su cui egli ha condotto esegesi esemplari, non ultimo Evola. Sappia, inoltre, il lettore, che Cecchetti condivide con Donà una duplice vocazione: quella musicale (è batterista) e quella speculativa. Tale dato biografico, come rileva Donà in Prefazione, non è di scarso rilievo in quanto: «ogni esercizio autenticamente filosofico […] è quintessenzialmente autobiografico» (p.7).

Ed allora, per entrare nelle vive cose trattate da Cecchetti, muoviamo da quanto gli disse il suo maestro di batteria: «Sai qual è la differenza tra un buon dilettante e un vero professionista? Il professionista sa come trattenersi» (p. 18). Il musicista provetto ha la medesima qualità del saggio ed opera nello stesso modo: ha, in qualche modo, attraverso una prassi faticosa e lunga, ottenuto il controllo degli impulsi immediati, e riesce a trasporli nell’atto creativo. Come seppe fare, del resto, Socrate nel racconto del Simposio platonico. L’Ateniese rimase lucido, presente a se stesso, nell’ebbrezza alcolica. L’acquisizione di un tale stato interiore è la conseguenza del confronto

con il terreno infido sul quale appaiono l’identità e la differenza, il mutamento e la permanenza, il tempo e l’eternità e, soprattutto, l’essere e il nulla. Il sapere di cui l’autore si fa latore mira, attraverso una domanda che non vuole oltrepassare il reale, a: «conoscere la leva segreta della sua possibile santificazione» (p. 19). Un pensiero siffatto è sintonico con l’esperienza estetica: pensa per immagini, nella consapevolezza che i concetti puri: «siano determinatezze assolutamente vuote» (p. 20). Il pensiero immaginifico, nel questo qui rileva l’altro. Memore della lezione musicologica di Marius Schneider, Cecchetti ricorda come simbolo illuminante di tale intuizione sia il tamburo, nella cui costruzione rituale sono posti in Uno, Cielo e Terra: «Il suono della cassa ha la profondità dello squasso tellurico […] il rullante può essere lo stato mediano della manifestazione che ogni tanto raggiunge il cielo […] e il piatto allora […] esplode come un boato celeste» (p. 17). Il suo suono, prodotto in illo tempore da una pelle di animale sacrificale, non tacita la dimensione tragica del vivere, perché è sempre unito alla dimensione del silenzio, nel quale, immediatamente prodotto, è riassorbito. Si mostra, nel suono, il principio infondato, il non consustanziale agli enti. E’ così che la pratica musicale e l’autentica filosofia, consentono di acquisire consapevolezza che i ritmi sostanziano le cose e abitano la nostra mente. Come nota Donà, la nostra ambivalenza ritmica si mostra quando un contenuto sale alla coscienza: ciò determina il contemporaneo negarsi, venir meno, di un contenuto inconscio: «Conscio e inconscio […] sono […] i poli in rapporto a cui, solamente, ogni atto psichico viene di fatto a costituirsi» (p. 9). La posizione di Cecchetti, originata da una evidente condivisione della pratica filosofica di Roberto Màdera, mira a recuperare negli uomini quella capacità di sintonizzarsi con l’identità degli opposti, sostenuta dalla prisca philosophia, oltre il logocentrismo dominante la modernità.

Il pensiero ermetico, mitico-simbolico, insegna come dalla ripetizione ritmica, che trova la propria scansione nel ciclo dell’anno, distinto in equinozi e solstizi, sortisca il novum. La modernità, chiosa l’autore, sorse dalla separazione di ritmo e contenuto. Ma anche in essa sono possibili uscite dal mondo: in ciò i magisteri di Baudelaire e di Benjamin risultano esemplari. Il flâneur, uomo fuori dal comune, nell’accelerazione della vita della metropoli moderna, attraverso la passeggiata ebbra, si sottrae allo scacco dell’utilitarismo reificante, mentre la prostituta di Baudelaire è essere doppio, è merce e venditrice, riflette la scissione contemporanea tra una natura sentita come fruibile e il tratto sacro, apparentemente irraggiungibile che alita in lei. Come ricomporre la scissione di conscio-inconscio, di natura fruibile e sacra, di essere e nulla? Seguendo un itinerarium in veritatem che ha come tappe significative, Evola, Jung e Neumann.

Per Evola il desiderio è, nella opzione oggettiva, mancanza. Noi desideriamo e, pertanto, bramiamo il possesso degli enti, inseguendoci vanamente nel futuro che il desiderare apre, senza mai possederci (la rettorica di Michelstaedter). Ma all’uomo è data un’altra possibilità: ponendosi in sequela con Novalis, Evola, a differenza di Kant, non ritiene che l’immaginazione sia una semplice facoltà, ma forza, assoluta e incondizionata, afferente all’inconscio, che si mostra prepotentemente nel desiderio. L’ Idealismo magico evoliano, rileva Cecchetti, indica la via per: «giungere ad attraversare e “padroneggiare” l’inconscio» (p. 55), perché è in esso che, attraverso la dimensione mitico-simbolica, si genera la mediazione con il reale. Sullo stessa tema si soffermò Jung: come Evola, lesse nell’oggetto-natura, non riconducibile immediatamente alla volontà, la necessità. I due percorsi si configurano, nel loro confronto con il luogo del desiderio, l’inconscio, quali filosofie della libertà. Tale iter, nota l’autore, è stato proseguito da Neumann, in un confronto serrato con il testo chiave dello psicanalista svizzero, ampiamente discusso da Cecchetti, Simboli della trasformazione.

Va detto che, opportunamente, nel volume vengono anche sottolineate le divergenze che distinguono il pensiero di Tradizione dalla via junghiana. E’ noto che Evola inserì la psicanalisi tra le espressioni, aspramente criticate, dello spiritualismo contemporaneo e che non fu, di certo, tenero con Jung. Per i tradizionalisti, l’inconscio corrisponde al subconscio, ma solo la dimensione del superconscio consente una reale integrazione dell’io nel Sé. Inoltre, i simboli, questa la lezione guénoniana, non sono prodotto umano, ma sovrumano. Nonostante ciò, Ritmo del desiderio, indica, con forza e persuasività d’accenti, la necessità di un confronto intellettuale e spirituale solo agli inizi, che va proseguito.

Giovanni Sessa

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