di Fabio Calabrese
Mi dispiace di averlo saputo con un certo ritardo, ma credo che la cosa non tolga nulla all’importanza della notizia. La riferisce “L’indipendente” del 24 gennaio 2007 in un articolo a firma di Mauro Frasca, Il ritorno dei pagani sull’Olimpo: una rappresentanza dei circa 40.000 pagani ellenici ha ottenuto dalle autorità greche il permesso di celebrare un rito nel tempio di Giove Olimpio ad Atene, e la cosa sembra essere un primo passo per il riconoscimento ufficiale della religione “gentile” fra quelle ufficialmente ammesse, con il diritto di celebrare pubblicamente funerali, matrimoni eccetera. Già oggi la neo-rinata comunità pagana ellenica è la quarta fede del Paese dopo i 10 milioni circa di cristiani ortodossi, i 500.000 mussulmani ed 200.000 cattolici, superando nettamente i 30.000 testimoni di Geova, i 30.000 protestanti ed i 5.000 ebrei.
Quattro anni fa, ad un precedente tentativo di celebrare un rito sempre sull’acropoli ateniese nel tempio di Efesto, furono cacciati in malo modo dalle guardie archeologiche, oggi un tribunale ha dato loro ragione, riconoscendo il loro diritto di riappropriarsi dei luoghi di culto che furono eretti dai loro padri per la loro fede.
Quattro anni fa, ad un precedente tentativo di celebrare un rito sempre sull’acropoli ateniese nel tempio di Efesto, furono cacciati in malo modo dalle guardie archeologiche, oggi un tribunale ha dato loro ragione, riconoscendo il loro diritto di riappropriarsi dei luoghi di culto che furono eretti dai loro padri per la loro fede.
Puntualmente, vi sono state le prevedibili reazioni isteriche della Chiesa ortodossa. Ma come? – verrebbe da chiedersi – questi cristiani oggi non sono tanto per l’ecumenismo, per il dialogo fra le religioni? Ma quando si tratta di manifestazioni della più antica spiritualità autoctona d’Europa, ecco scattare la più cieca, isterica intolleranza. Sarà mica perché i seguaci del “dio inchiodato” hanno un’enorme coda di paglia? Sarà mica perché la cristianizzazione dell’Europa, la cancellazione – evidentemente non così completa e non così definitiva come costoro pretendono – delle fedi europee originarie è avvenuta in un’orgia di violenza? La verità pura e semplice che ogni storico che si rispetti conosce, ma che ancora adesso ci si guarda bene dal rivelare al grosso pubblico, è che l’Europa è stata cristianizzata a forza.
Dai massacri di pagani (migliaia di vittime) e la distruzione di templi per edificare al loro posto chiese cristiane ordinata dall’imperatore Teodosio, a Carlo magno con la sua evangelizzazione a fil di spada dei Sassoni, agli analoghi “sermoni” dei cavalieri teutonici contro gli Slavi, alla crociata contro gli Albigesi nel XIII secolo, ai roghi degli eretici, a quelli delle presunte streghe, la verità è che nella “conversione” dell’Europa al cristianesimo, la predicazione e la persuasione hanno tenuto un ruolo assolutamente marginale rispetto alla conquista militare, alle stragi, alla violenza più brutale, alla persecuzione dei dissidenti, alla soppressione di ogni forma di pensiero “non allineato”.
L’articolo di Mauro Frasca precisa anche che il quasi-riconoscimento ufficiale del movimento gentile ellenico, che va ad aggiungersi a quelli già ottenuti dagli analoghi movimenti islandese e lituano, costituisce la punta dell’iceberg di un movimento molto più vasto che interessa tutta l’Europa e ne trascende i confini. Negli Stati Uniti, ad esempio, la wicca conta ben 134.000 seguaci, e recentemente la vedova di Patrick Steward, un sergente americano appunto adepto della wicca caduto in combattimento in Afghanistan nel 2005, è riuscita, sempre con sentenza del tribunale, a costringere l’United States Departement of Veteran Affairs ad ammettere i simboli wiccani nei cimiteri dei caduti (perché, sia chiaro, ancora oggi i pagani non riescono ad ottenere senza lunghe battaglie legali quei diritti che normalmente si riconoscono alle altre fedi; e questa ingiustizia è la più chiara dimostrazione del permanere anche all’interno di istituzioni che si vorrebbero “laiche” di una mentalità cristiana, e del fatto che il cristianesimo ha sempre costruito le sue posizioni civettando con il potere, e mentendo nella maniera più spudorata tutte le volte che ha inteso presentarsi come religione “dei poveri e degli umili”).
In Europa, oltre ai movimenti islandese, lituano e greco, hanno ottenuto una sorta di riconoscimento ufficioso i 500 membri del Forn Sidr in Danimarca, una comunità pagana odinista (ma non è questione di numeri quando si esce da due millenni di repressioni e persecuzioni; vi sono poi movimenti che mirano alla restaurazione del paganesimo paleoslavo in Polonia, movimenti druidici nelle Isole Britanniche, in Francia ed in Italia; in Italia vi sono anche movimenti che vorrebbero restaurare il paganesimo romano.
Il Dipartimento per gli Affari Ecclesiastici del governo danese ha fatto premettere al suo quasi-riconoscimento del Forn Sidr la dichiarazione di non avere nulla a che fare e l’impegno di non avere nulla a che fare in futuro con gruppi neonazisti o satanisti; cosa della cui equità od opportunità si potrebbe anche discutere, ma immaginatevi, provatevi solo ad immaginare se le Chiese cristiane e quella cattolica in particolare, per poter svolgere la loro attività dovessero impegnarsi preventivamente ad astenersi da ingerenze nella politica! Calmatevi, che rischiate di slogarvi le mascelle!
Il defunto pontefice Giovanni Paolo II aveva il “pallino” delle radici spirituali dell’Europa che voleva menzionate anche nella costituzione dell’Unione Europea, ed il suo successore Joseph Ratzinger, Benedetto XVI si è mosso sulla medesima strada; non si può dire che in Europa non ci si stia muovendo per accontentare quest’aspirazione dell’uno e dell’altro; peccato che queste radici con il cristianesimo nulla abbiano a che fare.
Le radici spirituali dell’Europa non sono cristiane, non possono esserlo, per chiari ed evidenti motivi.
La civiltà europea nasce dall’incontro, dalla fusione
, dall’intersecarsi, ma anche dallo scontro di quattro culture: greca, latina, celtica e germanica. Le prime tre sono più antiche del cristianesimo, che non vi ha apportato altro che elementi di dissoluzione e tentativi di scalzamento delle popolazioni europee dalla loro matrice culturale originaria. La quarta, quella germanica, ebbe il suo maggiore sviluppo in epoca medievale, già cristiana, ma anche qui il cristianesimo funse piuttosto da antagonista e da elemento di dissoluzione. La mentalità ecclesiastica ed i suoi valori furono in perenne antagonismo con la mentalità cavalleresca-feudale espressione del germanesimo, ed i suoi valori basati non sull’ascetismo ma sull’aspirazione ad una vita eroica. Questo contrasto si espresse per tutta l’epoca medievale nel conflitto fra papato ed impero poi nel 1516 con la riforma protestante ed il distacco della Germania dal papato romano.
, dall’intersecarsi, ma anche dallo scontro di quattro culture: greca, latina, celtica e germanica. Le prime tre sono più antiche del cristianesimo, che non vi ha apportato altro che elementi di dissoluzione e tentativi di scalzamento delle popolazioni europee dalla loro matrice culturale originaria. La quarta, quella germanica, ebbe il suo maggiore sviluppo in epoca medievale, già cristiana, ma anche qui il cristianesimo funse piuttosto da antagonista e da elemento di dissoluzione. La mentalità ecclesiastica ed i suoi valori furono in perenne antagonismo con la mentalità cavalleresca-feudale espressione del germanesimo, ed i suoi valori basati non sull’ascetismo ma sull’aspirazione ad una vita eroica. Questo contrasto si espresse per tutta l’epoca medievale nel conflitto fra papato ed impero poi nel 1516 con la riforma protestante ed il distacco della Germania dal papato romano.
In secondo luogo, non è esagerato affermare che l’Europa ha sempre vissuto il cristianesimo impostole con la violenza come una soffocante camicia di forza.
Nel XVIII secolo nacque in Europa il movimento illuminista; gli intellettuali più aperti, trovando il consenso della borghesia che si andava affermando e l’appoggio dei sovrani più illuminati, riuscirono a porre un freno all’ingerenza massiccia, al monopolio delle Chiese cristiane, soprattutto di quella cattolica, nell’istruzione, nella cultura, nella politica, in ogni aspetto della vita civile: era una reazione, in effetti, e pienamente giustificata, a due secoli di guerra civile europea che dalla riforma protestante in poi, cattolici e riformati avevano scatenato, contendendosi l’Europa palmo a palmo. La guerra dei Trent’anni (1618-1648) che distrusse la Germania e quasi ne sterminò la popolazione, giungendo ad essere la guerra più distruttiva e brutale della storia umana fino alle due guerre mondiali del XX secolo, non fu in effetti che l’episodio più acuto di una guerra civile bisecolare che sconvolse quasi ogni angolo del Vecchio Continente. L’illuminismo e le rivoluzioni del XIX secolo imposero la separazione fra Chiesa e stato, la laicità degli stati, la libertà di coscienza come diritto inalienabile. Da allora in poi, non appena l’Europa ha cessato di essere costretta dai roghi dell’inquisitore e dalla spada del crociato (Le crociate, ricordiamolo, non furono dirette solo contro l’islam, vi fu la crociata contro gli Albigesi, ma anche, ad esempio, quella che nel 1204 pose fine all’impero bizantino, e certamente “crociate” si potrebbero definire le campagne di sterminio carolinge contro i Sassoni e quelle dei cavalieri teutonici contro gli Slavi), è iniziato un movimento di scristianizzazione dell’Europa, lento ma inarrestabile e con ogni probabilità irreversibile. L’Europa rigetta da sé il cristianesimo come quel corpo estraneo che in effetti è. Dove sono le “radici cristiane” dell’Europa? Sono piuttosto le parole del grande Richard Wagner che vengono in mente:
“PER QUANTO L’INNESTO SULLE SUE RADICI DI UNA CULTURA CHE LE E’ ESTRANEA, POSSA AVER PRODOTTO FRUTTI DI ALTISSIMA CIVILTA’, ESSO E’ COSTATO E CONTINUA A COSTARE INNUMEREVOLI SOFFERENZE ALL’ANIMA DELL’EUROPA”.
“Una cultura che le è estranea”; di questo appunto si tratta; nonostante due millenni di sforzi, l’origine mediorientale, non-europea del cristianesimo rimane un marchio indelebile.
L’anno scorso, 2006 dell’Era Volgare, l’attuale pontefice (sempre che convenga al leader della Chiesa cattolica questo titolo usurpato – come tutto il resto – all’antica religione romana) Benedetto XVI tenne, nel corso della sua prima visita pastorale nella natia Germania, un discorso all’università di Regensburg, che attirò l’attenzione soprattutto per un’espressione sull’islam giudicata offensiva dalle comunità islamiche e prontamente ritrattata, ma questo però ha fatto passare inosservato il fatto che in questo discorso Joseph Ratzinger diceva anche altro, tornava ancora una volta sulle “radici cristiane dell’Europa”, tormentone preferito del suo predecessore, con un’interessante variante, mettendo a lato delle fonti bibliche ed evangeliche anche la “filosofia greca”.
L’anno scorso, 2006 dell’Era Volgare, l’attuale pontefice (sempre che convenga al leader della Chiesa cattolica questo titolo usurpato – come tutto il resto – all’antica religione romana) Benedetto XVI tenne, nel corso della sua prima visita pastorale nella natia Germania, un discorso all’università di Regensburg, che attirò l’attenzione soprattutto per un’espressione sull’islam giudicata offensiva dalle comunità islamiche e prontamente ritrattata, ma questo però ha fatto passare inosservato il fatto che in questo discorso Joseph Ratzinger diceva anche altro, tornava ancora una volta sulle “radici cristiane dell’Europa”, tormentone preferito del suo predecessore, con un’interessante variante, mettendo a lato delle fonti bibliche ed evangeliche anche la “filosofia greca”.
Potremmo quasi dire che Ratzinger è stato più moderato (ed è certamente più colto) del suo predecessore Wojtila, essendosi degnato di menzionare accanto alle radici ebraico – biblico – cristiane, quelle greche.
Questa ammissione rende ancora più interessante un esame delle tre omissioni delle reali radici dell’Europa: la costruzione politico – giuridico – amministrativa romana, l’immaginario celtico, le tradizioni germaniche di fedeltà e di onore, soprattutto considerato che Joseph Ratzinger non è un curato di campagna casualmente diventato papa, ma un teologo ed uno dei più acuti intelletti che la Chiesa oggi possiede.
Che proprio un papa tedesco abbia omesso qualsiasi accenno al contributo delle radici germaniche alla civiltà europea, non è purtroppo cosa che possa stupire: dal 1945 i Tedeschi sono abituati, sono stati costretti con una sorta di schizofrenia indotta, a definire la propria identità in termini di negazione del proprio passato e della propria storia; nondimeno, la concezione germanica dello stato che nasce da rapporti personali fra governanti e governati, da un patto liberamente sottoscritto ma che una volta contratto va osservato con una fedeltà che non ammette deroghe, è alla base non solo del forte spirito identitario che ha caratterizzato il medioevo feudale e comunale, ma, incontrandosi con la paideia greca e l’humanitas latina, ha generato la nostra concezione che accorda alla persona, al singolo, ai suoi diritti, una centralità assolutamente sconosciuta in altre culture.
Che anche i Celti in questo discorso rimangano fatalmente ignorati, stupisce ancora meno: dalle radici celtiche abbiamo ereditato il folklore come forma di mitologia popolare, con creature fantastiche come elfi e folletti, ed alcuni miti ancora vivi nella nostra cultura apparentemente smagata: il Ciclo Bretone, Artù, Merlino, Excalibur, il Santo Graal sono presenze ancora vive, simboli ancora forti nella nostra cultura: è il residuo maggiore di paganesimo che permane oggi in Europa, che urta frontalmente contro la mentalità cristiana, e proprio per questo è per me una delle ragioni che rendono degna di amore e d’interesse la cultura celtica.
Stupisce maggiormente la mancanza di qualsiasi riferimento alla tradi
zione romana da parte del principale esponente di una Chiesa che si definisce pomposamente e falsamente “romana”. Forse la cosa è più spiegabile alla luce di una riflessione del filosofo Denis De Rougemont, secondo il quale il cristianesimo avrebbe portato in Europa “un terzo mondo di valori”, quelli del profetismo ebraico “difficilmente conciliabili con la misura greca e totalmente contrari a quelli di Roma”.
zione romana da parte del principale esponente di una Chiesa che si definisce pomposamente e falsamente “romana”. Forse la cosa è più spiegabile alla luce di una riflessione del filosofo Denis De Rougemont, secondo il quale il cristianesimo avrebbe portato in Europa “un terzo mondo di valori”, quelli del profetismo ebraico “difficilmente conciliabili con la misura greca e totalmente contrari a quelli di Roma”.
Da Roma, la Chiesa cattolica “romana” ha ereditato parte della struttura amministrativa e la lettera della sua cultura giuridica e letteraria, uccidendone totalmente lo spirito.
“Et facere et pati fortiter romanum est”, è da romani agire e sopportare con fermezza. Il romano affronta le vicende della vita con un senso di equilibrio interiore, non perde il controllo di sé nei momenti favorevoli e non si abbatte nelle sventure; ancora più del greco gli è proprio il senso della misura. Un mio rimpianto docente del liceo ormai scomparso da molti anni, faceva notare come Orazio traduca il “Nun chré methusthen” (“ora bisogna ubriacarsi” di Alceo con “Nunc est bibendum”, il romano “beve”, non “si ubriaca”.
A differenza di quelle cristiane, le virtù romane sono virtù civiche: valore e disciplina in battaglia, frugalità e parsimonia nell’amministrazione delle proprie cose, obbedienza filiale, magnanimità e saggezza come pater familias, senso di appartenenza, fierezza di appartenere alla propria civitas ed alla propria stirpe, preoccupazione per i suoi destini, forza d’animo nelle sventure, moderazione nei successi.
La virtus romana non è la “virtù” cristiana, viene da vir, e significa appunto in ogni circostanza riuscire ad essere e sapersi comportare da uomini.
Del concetto antico di virtù, curiosamente rimane una traccia negli erbari, nei bestiari, nei lapidari medievali, laddove si parla delle “virtù” delle piante, degli animali, dei metalli: “virtù” significa portare alla massima estrinsecazione, sviluppare ciò che è conforme alla propria Natura; è un’idea esattamente opposta a quella del cristianesimo che implica l’andare contro la propria natura che si suppone corrotta dal peccato originale.
A questo punto proprio il fatto che Joseph Ratzinger abbia menzionato il pensiero greco nel discorso di Regensburg diventa sospetto. Su cosa si debba intendere per pensiero greco, infatti, esiste quanto meno una grossa ambiguità, forse una mistificazione.
Come minimo occorre distinguere fra “la sapienza” greca e “la filosofia” greca o presunta tale. Giorgio Colli, il nostro maggiore studioso del pensiero greco, faceva notare che la parola “filosofia” che significa “amore per la sapienza” fu usata per la prima volta da Platone, ma in Platone essa ha ancora il significato di una sapienza perduta da ritrovare, mentre l’idea “moderna” della filosofia come un sapere mai prima posseduto da inventare ex novo, nasce solo con Aristotele.
Ora, si osservino bene i rapporti temporali: con Socrate, maestro di Platone siamo già a dopo la guerra del Peloponneso che è considerata l’evento che pone fine alla civiltà ellenica classica, e con Aristotele che fu il precettore di Alessandro Magno, siamo già nell’ellenismo.
In pratica, non considerando la fase sapienziale ma unicamente quella filosofica del pensiero greco, e riducendo tutto quanto sta prima di Socrate nella categoria dei precursori sui quali non è il caso di soffermarsi troppo, con una specie di gioco di prestidigitazione, è proprio il pensiero della grecità classica che è stato fatto scomparire dalla nostra vista.
Tra la sapienza ellenica e la “filosofia” ellenistica corre, potremmo dire, la stessa distanza che c’è fra Leonida che si immola alle Termopili con i suoi trecento spartiati per sbarrare la strada ai Persiani, ed Aristotele che si pone al servizio di Filippo II di Macedonia, il re straniero che minaccia l’indipendenza delle città greche.
L’aspetto più interessante e forse più rilevante della sapienza greca è il suo contenuto etico, che è bene illustrato da un episodio riguardante Solone, forse il più noto dei Sette Savi della tradizione ellenica. Solone fu invitato alla corte di Creso, il re di Lidia il cui stesso nome è diventato sinonimo di ricchezza. Dopo avergli mostrato i suoi tesori, Creso chiese al saggio greco se riteneva che egli fosse un uomo felice. Solone rispose negativamente, ed allora Creso gli domandò:
“Chi conosci tu più felice di me?”
Solone rispose citando un qualsiasi cittadino ateniese che aveva onorevolmente servito la sua città in guerra, era onesto e stimato dai suoi concittadini, aveva una moglie fedele e dei figli devoti.
Anni più tardi, Creso mosse guerra a Ciro, il re dei Persiani e fu pesantemente sconfitto e catturato. Mentre stava per essere messo a morte, invocò ripetutamente il nome di Solone, avendo finalmente compreso l’insegnamento del saggio greco. Incuriosito da quell’invocazione, Ciro chiese a Creso di che si trattasse, e questi gli narrò dell’incontro avvenuto anni prima con il sapiente greco. Allora il re dei Persiani graziò Creso e lo perdonò, pago di poter godere almeno del riflesso della saggezza di Solone.
Anni più tardi, Creso mosse guerra a Ciro, il re dei Persiani e fu pesantemente sconfitto e catturato. Mentre stava per essere messo a morte, invocò ripetutamente il nome di Solone, avendo finalmente compreso l’insegnamento del saggio greco. Incuriosito da quell’invocazione, Ciro chiese a Creso di che si trattasse, e questi gli narrò dell’incontro avvenuto anni prima con il sapiente greco. Allora il re dei Persiani graziò Creso e lo perdonò, pago di poter godere almeno del riflesso della saggezza di Solone.
Vivere secondo virtù è per la Sapienza greca l’unico modo per essere felici, una virtù concepita allo stesso modo della virtus romana come conformità alla propria natura, e l’uomo non è separabile dal cittadino, né la vi
rtù dall’esercizio dei doveri civici. Tale separazione, ci spiegherà più tardi J. J. Rousseau, avviene con il cristianesimo ed è caratteristica di esso.
Democrito sottolinea il valore della libertà per l’uomo:
rtù dall’esercizio dei doveri civici. Tale separazione, ci spiegherà più tardi J. J. Rousseau, avviene con il cristianesimo ed è caratteristica di esso.
Democrito sottolinea il valore della libertà per l’uomo:
“Preferisco vivere libero e povero in una democrazia, piuttosto che essere uno schiavo ricoperto d’oro sotto una tirannide”.
Sotto una tirannide, infatti, non si può nemmeno dire di essere ricchi ma solo degli schiavi coperti d’oro, poiché il tiranno può toglierti in qualsiasi momento quel che ritieni tuo.
Naturalmente, fosse vissuto nella nostra epoca, avesse conosciuto le nostre democrazie piene di limitazioni alla libertà di pensiero, nelle quali esiste il reato d’opinione, Democrito si sarebbe reso conto che “democrazia” può ben essere il nome di una tirannide ipocritamente mascherata.
La sapienza greca o la filosofia presocratica (la seconda è il prolungamento della prima) sono ben consce della tragicità dell’esistenza in termini tali che il giudizio di De Rougemont che le vede “difficilmente conciliabili” con il cristianesimo, è in effetti una sottovalutazione.
La sapienza greca o la filosofia presocratica (la seconda è il prolungamento della prima) sono ben consce della tragicità dell’esistenza in termini tali che il giudizio di De Rougemont che le vede “difficilmente conciliabili” con il cristianesimo, è in effetti una sottovalutazione.
“Da dove i viventi hanno origine”, spiega un memorabile frammento di Anassimandro, “là essi necessariamente ritornano. Essi pagano l’uno all’altro il fio dell’ingiustizia commessa vivendo”.
L’esistenza è una catena ciclica cui i viventi, ossia tutti noi, siamo connessi, destinati a tornare là da dove siamo venuti nell’eterno ripetersi di nascite e morti. Vivere significa commettere ingiustizia, causare e ricevere dolore, un’ingiustizia di cui tutti noi salderemo immancabilmente il conto con il nostro trapasso.
L’esistenza è una catena ciclica cui i viventi, ossia tutti noi, siamo connessi, destinati a tornare là da dove siamo venuti nell’eterno ripetersi di nascite e morti. Vivere significa commettere ingiustizia, causare e ricevere dolore, un’ingiustizia di cui tutti noi salderemo immancabilmente il conto con il nostro trapasso.
Eraclito ha scritto che “Omero ed Esiodo che supplicavano gli dei di dare pace al mondo, non erano consapevoli di pregare per la sua morte”, poiché l’essenza stessa della vita è il conflitto. “La guerra è madre e regina di tutte le cose”; non la guerra che talvolta gli uomini si fanno, ma la lotta incessante tra predatori e prede, la morte di alcuni che è la sopravvivenza per altri, ed è essa a generare le cose ed i viventi, a costruire i tipi più elevati, e pare quasi di toccare con venticinque secoli d’anticipo il concetto darwiniano di selezione naturale. (Non a caso, Darwin è ancora oggi così odiato dai fondamentalisti religiosi).
E’ una visione che potremmo definire un nichilismo aristocratico, capace di osservare con occhio lucido tutta la tragicità e la precarietà della condizione umana senza cercare scappatoie soprannaturali, è una visione che presuppone un’umanità sana che riesce ad apprezzare gli aspetti positivi dell’esistenza pur essendo conscia della loro caducità, laddove il cristianesimo vuole l’uomo malato per poterlo “redimere”.
A partire da Aristotele abbiamo la filosofia nel senso che ci siamo abituati a dare a questa parola, come narcisistico esercizio intellettuale nel quale, come ebbe a dire Cicerone, “riceve maggiore considerazione chi inventa una stranezza nuova, che chi ripete una verità già detta da altri”, la cultura del mondo cosmopolita “globalizzato” ante litteram creato dalle conquiste di Alessandro, dove s’infiltrano sempre più elementi non greci e non europei, i cui fermenti di dissoluzione si attaccheranno come un contagio al mondo romano dopo che quest’ultimo l’avrà politicamente assoggettato, il “terreno di coltura” su cui si svilupperà il cristianesimo. E’ senz’altro questo il “pensiero greco” cui guarda Ratzinger.
Noi dobbiamo ribadire che le radici dell’Europa, quelle vere: il pensiero greco (quello autentico, non la sua contraffazione ellenistica), Roma, il mondo celtico e quello germanico, non sono cristiane, sono europee.
“Non si può dire”, ha detto qualcuno, “Se una rinascita del paganesimo in Europa sia oggi possibile, di certo è necessaria”.
Negli ultimi anni i segnali che fanno presagire una tale rinascita, non hanno fatto altro che moltiplicarsi. Cominciamo a scorgere la luce in fondo al lungo tunnel durato due millenni; il nostro continente sta cominciando forse a ritrovare il contatto con le sue vere radici spirituali
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