Ramòn Marìa Navàez fu generale e uomo politico nella prima metà dell’Ottocento in Spagna. Conservatore dichiarato, si distinse nella battaglia di Majaciete, novembre del 1836, ove ottenne la vittoria sui carlisti. Nel 1845, fedele alla regina Maria Cristina e, successivamente l’esilio in Francia di costei, della figlia Isabella II, fu insignito del titolo di Duca di Valencia. La sua carriera politica lo portò a ricoprire cariche di governo e fu più volte nominato Primo Ministro. Morì a Madrid il 23 aprile 1868. Si racconta che, sul letto di morte, gli chiesero se fosse disponibile a perdonare i suoi nemici, rispose con accento asciutto e convinto: ‘Non ho nemici. Li ho fatti tutti fucilare’. Un vero hidalgo con il crocefisso alla parete la pistola sul comodino la spada al fianco… Sarebbe piaciuto a Stalin al tempo delle ‘purghe’ dei suoi generali (iniziate nel giugno del ’37 con il ‘processo degli ufficiali e la successiva epurazione dei comandi dell’Armata Rossa) o a Hitler quando, nella cosiddetta ‘notte dei lunghi coltelli’, eliminò il comando delle S.A. (tra il 29 giugno del ’34 al 30 luglio). Da qualche parte Trotzkij aveva sentenziato come ‘La rivoluzione verifica tutto, e lo verifica con il sangue’, che non sarà ‘un buon testimone’, come voleva il nostro amico Nietzsche, ma sovente si necessita ed è, ancor più spesso, migliore dell’inchiostro. ‘A cercar la bella morte’, si richiedeva ai tempi eroici della Repubblica Sociale, e Carlo Mazzantini vi intitolò il suo romanzo autobiografico che, fra i primissimi, venne stampato (Mondadori, 1986) in circuito di grande distribuzione e non più in forma quasi latomica. E fu da Giano Accame, mi sembra di ricordare, che venni a conoscenza della (felice e coinvolgente, sintesi estrema per la scelta di campo) espressione ‘la guerra del sangue contro l’oro’. Di mio quei sedici anni, così significativi per la mia vita, non so se da considerarsi spesa bene o meno (chi se ne frega d’ogni cialtroneria psicanalitica!), quando, bastonato sotto casa, decisi che la risposta stava nel martello infilato nella cinta dei pantaloni e suonare al campanello in via Capo d’Africa al ‘ciccione’, presunto mandante, e mettergli una ventina di punti in testa fontanella di sangue e chiudermi la porta alle spalle con lui che stramazzava, in pigiama, sul pavimento. Blut und Boden, quel sangue e suolo di cui il Nazionalsocialismo si fece assertore, rovesciando quell’assunto (sempre del ‘nostro’ Nietzsche) che ‘anche il sangue è spirito’ in soltanto nel sangue si dà l’aristocrazia della razza (chissà se memori – dubito – di quel passo dell’Iliade ove il sangue del guerriero caduto sotto le mura di Troia si rapprende rapido nella terra avida d’essere vivificata). Sono sufficienti due occhi chiari, bionda la capigliatura e possedere il cranio dolicocefalo se in combattimento, con la medesima divisa delle combattimentoore?emico di e il nemico di fronte il sanguea si rapprende rafido dalla tera vidaWaffen SS e il nemico di fronte, il sangue ha il medesimo colore? Gli si può perdonare l’uso eccessivo della biologia e il confonderla con i principi e valori della trascendenza perché, con Léon Degrelle (ad esempio a pg. 51 de La nostra Europa), siamo convinti, qualora la guerra avesse ribaltato il suo esito storico, che ‘a partire dal 1943 era l’Europa futura a stagliarsi chiaramente. La forza principale che tendeva ad assicurarne l’edificazione e la protezione era costituita dal milione di volontari delle Waffen SS ( solo quattrocentomila i tedeschi e gli austriaci), corpo politico e compagine di combattimento, élite straordinaria, élite dello spirito, del sangue, della forza’. E si potrebbe continuare e con echi più autorevoli e pregnanti…
Nel suo odio, feroce ed ironico, nei confronti di Max Stirner, ‘Sankt Max’ come lo deride (ne abbiamo scritto ripetutamente e, va da sé, a difesa dell’autore dell’Unico), Marx scrive: ‘In un maestro di scuola o in uno scrittore, … la cui attività si limiti da un lato ad un duro (infatti egli evitò con ogni cura di farsi coinvolgere) lavoro e dall’altro al gusto di pensare, … i cui rapporti con questo mondo (fa esplicito riferimento ad alcuni quartieri popolari della Berlino a metà dell’Ottocento) sono ridotti al minimo a causa della sua posizione miserabile, in un tale individuo è indubbiamente inevitabile, nel caso egli possieda dei bisogni spirituali, che il pensiero divenga tanto astratto, quanto lo sono la sua vita ed egli stesso’. In altri termini, predisponendo se stesso ad incarnare il profeta (ritorno alle sue origini giudaiche) dell’unica rivoluzione praticabile, quella ad opera del proletariato per instaurare il comunismo, egli guarda a coloro che gli furono sodali in boccali di birra e chiacchiere filosofiche come a impotenti e beceri intellettuali piccoli borghesi. Poi il professor Renzo De Felice si premunirà a smentirlo con la teoria dei ceti medi ossatura del Fascismo (del resto per tutto il XIX secolo furono proprio i piccoli borghesi a dare fuoco alle polveri delle rivolte nazionali)… Usi la penna e l’inchiostro, illusi che fosse sangue… ma alcuni di loro seppero vivere entrambi.
Io sono un piccolo fottuto borghese con pretese da intellettuale (mi arrogo il vanto di scrivere libri e, penso, di scrivere bei libri), con alle spalle circa quarant’anni d’insegnamento di storia e filosofia (anche Stirner lo era prima d’essere licenziato in malo modo). Un lungo tirocinio fin da adolescente con delle poesie dai versi rimasticati e rubacchiati da poeti poco noti e forse più usi al rimario che all’estro (Era caldo il tuo corpo di giovinezza profumato/ in venti d’ambrosia a sollevare i morti,/ stanotte/ Sulla nuda spiaggia le mani cercano le curve dei tuoi seni senza rumore…). Poesie e racconti, costa adriatica, da cui emerge l’assalto delle ondate ormonali e visioni distorte di sessualità femminile vampiresca. Altri racconti trasudanti la retorica dei film western e trasferita all’ombra della svastika e del fascio littorio (questa, ad esempio, dedicata a piazza Venezia: Che bella cosa de torna’ in ‘sta piazza/ de notte sotto er manto della luna/ quannoch’ancora a da casca’ la guazza e cammina’ tranquilli è ‘na fortuna/ Vedi sbrilluccica’ quelle vetrate/ Te trovi in mezzo a li ricordi sui/ una di quelle magiche nottate/ e aspetti ancora che s’affacci Lui). Ne parlo qui quasi fosse atto liberatorio di cattiva coscienza, pronto benevolmente ad assolvermi.
Insomma, se è vero che del martello m’ero fatto esperto – e della spranga e del manico di scopa, indurito nell’acqua, e della bottiglia molotov (Valle Giulia, o cara!) -, è pur vero che dei libri e della penna non mi ero dismesso. E venne Regina Coeli e le lettere quali contatto d’affetti (quanto residuo di romanticismo e il gusto confortante della citazione a rileggerle dopo anni. Mia madre le conservava gelosamente) e con il mondo esterno. Gli ultimi esami dell’università la preparazione della tesi sul suicidio metafisico in Carlo Michelstaedter dei quaderni con la scrittura fitta e a volte quasi illeggibile. Una ulteriore tappa – di anni – verso la scoperta di una vocazione (?) di un appagamento di una sorta d’avventura, che si riproporrà con la rubrica Briciole di cultura sulla Publicondor e nel prendermi cura del giornale della Consulta Combattenti RSI. E i libri pubblicati da solo e con Rodolfo e ancora da solo fino a La guerra è finita con Roberto.
Se un tempo i ’guerrieri’ e i ‘filosofi’ (distinzione cara a Tonino Fiore) potevano coabitare – ed io mi sono detto che ero l’uno e l’altro, presuntuoso e arrogante – l’anagrafe (e non solo essa) ha risolto l’eventuale contraddizione. Le strade si sono separate dal momento che Don Chisciotte s’è fatto troppo tardo e troppo fragile mentre Cyrano se n’è andato con il suo pennacchio spelacchiato non per colpo di spada, ma da proditorio agguato con una tegola scagliatagli in testa… Il sangue s’è inspessito e sono rimaste le parole, ma non più simili a pietre e più prossime all’abbaiare di cani senza denti. Lasciamole, dunque, al vento e che siano dono per altri, più giovani sognatori. Scrive Pound, a conclusione del Canto LXXXIII: ‘Oh lasciate che un vecchio abbia quiete’. Così gli intellettuali (quante volte nell’area d’appartenenza ho ascoltato espressioni quali ‘pennivendoli’ o lo scagliarsi contro i ‘ludi cartacei’, i primi tutti vili esangui checche, i secondi cumoli di carta straccia), forse a reazione o, più probabilmente, quale insito ‘peccato’ d’origine, se ne sono andati per conto loro, scrivendo cose nobili e alte, sovente però con tono saccente e irritante. E i libri si leggono sempre meno (anche quelli geniali, i miei) … E anche il sangue s’è incattivito assumendo il colore dei soldi, lesti e facili, dispregiato un tempo quale logica dei mercanti, ora moneta contante tanto bramata, soprattutto se losca. L’inchiostro ed il sangue, fratelli litigiosi e incapaci di riconoscersi, nel tempo oscuro della denatalità…
Karl Theodor Koerner, poeta, arruolatosi volontario con il grado di tenente nell’esercito prussiano, cadde a soli ventidue anni durante una scaramuccia con i soldati di Napoleone Bonaparte presso Gadebusch, il 26 agosto 1813. I suoi versi, molti con forti accenti patriottici, vennero raccolti in libro dal titolo Lira e Spada. (‘Solo da quando amo la vita è bella; solo da quando amo so vivere’). Alessandro Manzoni, commosso, gli dedicò l’ode Marzo 1821. Nel cielo degli eroi, ‘gli eroi sono tutti giovani e belli’, risuonavano melodie e canti dei poeti, anch’essi giovani e belli. Oggi Il sangue e l’inchiostro, in questa cupa e oscena stagione, sono stati resi nemici fino ad essere assassinati sia l’uno che l’altro. Eppure rammento come ‘Per costruire la città di Dioce che ha terrazze color di stelle’ vi tentarono uomini che seppero donarsi con ‘uno schianto, non una lagna’ e ci volle un poeta, racchiuso in una gabbia, a ricordarli con il proprio verso orgoglioso…