10 Ottobre 2024
Punte di Freccia

Il segreto dei luoghi e i loro misteri

di Mario M. Merlino

Ogni pensiero vola’ è inciso al di sopra dell’entrata della grotta a forma di enorme bocca di mostro. Difatti passa con il nome di ‘orco’. Dentro, al centro, vi è un tavolo rettangolare in pietra. Secondo le interpretazioni più estreme e fosche si sarebbero tenute messe nere con fanciulle denudate sul freddo piano del tavolo (e subito si ricorre al paragone dei festini di una villa Arcore ante litteram e forse con più gusto e significanza… Imbecilli, credo, gli esegeti e, va da sé, in spirito malevolo le seconde con venatura di bilioso femminismo tardivo). Antro  a simboleggiare la morte, molto probabilmente, luogo appunto ove siamo costretti a lasciare, dispersi nella polvere, pensieri sentimenti visioni emozioni. E, forse, su quel tavolo si poggiavano coppe e caraffe di vino perché, in ogni tempo, esorcizzare la morte è riderne e ad essa brindare…
Mi riferisco alla cosidetta ‘villa dei mostri’ a Bomarzo, nei pressi di Orte, ideata dall’architetto Pirro Ligorio su commissione del principe Pier Francesco Orsini e dedicata alla scomparsa della moglie Giulia Farnese, seconda metà del XVI secolo. Egli volle darle nome Sacro Bosco. Si dice che a lavorare gli enormi blocchi di peperino fossero prigionieri turchi delle continue guerre nel Mediterraneo e nella penisola balcanica (pochi anni dopo vi sarebbe stata la battaglia di Lepanto, scontro navale tra la flotta cristiana e quella ottomana, e considerata la più spettacolare fra quelle svoltesi, in tutti i tempi, nel mare nostrum).
Non ricordo chi per primo me ne parlò e quando vi sono stato la prima volta. Certo che vi sono stato più volte, con amici, con la scuola, con mio figlio Emanuele. Ed in ogni occasione ne ho tratto spunti per cercare di cogliere il segreto di quelle costruzioni, di quelle figure, attraverso l’eco di rimandi culturali, delle assonanze con le letture del momento e le emozioni che, di fatto, è capace di evocare. Anche soltanto se la giornata è carica di sole o se il grigio d’una giornata autunnale espande atmosfere di malinconia attraverso gli alberi mossi dal vento, il gioco di ombre sul terreno, il calpestare le foglie ora gialle rossicce verde scuro.
Particolare mi ha sempre colpito ‘la casa pendente’, che obliqua si affaccia su uno spuntone e, quando si entra, si ha la netta sensazione di perdere l’equilibrio. Vi è una sola finestra, eternamente aperta e volta al cielo. Se la si fissa, se per essa lo sguardo abbandona le mura screpolate delle pareti o il piano inclinato del pavimento, quella sensazione d’incertezza vacuità abbandono viene meno e ci si ritrova… dritti, dritti fra le rovine, dritti sulla cima del mondo a lanciare la sfida alle stelle,  dritti in un piano che, abbandonando quello orizzontale, ‘umano troppo umano’, trae dalla sua verticalità il senso del suo essere (e viene a mente il Platone del Timeo e del perché gli uomini hanno il corpo eretto).
E ancora: proprio di fronte ad essa un elefante solleva da terra un soldato dall’inconfondibile armatura da legionario romano. Simbolo di quella rivincita dell’Oriente sull’Occidente di cui i prigionieri turchi portavano nell’animo a riscatto del loro servaggio? Possibile, certo, anche se un po’ troppo scontata la spiegazione. Alessandro Magno recise il nodo di Gordio e si assicurò così la conquista dell’Asia, gettando le basi di quella differenza inconciliabile fra due mondi e su cui discettarono, in un dialogo a distanza, intitolato proprio Il Nodo di Gordio, lo scrittore Ernst Juenger e il giurista Carl Schmitt (quest’ultimo riportandola allo scontro tra ‘mare e terra’).
A me sembra che l’eternità del tempo, di cui l’elefante è esplicito rimando nella cultura orientale, solleva e salva l’uomo da quelle sue ambizioni, qui espresse attraverso le conquiste in armi, e, mostrandogli quanto possa essere precario il luogo della sua dimora, la casa pendente, l’invita a darsi ad altra misura di sè e della sua presenza terrena (gli gnostici e Plotino alla ricerca di quella Patria a cui aspirare e che non possiede confini mondani). Di questa, forse, intuizione, che certo nulla pretende quale spiegazione, mi piace farne dono con una delle tante e sibilline frasi che si trovano sparse sulla pietra. ‘Sol per sfogare il core’… che è il vero segreto alchemico, la magia più grande, d’ogni nostra esistenza. La più sincera e radicale liberazione.

Ecco: lasciamo, dunque, il mondo sempre troppo arrogante e presuntuoso della ragione calcolante e diamoci al segreto dei luoghi ai loro misteri alle ninfe inseguite dai satiri in calore al dio delle fonti e a quello del bosco al cavallo bianco nella radura con il corno sul muso insomma a quell’’inizio’ che, essendo una divinità, come pensava Platone, ‘finchè coabita fra gli uomini, salva ogni cosa’…

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