a cura di Gianluca Padovan
Il tempo passa e non si spegne. Qualcuno afferma che ogni parola emessa da bocca umana, ogni azione e fin’anche ogni pensiero, vadano a fluttuare, fino a sedimentarsi, nello spazio etereo. O nello spazio dell’etereo, di quell’inconoscibile che sta tra il credere e il non credere.
È tipico dell’essere umano il ricordare le gesta, seppure secolo dopo secolo da tale usanza e tradizione antica si sia affermato il concetto di «storia», quella che dovrebbe essere scritta con la esse maiuscola.
Gesta e storia si possono fondere assieme, creare un filone storico, magari andando a rappresentare, malauguratamente, la sola e unica verità storica accettata e quindi, magari un po’ supinamente, accettabile.
Ogni storia è un poliedro in cui ogni faccia ha interagito con le altre. Per comprenderla occorrerebbe prendere visione e coscienza di almeno più d’una sola faccia, che generalmente va a costituire, da sola e così com’è, la sola “storia di facciata”.
«Il segreto di Italia» è un film ambientato in uno dei frangenti più critici della Storia d’Italia, quello della sconfitta subita nel corso della Seconda Guerra Mondiale. La storia narra le vicende di una giovinetta innamorata il cui tempo danza e si dipana tra la spensieratezza della gioventù e i fatti che seguono la resa incondizionata. Culminano proprio in quel momento di guerra civile che opera la damnatio memoriae nei confronti di chi ha dovuto rendere le armi, rimanendo inevitabilmente e fatalmente inerme. Tale “operazione” avviene modo più cruento: cancellandoli con la morte e dimenticandoli con lo scrivere la “storia di facciata”.
Ecco lo spunto d’inizio: «C’è un segreto nella vita di Italia Martin, un segreto terribile che affonda le radici in un avvenimento del suo lontano passato e che, per molti e molti anni, le ha impedito di tornare nel luogo dove è nata e dove è vissuta fino all’adolescenza. Quando, per una circostanza legata al matrimonio di una sua nipote, Italia [interpretata dall’attrice Romina Power. N.d.A.] torna, dopo 55 anni, al suo paese d’origine. Italia, una volta per tutte, deve fare i conti con i suoi cattivi ricordi…».
Il film prende l’avvio con la primavera del 1945. In questo 2014, ad un passo dalle commemorazioni di facciata che avverranno l’anno prossimo, considero tale film un’azione di coraggio. Andrà a fare parte anch’esso della Storia, quella che ancor’oggi pochi raccontano e ancor meno ricordano o desiderano ricordare.
Perché questo film? Lascio rispondere chi lo ha pensato: «L’avvenimento da cui trae ispirazione questa storia è avvenuto realmente. Fra la fine di aprile e metà maggio del 1945, a guerra finita, una brigata partigiana di Ravenna, al seguito delle truppe inglesi, si acquartiera in un paese veneto in provincia di Padova, Codevigo, che diventa il teatro di un vendetta cruenta. Vengono coinvolti nell’eccidio sia alcuni fascisti locali, ma soprattutto quelli della G.N.R. di Ravenna, rastrellati dai partigiani nel veronese e portati a Codevigo per essere passati per le armi. I morti furono circa 150. L’esperienza sconvolgente della guerra civile che aveva toccato Codevigo solo marginalmente diventa in quei giorni un vissuto traumatico che non sarà più dimenticato per molte generazioni. Il sentimento di paura e di precarietà esistenziale che caratterizzò quei giorni, si inscrisse in modo indelebile nella memoria degli abitanti. Intervenne quasi subito un processo di rimozione e la memoria venne custodita, protetta, in un nucleo di mistero e di segreti di non facile accesso. Il punto di vista che abbiamo scelto per raccontare la nostra storia è originale. Non vogliamo raccontare l’eccidio in senso stretto. Non è una rievocazione storico-ideologica, o documentale, ci interessa piuttosto indagare gli stati d’animo della comunità in cui questi fatti avvennero, attraverso alcuni personaggi che sono in parte di finzione e in parte realmente esistiti, ma comunque emblematici; ci interessa raccontare una storia di persone che furono toccate dall’eccidio e ci interessa raccontare cosa scelsero di fare in quel momento, come si comportarono. Si nascosero o fecero finta di nulla? Si chiusero in casa per non vedere né sentire, o approfittarono della situazione per una vendetta personale? E i più piccoli? Come reagirono i bambini, cosa pensarono?».
Il soggetto e la sceneggiatura sono di Antonello Bellucco e Gerardo Fontana, le fonti storiche sono di Angelo Grasso e la regia è di Antonello Bellucco. Il film è prodotto dalla Eriadofilm s.r.l. e presto sarà proiettato nelle sale italiane.
Buona visione.
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