Inizia la vacanza
Raffaele aveva studiato il luogo dove, con l’amico Gennaro, aveva deciso di trascorrere una breve vacanza. Le guide parlavano dei sentieri e dei boschi del Matese, e di un luogo dai nomi fortemente evocativi. Aveva letto di un santuario in montagna e di un Eremo della Solitudine cui si accedeva percorrendo un sentiero, chiamato Il Sentiero del Silenzio. Da com’era descritto, sembrava un luogo del tutto diverso dal santuario, forse anche distante. Giunsero di buon mattino nel paese che avevano scelto. Il viaggio in treno era stato lento e placido. La pianura del Casertano si era srotolata davanti ai loro occhi, alternandosi con paesini dai tratti antichi, a volte seguiti dal bestiame degli allevamenti nelle fattorie di campagna. Il tutto era molto rilassante, specie per Raffaele che amava distendersi osservando i paesaggi. Avevano preso una “littorina”, ora adibita a metropolitana regionale. Alla stazione avevano chiamato l’albergatore che gentilmente era venuto a prenderli con l’auto. I due amici non amavano guidare. Il paese alle pendici del massiccio del Matese era tranquillo, fin troppo; Gennaro e Raffaele percepirono subito che c’era un’aria strana, come una cappa di torpore che soffocava qualcosa. Percepirono l’atmosfera, si lanciarono uno sguardo d’intesa; conoscendosi da molti anni ed avendo una solida sintonia, non c’era bisogno di dirsi molte parole. Presero alloggio nelle due camere singole, con un arredo sobrio e decoroso, con tutti i comforts di un albergo che si rispetti. Avevano bisogno di riposare e questi particolari erano importanti. Depositarono i bagagli, e scesero in piazza Roma, il centro del paese. Osservarono le montagne del massiccio tutt’intorno, coperte da una compatta vegetazione e la loro attenzione fu attratta da un campanile che dominava sul monte piu’ vicino.
“Quel campanile deve essere del ‘600, lo stile architettonico è inconfondibile,” disse Raffaele. Essendo uno studioso di arte e di religioni comparate, cercava di cogliere subito le tracce della storicità di un luogo, i suoi stili, le sue “sfumature”. Conversare con lui era un viaggio nella storia, con la naturalezza con cui altri potevano parlare di affari quotidiani. Lui viaggiava nel tempo, parlava di epoche lontane come altri possono parlare al bar di una partita di calcio. In questo era un uomo che creava attenzione mista a meraviglia, ma a volte, preso dalla sua passione per la storia, non si rendeva conto che il suo eloquio era, per gli altri, fin troppo impegnativo. Il suo rigore di studioso era temperato, però, dalla sua indole di buongustaio, dal piacere di stare a tavola e godere in allegria di buone pietanze, scherzando con gli amici. La sua espressione seria di studioso era mitigata dalla dolcezza del suo sguardo, che esprimeva un animo pulito.
In compagnia, Gennaro temperava la serietà di Raffaele con la sua proverbiale carica d’umorismo, che si esprimeva anche in una fisionomia tipicamente partenopea, fatta di vivacità e furbizia. Era basso e minuto. Per lui era appropriato il proverbio napoletano “curt e’ màl ‘ncavàte” che vuol dire: una persona minuta ma piena di risorse in quella piccola testa. A volte, questo senso dell’humour gli consentiva di mascherare la sua emotività e la sua riluttanza a vedere con chiarezza in se stesso e nella sua vita, proverbiale per il suo disordine, a cominciare dal guardaroba, qualcosa a metà strada fra una bancarella ambulante e il negozio del rigattiere … Eppure, esisteva un altro Gennaro, conosciuto solo dagli amici più stretti e cultori di certi studi di “geografia sacra”; Gennaro era fortemente, straordinariamente sensibile al mondo della natura. No, non si trattava di un ecologista o di un botanico, ma di un animo aperto agli Spiriti della vegetazione ed alla psiche degli animali, capace di comunicare con loro e di immedesimarsi in loro. Lui si apriva a quel mondo con un animo fanciullesco e gaio, come un pastorello che incontra il dio greco Pan e diviene tutt’uno con lui.
La sua anima esultava quando percepiva con chiarezza il segreto linguaggio delle forze e degli Spiriti della natura, le loro fluenze, i loro movimenti. E in questa comunione gioiosa, in questo cancellare la propria personalità ordinaria – quella dell’impiegato arguto, allegro e chiacchierone – Gennaro correva un pericolo. Il suo “entrare” nel mondo di Pan era per lui una cosa così naturale e intensa che, una volta entratovi, era preso da una tale letizia da non volerne più uscire. Il suo “astrale”, con tutte le energie delle sue emozioni, tendeva a staccarsi dal tempo e dallo spazio, perdendo però la presenza cosciente, avvolto da quel senso di unione gioiosa e fanciullesca col mondo degli gnomi e delle fate. Nella vita ordinaria non voleva più tornare, provando un senso di riluttanza e di sofferenza. Rischiava seriamente di “andare fuori di testa”, di avere crisi emotive, non avendo attitudine né allenamento al richiamo della presenza cosciente. Aveva bisogno di amici che, pur sensibili a quegli Spiriti, fossero più inclini e allenati a tenere desta l’attenzione a se stessi e lo aiutassero a “rientrare” nella dimensione cosciente. Raffaele aveva questa qualità e sapeva essere, all’occorrenza, il naturale complemento di Gennaro nel fare le esperienze dell’Altrove, dell’Invisibile. Lui, in realtà, non era soltanto uno studioso, ma un praticante di concentrazione e meditazione, secondo un itinerario interiore imperniato sulla centralità della presenza cosciente.
L’ascesa
“Ci può dire la strada per giungere a quel campanile?” disse Gennaro a Roberto, l’albergatore di cui aveva già intuito la disponibilità in qualche breve chiacchierata.
“Quello è il campanile del santuario di S. Maria Occorrevole,” rispose quello, con il tono soddisfatto di chi può fare un po’ da “cicerone” in un paese solitamente sonnolento. “Lo hanno restaurato da pochi anni grazie all’intervento di un Abate molto colto e attivo. Potete salire per il borgo antico del paese. Prendete la strada alle spalle dell’albergo e continuate diritti. Poi troverete un bivio; lì girate a sinistra e troverete una mulattiera che vi porta in cima. Farete circa un’ora di cammino. In cima, dov’è il santuario, vedrete un panorama bellissimo: si ammirano tutte le montagne del massiccio e dall’altro alto, tutta la vallata, giù fino ad Alife. Nei giorni in cui l’aria è nitida, si può osservare col binocolo perfino il Vesuvio, anche se è molto lontano”.
“La ringrazio – disse Gennaro con un’espressione allegra e comunicativa – abbiamo proprio l’esigenza di respirare l’aria pura, di goderci la frescura in vetta. In città la calura e l’afa sono opprimenti”.
“Buona passeggiata – disse Roberto – … sa…noi da queste parti saliamo in cima la sera del 24 dicembre. Si fa una fiaccolata, si sale per la mulattiera e si raggiunge il santuario. Lì, a mezzanotte, si partecipa alla messa di Natale”.
“Dev’essere un’usanza molto antica – fece Raffaele rivolgendosi a Gennaro – ed è molto simbolico il percorso: la salita…la luce delle fiaccole nel buio…poi nasce il Fanciullo divino…”
“Già – soggiunse Gennaro – ci si deve sentire molto raccolti e uniti nella comunità che rivive i suoi legami, i suoi culti…”
“Sì, è una tradizione molto antica e molto sentita – precisò Roberto – Noi siamo un piccolo comune, ci si conosce tutti quanti….” Il suo tono era colloquiale, ma sul suo volto si dipinse un’aria di sorpresa per l’interesse che i suoi clienti mostravano per quel santuario in montagna. Che tipi quei due – pensò l’albergatore – arrivano qua senza auto e vanno a piedi in montagna … devono essere amanti delle escursioni e della natura…
“Ma voi siete amanti delle escursioni ?” chiese Roberto ai due amici.–
“Certo – rispose Gennaro – siamo amanti del trekking e della bellezza dei paesaggi. Abbiamo lasciato la macchina in città perché dopo un anno di lavoro non ne potevamo più di guidare…”
Raffaele tacque. Lanciò un’occhiata a Gennaro che ricambiò con uno sguardo furbo. Non era vero che avevano guidato per tutto l’anno; in realtà, non guidavano mai. Pur essendo due caratteri molto diversi, avevano in comune, fra l’altro, anche il rifiuto della guida dell’automobile, il disagio nel caos e nel traffico cittadino… In modi diversi erano inclini agli ambienti silenziosi e molto vivi, carichi d’ energie naturali. Forse avrebbero dovuto vivere in un’altra epoca. Eppure, nel loro lavoro erano molto presenti e attivi, ma, in fondo, una loro parte era “fuori”, in un “altrove”… Nel fondo della loro anima, si sentivano lontani dalla frenesia e dal frastuono metropolitano.
Salutarono Roberto e s’incamminarono.
“Perché gli hai detto quella fesseria ? ” chiese Raffaele.
“Perché altrimenti ci prende per scei., Occorre stare attenti a non attirare su di noi curiosità negative, di chi ti vede come un soggetto ‘strano’…E’ bene farsi accettare, proporre le nostre esperienze come qualcosa di normale ”.
“Ho capito. Le attenzioni ostili attirano energie ostili…se si entra in un ambiente occorre amalgamarsi… integrarsi”
“Bravo… vedo che hai intuito…” rispose l’altro.
“Essere noi stessi senza apparire ‘strani’…” aggiunse Raffaele.
“Essere noi stessi…devi sempre parlare come un filosofo… Piuttosto hai visto come sono notevoli qui le donne?…”
“Certo…ho notato…è l’aria buona…le fa crescere bene…”
Intanto erano giunti a un bivio. In quel momento fecero un incontro inatteso.
“…Signor Raffaele…” . Si udì una voce femminile. Raffaele si voltò e con sorpresa e disagio vide una vicina di casa, in città, che di tanto in tanto cercava d’avvicinarlo…e fare amicizia; il problema era che era brutta, veramente non favorita dalla natura…e Raffaele non ne era attratto. Tuttavia era una persona gentile e socievole che si rendeva simpatica per il suo carattere
“Dove andate? Come mai siete qui?”
-“Andiamo al santuario – rispose lui – ci hanno detto che è un posto molto bello. Come mai, Rosaria, ti trovi qui? ”
“ Io sono originaria di questo paese, qui abitano i miei genitori. A Napoli ci sto per studiare. Potete prendere anche la strada alla vostra destra. E’ più lunga, però più comoda, anche se impiegherete più tempo… Ma.. voi forse non avete gradito di avermi incontrata …”
“No, anzi, è un piacere – disse Raffaele cercando di dissimulare il suo disappunto – “Ti ringrazio dell’indicazione…Buona giornata…”
“Siete stata gentile, grazie per l’informazione – aggiunse Gennaro – … stavamo per prendere la mulattiera…”
“Ci vediamo a Napoli… professore …”rispose Rosaria nel salutare .
Il “professore” – come lo chiamavano fra gli amici – non sapeva nascondere le proprie emozioni… aveva una autenticità che talvolta gli creava problemi ma in questa schiettezza stava anche la sua pulizia morale.
Salutarono la ragazza, quell’apparizione improvvisa che aveva, per il momento e il luogo in cui era comparsa, tutta l’aria d’essere un “segno”; la lessero come una traccia indicata dall’ “anima del luogo” e decisero di scegliere la strada lunga, alla loro destra…
“Di solito – pensò Raffaele – nei miti e nelle leggende al viaggiatore solitario sono indicati passaggi impervi, prove difficili. Invece ora sto ricevendo l’indicazione di un percorso più comodo, almeno in apparenza… e se questa via racchiudesse una traccia, un senso che sfugge ad uno sguardo superficiale?”.
S’incamminarono per la strada statale che, con i suoi tornanti e le sue curve, saliva dolcemente verso la vetta, in una giornata tersa e luminosa… Di tanto in tanto un cane abbaiava dietro il cancello di una villa; i giardini privati s’alternavano alla vegetazione selvaggia. Le margherite avevano un coloro giallo intenso, quasi dorato, traccia della forza solare che s’irradiava sul fianco della montagna, da mezzogiorno al tramonto, mentre l’apparire frequente di farfalle bianche e di fiori bianchi selvatici richiamava il colore e l’energia della luna. D’un tratto Gennaro si fermò davanti ad una roccia. La osservò a lungo, con uno sguardo intenso, mentre sul suo volto si delineava un sorriso fanciullesco.
“Ecco vedi – disse rivolgendosi a Raffaele – qui c’è una lotta fra la pietra e la terra… la terra sta togliendo spazio alla pietra. Vedi tutto questo terriccio che avanza? La terra sta sommergendo la pietra, la sua energia è piu’ forte, più attiva”.
“Per forza – replicò Raffaele – la pietra sta ferma. Che scoperta!”
“Lo credi tu, perché sei abituato a vedere le cose in modo statico… come se fossero immobili, ma la natura è vivente, è animata. Hai mai sentito parlare di pietre che si muovono? Esistono anche le pietre che cantano!”
“A pensarci bene esiste una letteratura in materia, qualche volta l’ho consultata”.
“Non pensare ai libri, piuttosto osserva le forze che sono in movimento, le forze reali… la terra qui sta conducendo una lotta ed è vittoriosa. Il segno di questa vittoria è quel fiore dal colore rosato che sta in alto su quella pietra; è la forza fecondatrice della terra che esplode gioiosamente in quel fiore … vedi…osserva le cose nella loro connessione…
“Che strano – disse Raffaele a bassa voce, quasi parlando a se stesso –avevo visto quel fiore ma non avevo colto il legame con la scena sottostante, della terra che prevale sulla pietra. E’ tutta una questione del modo in cui si osservano le cose… se le vedi nelle loro singolarità, staccate l’una dall’altra, la natura appare un coacervo di fenomeni isolati… in realtà è tutto connesso.. la terra.. le pietre.. i fiori…”.
“E l’acqua? Non vedi l’acqua? – soggiunse Gennaro – Non vedi i segni che ha lasciato su queste rocce?”.
Raffaele si fermò a osservare i segni di una forza fluente lasciati su un masso roccioso, una fluenza che aveva dato a quella pietra, in una scia, un colore grigio bluastro..
Qui l’acqua è potente – pensò. “Immaginiamo d’inverno qui cosa accade – osservò parlando all’amico – l’acqua erode la pietra, la plasma, la modifica”.
“Eppure queste pietre sono forti” osservò Gennaro.
Volgendo lo sguardo su tutto il fianco del monte, quei massi davano l’impressione di muoversi e di respirare, come una lenta valanga di pietra massiccia, una forza incombente e minacciosa …
Occorre darsi calma e tempo per scrutare la natura, sentire le sue forze, i legami fra le forme – pensò Raffaele…
La salita durò ore ma i due amici non ne risentirono. Avevano una buona agilità e uno spirito giovanile e battagliero che si rifletteva nella loro salute fisica. A poca distanza dal campanile – alcune centinaia di metri – Gennaro avvertì uno strano odore di sporcizia.
“Mi sembri un cane” osservò ridendo Raffaele quando, poco dopo, notò le lattine di birra e i bicchieri di plastica che alcuni barbari avevano lasciato sul ciglio della strada…
Il santuario
Giunsero al campanile che dominava la valle che si aprì al loro sguardo in tutta la sua ampiezza. Lontano, le mura romane della città di Alife davano la sensazione che il tempo si fosse fermato. Dietro di loro, lo scenario dei boschi e dei monti del Matese era maestoso nella sua dolcezza. Il santuario e il convento, non visibili dalla valle, si ergevano al centro della spianata con i segni di un recente restauro che Raffaele non mancò di notare, attento com’era al profilo storico dei luoghi… Si fermarono a contemplare quel paesaggio; il sole splendeva sulle loro teste e inondava di luce tutta la valle; dietro, sullo sfondo del santuario e del vicino convento, i monti sembravano riposare in un’atmosfera sognante. Nel bar adiacente al santuario, gli anziani della zona parlavano e scherzavano fra loro. I due amici decisero di chiedere informazioni, perché sapevano dell’Eremo della Solitudine e del Sentiero del Silenzio, ma non esattamente a quale distanza fosse dal Santuario. Credevano che fossero due luoghi distinti e lontani fra loro.
“Sapete dirci come si arriva all’Eremo? Sappiamo che bisogna percorrere il Sentiero del sSlenzio, così è chiamato sulle guide. E’ lontano?”.
“L’Eremo è vicino al Santuario – rispose un anziano – ma non potrete vederlo perché non si può entrare. Troverete chiuso il cancello che dà accesso al Sentiero del Silenzio. Prima, tempo fa, era aperto ma poi lo hanno chiuso perché, essendo un luogo isolato, vi si trovava di tutto… voi capite…”
“Peccato, ci tenevamo a vederlo … sappiamo che vi sono le stazioni della Via Crucis… tante cappelle … sono 13…”.
-“Sì, è un sentiero molto bello … – rispose l’anziano – ma potrete vederlo solo da fuori, dal cancello, che è sempre chiuso … Però potete vedere il santuario… ora stanno celebrando la Messa …”.
Ringraziarono per le notizie e percorsero il viale che dal campanile conduceva al Santuario. Un ampio pianoro dalle linee dolci si stendeva di fronte a loro …. Sullo sfondo, dietro al santuario, una fitta boscaglia dai colori più intensi suscitava l’impressione di un mutamento, come se, pur vicini, i due luoghi – il Santuario e l’Eremo – avessero aure diverse, esprimendo, nei colori e nelle forme, anime distinte. Entrarono nella chiesa attraverso un cortile. Dietro l’altare, un dipinto di stile bizantino : figure ieratiche, statiche che rinviavano all’atmosfera di altre epoche in cui l’immobilità del divino era sovrapposta al movimento terreno. La chiesa era affollata e i due amici non avevano interesse a seguire la celebrazione della messa. La loro religiosità era di un tipo diverso, non legata alle formalità rituali. Uscirono nel cortile e osservarono le lapidi che ornavano le mura. Furono colpiti, in particolare, da una iscrizione dedicatoria
AL DUCE D’ITALIA
FONDATORE DELL’IMPERO
BENITO MUSSOLINI
CHE CON LEGGI PROVVIDE
ALLA BONIFICA INTEGRALE
HA DATO ACQUA
A QUESTI MONTI ARIDI, AGLI ARMENTI
AI LAVORATORI DEL CAMPO, AI PELLEGRINI
AI FIGLI DI S. FRANCESCO
LA PROVINCIA MONASTICA
- GIOVANNI GIUSEPPE DELLA CROCE
DI NAPOLI
AD OPERA COMPIUTA POSE
12 OTTOBRE 1937 – XV
Nonostante tutte le rimozioni ufficiali, quella lapide testimoniava la persistenza di una memoria storica.
“Le memorie – osservò Raffaele rivolgendosi all’amico – sono forme-pensiero che hanno una loro energia che impregna i luoghi. Quando nel mondo antico si condannava un personaggio alla damnatio memoriae e si cancellavano tutte le iscrizioni a lui dedicate si compiva un’ operazione ‘sottile’, si depotenziava la forma-pensiero di una memoria”
“La memoria delle bonifiche fasciste è ancora forte – soggiunse Gennaro – e questo luogo ne è impregnato”.
Andarono oltre, imboccarono un lungo e silente viale alberato; all’inizio, sulla destra, notarono una porta chiusa sulla quale era scritto “Clausura”.
L’aria era dolce e leggera. Le varie sfumature di verde intrecciate con l’azzurro terso del cielo e il bianco grigiastro delle nuvole conferivano al luogo la fisionomia di un piccolo paradiso. Pure, quel paradiso era stato, nei secoli, un luogo di travagli interiori.
Chissà quante lotte interiori e quanti sforzi vi sono stati dietro quelle mura della clausura … pensò Raffaele – c’era il fervore della fede e della preghiera ma anche le debolezze, i dubbi, le sofferenze …
Giunsero al cancello da cui si accedeva al Sentiero del Silenzio e, con loro sorpresa, lo trovarono aperto. Il catenaccio era appeso al cancello e nessuno si scorgeva nelle vicinanze. Sull’arco che incorniciava il cancello, lessero un’iscrizione :
O BEATA SOLITUDO O SOLA BEATITUDO
TACITURNI ROMITI O PASSEGGERO
VIVON LIETI IN QUEST’EREMO BEATO
CHE NON SENZA PROFETICO MISTERO
NE’ TEMPI ANDATI IL MUTO ERA APPELLATO
QUI SI CONVERSA IN CIEL QUI IN SPIRTO VERO
DA MUTI E MORTI AL MONDO E’ IDDIO LODATO
QUI PARLA IL VERBO AL CUORE: ENTRI CHI TACE
PERCHE’ IL SOLO SILENTIO E’ QUI LOQUACE
Era un invito al pellegrino a percorrere quel Sentiero in Silenzio, per raccogliersi e avvertire la solitudine come stato di beatitudine dell’anima.
“Alterniamoci per visitare questo sentiero – disse Gennaro – c’è il rischio che chiudano il cancello alle nostre spalle ..è già una fortuna averlo trovato aperto”.
“Hai ragione… non conosciamo la lunghezza del sentiero e quanto tempo occorre per percorrerlo tutto … Comincia tu …”.
Il Sentiero del Silenzio
Prima di iniziare la visita, Raffaele scattò alcune foto all’amico, col cancello sullo sfondo e l’iscrizione sulla solitudine e sul silenzio. L’immagine che inquadrò nell’obiettivo era molto chiara. Doveva essere il ricordo di un’escursione fatta ed aveva anche un interesse storico, per l’antichità del luogo. Non controllò la foto sulla digitale; la chiarezza dell’immagine che aveva inquadrato non gli suscitava alcun dubbio su ciò che aveva fotografato. Gennaro imboccò il Sentiero del Silenzio… avvertiva la particolare vibrazione dell’energia del posto ed un senso di sottile emozione percorreva il suo corpo… già si vedevano le cappelle della Via Crucis. Intanto, Raffaele osservava con maggiore attenzione quel luogo, l’arco intorno a quel cancello. D’un tratto, si accorse che sul muro laterale, alla sinistra del cancello, era incastonata un’antica epigrafe in italiano antico. La lesse con calma:
- O. M.
DI ORDINE DEL N.B. P. INNOC…..
SOTTO LI 9 AGOSTO 1679 NIUNA
PERSONA DI QUALSIASI STATO CON-
DITIONE O SESSO PUOL ENTRARE
NEL RECINTO DI QUESTA SOLITUDO
DI S. MARIA DEGLI ANGIOLI, SENZA
ESPRESSA LICENZA DEL P. GUARDIANO
DI S. MARIA OCCORREVOLE SOTTO
PENA DI SCOMUNICA LATE SENTERE
IPSO FACTO SENZ’ALTRA DECHIARA
TIONE INCORRENDA [ ….]
Perdio! pensò Raffaele. Questo era considerato un luogo santo inaccessibile ai profani, di qualunque ceto sociale, nobili compresi,senza distinzione fra uomini e donne… di fronte alla clausura erano tutti uguali.. un luogo in cui potevano entrare solo persone autorizzate dai monaci… quindi persone selezionate… a quel tempo la scomunica aveva un effetto diretto sulla vita civile.. .voleva dire essere esclusi dalla socialità… una vera e propria morte civile… La Chiesa a quel tempo esercitava direttamente un potere temporale che dominava la vita quotidiana … Scattò alcune foto molto ravvicinate per conservare il testo di quella iscrizione. Fotografò anche il cancello, l’arcata, l’iscrizione al di sopra del cancello. Amava fare le foto ed aveva anche il “colpo d’occhio”; sapeva trovare le angolazioni giuste, cogliere di un luogo diversi aspetti, magari particolari in apparenza piccoli ma significativi. Nei suoi viaggi, di foto ne aveva fatte tante e aveva accumulato una bella collezione che amava conservare con cura. Sedette su un bancone in pietra, laterale al viale, godendo del silenzio e della freschezza del luogo. Regnava una grande pace, una pace viva, animata. La sua mente era tersa e raccolta. Sapeva che Gennaro sarebbe rimasto emozionato dal luogo e dal sentiero ma non era preoccupato. Lui, il “professore”, sapeva affrontare eventuali situazioni “particolari”. Nel mentre Raffaele pensava così, Gennaro tornò visibilmente turbato. L’espressione del suo viso era scossa, le mani coi pollici premevano sulla radice del suo naso. Raffaele, conoscendo bene il suo amico, intuì che era accaduto qualcosa.“Che c’é?” gli chiese.
“Questo è un luogo fortissimo…un luogo carico di energie, e poi…”.
“E poi?” incalzò il professore.
“Raffaele, ho visto un frate col cappuccio che mi ha salutato dicendomi “Questo è un luogo di pace”. Mi ha sorriso, ma era un sorriso strano, misterioso… Io ho sentito che dovevo fermarmi e tornare indietro, non so perché… ma quando ho voltato le spalle al frate dopo averlo salutato, fatti pochi passi, mi sono voltato indietro e…”
“E allora?”
“E allora non c’era più, era scomparso! Il frate non c’era più! Ma io l’ho visto! Ti giuro che l’ho visto! E poi è sparito!”
“Ma forse c’era una porta per il convento… hai visto bene?”
“No, non c’era alcuna porta, alcun accesso, la parete è rocciosa. Ma non dovevi vedere anche tu questo luogo? ”.
Il professore non se lo fece ripetere. Imboccò il cancello con decisione e con calma. Aveva la freddezza e la tempra per affrontare situazioni “particolari”. L’esercizio costante nelle pratiche di concentrazione e meditazione gli dava una centratura ed un equilibrio che, innestate su un’indole naturalmente tranquilla e su una mente più incline alla logica, gli permettevano di governare eventuali fenomeni “straordinari”. Del resto, la vita lo aveva temprato. Aveva avuto le sue sconfitte, le sue avversità ma era sempre riuscito a mantenere ben saldo il suo equilibrio. Era sempre rimasto in piedi, non era mai crollato. Anni addietro, aveva dovuto lasciare la sua casa, in una vicenda di separazione che si era conclusa con l’assegnazione della sua casa all’ex-moglie, perché c’era una figlia da tutelare, una bambina, a quel tempo. Aveva dovuto trasferire tutte le sue cose, smantellare un’intera biblioteca – la sua biblioteca famosa fra gli amici e i conoscenti. Una vita azzerata, ridotta ad un cumulo di macerie, morali e materiali. Un senso di vuoto e di sradicamento che aveva dovuto superare facendosi forza. E aveva iniziato una vita nuova, ricostruendo un suo equilibrio, più’ forte di prima. Per lui, l’eventuale frate in apparizione era l’ultima delle sue preoccupazioni. Se il “fantasma” fosse apparso, lo avrebbe salutato, come si saluta una qualunque altra persona. No, non lo temeva. Sapeva che, a volte, questi fenomeni possono essere nostre proiezioni, ossia materializzazioni di nostre energie, di nostri stati d’animo. Pur essendo fenomeni reali e straordinari che possono verificarsi, sapeva riconoscerne la radice. Però… c’era sempre un però… ogni esperienza è pur sempre nuova e può nascondere sorprese, può risultare imprevedibile… in fondo, un pizzico di allarme in lui era sorto, ma controllato. Raffaele divenne molto guardingo. Si concentrò per percepire l’aura del sentiero, tenne desti i suoi sensi affinati, le sue mani e la sua pelle cercavano di captare le vibrazioni del luogo. Camminò lungo il sentiero, osservò le cappelle delle stazioni della Via Crucis, scrutò le rocce e la vegetazione che fiancheggiavano il sentiero alla sua destra, mentre alla sua sinistra, lungo la balaustra che delimitava il viale, si apriva la visione maestosa dei monti del massiccio del Matese. Raccolto e attento, ascoltava col cuore il Silenzio del luogo, un Silenzio austero e forte, che incuteva rispetto e venerazione. Un flusso vibratorio fine e leggero sfiorò la sua pelle, fluì tra le sue mani. Eppure non c’era vento, l’aria era immota… ma l’animazione del luogo era intensa e sottile… si avvertiva che era un centro di preghiera e raccoglimento, un luogo di vite speciali, di menti raccolte… Giunse in prossimità dell’Eremo della Solitudine, un piccolo edificio con finestre basse che guardavano verso l’ampio paesaggio dei monti boscosi: una condizione ideale per la contemplazione mistica della natura… In fondo al sentiero, una piccola cappella dedicata a S. Giovanni della Croce, con una iscrizione in latino che ricordava una esperienza di visione mistica della Vergine che il santo aveva vissuto in quel luogo…
Di questo santo parla anche Scaligero – pensò Raffaele – e Gennaro, colpito da quell’incontro col frate, non si è accorto di questa iscrizione e di ciò che vuol dire.…
Sul fianco della parete rocciosa, ricolma di vegetazione, scorse in alto, una piccola grotta, profonda, come un’apertura della terra che si perdeva nelle sue viscere. Al centro della grotta, troneggiava una statua della Madonna e, al suo fianco, quella di una pastorella in preghiera.
Questo luogo – pensò il professore – nell’antichità doveva essere un luogo di culto della Madre Terra, la Grande Madre. Il linguaggio della natura è chiaro: la terra si apre e nelle sue viscere accoglie le forze della natura … forze cosmiche … del sole, della luna, delle stelle. Le custodisce e le sviluppa amorevolmente come fa una madre col suo bambino in grembo.
No, per il professore non era casuale che il Santuario fosse stato dedicato a Santa Maria Occorrevole, cioè la Madre che viene in soccorso. Era la vernice cristiana della Madre Terra, la madre feconda che offre il nutrimento agli uomini coi suoi frutti. Del resto, si era in una cultura agro-pastorale e non poteva essere altro. Poco più innanzi sulla parete rocciosa, notò. tornando verso l’uscita, un’altra piccola cavità che ricordava inconfondibilmente i lineamenti dell’organo femminile; per lui era un altro messaggio dell’anima del luogo, quello che i Romani antichi chiamavano il Genius Loci. Riprese a percepire l’energia del posto, sempre fine, rarefatta e fluente, pur nell’aria immota di quella calda giornata estiva. A volte, in altri siti, gli era accaduto di percepire l’energia di un ambiente come una densità plumbea, qualcosa di greve. Si avvertiva, insomma, che quello era stato ed era un luogo d’esercizi spirituali di tipo mistico. La contemplazione delle immagini della Via Crucis doveva risuonare nell’interiorità dei monaci che, forse, visualizzavano quelle scene come animate, viventi, intensificando il loro fervore … una vibrazione che lasciava la sua impronta nell’aura del luogo…
Ecco perché Gennaro ha visto quel monaco – pensò Raffaele – qui vi sono energie forti perché nei secoli è stato un luogo di esercizi spirituali.. .di visioni mistiche..
Erano questi i suoi pensieri nel mentre tornava. In prossimità dell’uscita, incontrò alcuni turisti che erano appena entrati. Giunse al cancello.
“Hai avvertito l’energia del luogo?” gli chiese Gennaro.
“Sì, ho avvertito, l’aura è vibrante, ma non ho visto nulla, non ho incontrato nessun frate. Ho notato altre cose, visibili, come l’iscrizione di San Giovanni della Croce, le grotte, le forme… Comunque è chiaro che questo è un luogo religioso sin da tempi molto antichi. Probabilmente era l’acropoli di una città antica, forse di Alife o di altri villaggi antichi che sorgevano da queste parti… un’acropoli dedicata al culto della Grande Madre… qui forse si celebravano i Misteri… la contemplazione dei fiori… delle rocce… dei metalli… e infine delle stelle… lo Zodiaco… il luogo è elevato, quindi è adatto anche per questo, di notte… ma a proposito di quel frate, sei proprio sicuro d’averlo visto?”.
“E’ incredibile – rispose Gennaro – io quel frate l’ho visto…mi ha parlato, mi ha detto che questo è un luogo di pace, di pace dell’anima….e poi quando mi sono voltato era scomparso… capisci? Scomparso!”.
“Forse voleva dire che la tua presenza rumorosa, il tuo chiacchiericcio mentale non era gradito – scherzò Raffaele per sdrammatizzare – insomma voleva dirti di andartene per non deturpare il luogo…ahahahah!”
“Tu ridi, ma io quel frate l’ho visto, mica ho le allucinazioni!” rispose Gennaro.
L’ incontro col frate e la meditazione
Frattanto, percorrendo il viale che dal cancello del Silenzio conduceva al Santuario, incontrarono un frate francescano molto giovane…
“Deve trattarsi di un novizio” disse il professore a bassa voce, quasi per non farsi udire dal frate …
“Vi sono altre persone oltre il cancello?” chiese il frate ai due amici mentre veniva loro incontro dirigendosi verso il cancello del Silenzio…
Si, sono entrati alcuni turisti” rispose Raffaele.
“Grazie” rispose il novizio e poi, avvicinandosi al cancello, con voce alta e imperiosa ordinò : “Si chiude ! Si chiude ! ”.
Improvvisamente Gennaro barcollò: un’espressione di commozione comparve sul suo viso… e le lacrime iniziarono a solcare il suo volto…
“E’ incredibile! È troppo..è straordinario…”disse scoppiando in lacrime… L’amico professore capì che qualcosa stava accadendo: una forte emozione aveva “preso” Gennaro.
“ Calmo… stai calmo… cerca di tornare in te !”
“ Ma quello, Raffaele, è il frate che io ho visto poco fa sul Sentiero del Silenzio! E’ lui! E’ il suo volto! la sua voce! C’è solo una differenza: aveva il cappuccio calato sulla testa! ”.
“E’ possibile che abbia fatto tutto questo percorso in così poco tempo per un altro sentiero?” si chiese a voce alta Raffaele, che cercava sempre di assicurarsi che non vi fossero spiegazioni più profane… “No, non ce l’avrebbe fatta – continuò – in così poco tempo; sarebbe stato sicuramente un percorso più lungo. Avrebbe dovuto girare tutt’intorno al santuario. E poi, se lui è il frate guardiano, che senso avrebbe avuto? Dall’Eremo della Solitudine, dove pressappoco l’hai visto, bastava incamminarsi per il Sentiero del Silenzio e raggiungere il cancello per chiuderlo. Ha lui le chiavi, è lui il guardiano del luogo”. Dopo una pausa continuò.“Ora inizio a capire – proseguì pensoso Raffaele rivolgendosi all’amico – lo spirito del luogo si è manifestato a te in ‘eterico’, sul piano energetico, assumendo una forma visibile: quella del frate guardiano… Il Genius Loci come lo chiamavano i Romani è stato caricato energeticamente dalle pratiche secolari dei frati di clausura… incredibile…”. Giunsero al bar nelle adiacenze del santuario..sedettero a bere dell’acqua.. la calura estiva si avvertiva nonostante fossero in montagna… Gennaro era ancora visibilmente scosso e confuso…. Allora Raffaele ricorse alla sua “arma spirituale”; dal suo borsello estrasse un libretto dell’esoterista Massimo Scaligero. Lesse a Gennaro un breve brano sull’Amore cosmico che evocava uno stato di pace e di calma interiore… il linguaggio di quel brano non era semplice, com’era tipico dei libri di Scaligero, ma Gennaro – che aveva molto amor proprio pur cercando di dissimularlo – fece uno sforzo di attenzione per capire il messaggio esoterico di quelle frasi e non fare la figura del rimbambito – cosa che, in cuor suo, temeva molto. Nel fare ciò, iniziò a rientrare in sé… poi le parole, i suoni cadenzati della lettura lenta di Raffaele fecero il resto, ebbero un effetto calmante. Il professore continuò a leggere:
“Lo sperimentatore deve muovere dal silenzio mentale. In stato di silenzio egli si esercita a contemplare un particolare del regno vegetale – un ramo fiorito, un prato, una siepe in controluce, un albero in lontananza, viluppi vegetali sfumanti nella luce solare – o l’azzurro del cielo o del mare, o l’acqua fluente di un ruscello, o immobile di un lago. Egli deve allenarsi a percepire l’oggetto senza pensare: tuttavia avendo di esso la stessa lucida coscienza che ha dell’oggetto della concentrazione… Deve guardare in modo che agisca solo il vedere, allato all’assoluto silenzio mentale. Non altro.”
Gennaro comprese il senso di quelle parole, le condivise e le fece sue; nel compiere questo atto di attenzione riprese il suo stato cosciente, anche se era visibilmente stanco. L’amico professore aveva ottenuto il suo scopo: calmare l’emotività di Gennaro e farlo tornare ad uno stato cosciente, adoperando un testo esoterico nella sua reale valenza terapeutica.
“E’ accaduta un’altra cosa insolita – soggiunse Gennaro – Quel frate ha parlato a voce alta nel luogo del Silenzio…”.
“Già – rispose Raffaele – e il ‘caso’ ha voluto che il cancello fosse aperto proprio quando siamo arrivati noi… Gli anziani del paese ci avevano preannunciato il contrario. Abbiamo avuto giusto il tempo di visitare L’Eremo e il Sentiero e poi, appena usciti, è arrivato quel frate guardiano. Questi si chiamano segni… segni propizi… il luogo, con la sua anima, si è aperto a noi e si è chiuso subito dopo… quei turisti non avranno fatto neppure in tempo a raggiungere l’Eremo…”
Il fantasma nella fotografia
I due amici ripresero il cammino lungo la stessa strada percorsa in salita. Erano stanchi e non gradivano le probabili difficoltà di una mulattiera… Nel pomeriggio assolato le cicale frinivano incessantemente; il loro suono aveva un potere d’incantamento e la mente si perdeva in uno stato sognante. Tutto sembrava assopirsi nella luce e nel silenzio e l’anima si sentiva immersa nello splendore pomeridiano. Le farfalle bianche volteggiavano nell’aria, intrecciando il loro biancore a quello dei fiori selvatici.. qua e là qualche cane da guardia abbaiava dietro i cancelli sospendendo, per un momento, quel silenzio sognante d’un pomeriggio assolato. Camminavano muti, assorti nel ricordo dell’esperienza vissuta. Giunsero infine nella piazza del paese, ai piedi del massiccio montuoso. Il silenzio che permeava l’aria era diverso da quello dell’Eremo… lì era un silenzio vivo, etereo, arioso, che parlava di una pace viva e raccolta. Qui nel paese era un silenzio plumbeo che narrava di un’atmosfera di torpore… solo il chiacchiericcio di alcuni paesani, seduti presso la gelateria della piazza, sprigionava un senso di vivacità. Tornarono in albergo – si accorsero che erano trascorse circa 6 ore – contenti d’ aver vissuto un’esperienza particolare, a cominciare dall’inconsueta atmosfera di quel luogo d’eremitaggio. Nella sua camera, Raffaele si soffermò a vedere le foto scattate con la sua digitale. Rivide i paesaggi, i monti, le rocce, il campanile, il cancello…poi osservò con stupore una foto scattata a Gennaro nei pressi del cancello della clausura… un brivido gli percorse la schiena… trasalì… quando aveva scattato quella foto, prima che Gennaro imboccasse il Sentiero del Silenzio, per lui c’era solo Gennaro e il cancello sullo sfondo.
E’ incredibile! pensò Raffaele. Nella foto, dietro Gennaro, c’era un’ombra che aveva la forma distinta di un frate incappucciato. I contorni della figura erano netti… no… non era un’illusione ottica… era proprio un frate!
Lo Spirito di quell’Eremo aveva lasciato l’ impronta della sua energia sulla foto… la forma di un frate incappucciato come il frate visto da Gennaro nel Sentiero del Silenzio, quel frate dall’espressione enigmatica che gli aveva rivolto parole soavi di pace… A volte l’Invisibile si manifesta attraverso le forme e gli strumenti tecnici piu’ impensati… Raffaele, emozionato, chiamò Gennaro… gli mostrò la foto. L’amico la osservò; un’espressione assorta si delineò sul suo volto. Si scambiarono uno sguardo d’intesa; ormai le parole non servivano più: era tutto chiaro. Lo Spirito dell’Eremo, il fantasma di quel frate incappucciato, aveva voluto lasciare una traccia visibile della sua presenza, quasi a voler fugare il dubbio che, per un momento, aveva attraversato la mente più razionale di Raffaele. Assumendo le sembianze di un frate giovane, poi visto realmente, aveva cancellato la distanza fra passato e presente, come se quel frate fosse vissuto in quell’Eremo in una vita precedente e si fosse poi reincarnato nel novizio francescano, guardiano del cancello. Forse era sempre stato il custode del luogo…
“Com’è andata l’escursione ?” chiese l’albergatore quando li incontrò a sera.
“Bene… E’ stata una bella passeggiata, è un bel posto arioso, panoramico” commentò Raffaele con un’aria indifferente. Gli sguardi dei due amici s’incrociarono… un sorriso enigmatico affiorò sui loro volti…
“Mica gli posso dire che hai visto un fantasma… o fargli vedere quella foto strana, qui in paese sono superstiziosi …” disse poi Raffaele all’amico, quasi a giustificarsi di quella risposta di circostanza che aveva dato all’albergatore. Tornati in città, Gennaro non volle più vedere quella foto, perché suscitava in lui un’emozione intensa… temeva di restarne turbato. Tuttavia, anche senza rivederla, in quelle notti d’estate non prendeva sonno… l’immagine di quel fantasma si era impressa nella sua anima e lo ossessionava… allora decise di rituffarsi nella vita quotidiana e nel ritmo del suo lavoro per dimenticare l’esperienza vissuta… ma ancora oggi, quando incontra Raffaele, gli confida il suo stupore per quell’incontro “particolare”…
(“QUANDO SCATTAI QUESTE FOTO, IO VEDEVO SOLO LA PERSONA FOTOGRAFATA ED IL CANCELLO RETROSTANTE E APERTO SUL SENTIERO DEL SILENZIO. VOGLIO DIRE CHE – LO RICORDO DISTINTAMENTE – QUELL’OMBRA SUL CANCELLO NON C’ERA, NON SI VEDEVA AFFATTO…L’OMBRA E’ VENUTA SULLA FOTO E ME NE SONO ACCORTO SOLO QUANDO HO CONTROLLATOO LE FOTO, COME NARRO NEL MIO RACCONTO”).
Post scriptum
Ascolta: è tutto vero. Ciò che ho narrato potrebbe apparirti il frutto di una fervida fantasia, ma la realtà, a volte, è più sorprendente dell’immaginazione. I luoghi, i percorsi, i paesaggi, le atmosfere vengono dalla vita reale. E reali sono soprattutto i fenomeni, le cose viste e udite, le Entità concretamente percepite. Il confine fra il visibile e l’invisibile è molto più sfumato di quanto tu possa pensare. Noi, di solito, non ce ne accorgiamo perché non prestiamo attenzione ai “segni” e ai presagi che l’Invisibile ci invia; crediamo che lo Spirito ci si presenti in modo eccezionale e ci sfuggono le manifestazioni che possono intrecciarsi alla nostra vita quotidiana. Il segreto sta nell’attenzione e nella calma dell’anima per saper osservare le cose: un sentiero, un’atmosfera, l’aura di un luogo, il magnetismo della terra, la qualità dell’aria, le forme del linguaggio della natura che ci parla mentre noi, spesso, le passiamo davanti con la mente intorpidita, persi nei nostri pensieri, nel chiacchiericcio della nostra mente, nelle agitazioni che offuscano e impregnano il nostro mondo emotivo, quello che gli esoteristi chiamano “l’astrale”.
T’invito a rileggere con calma e a fare silenzio nella tua mente. Il Silenzio è la porta dell’Invisibile.
Stefano Arcella
(tratto dal n. 12 della rivista Elixir, con la fraterna collaborazione delle Edizioni Rebis di Viareggio)
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