Solstizio d’Inverno
E’ iniziato il periodo dei festeggiamenti per il Natale, divenuta la festa del consumismo, dei regali, delle tombole, del mangiare fino allo sfinimento. Ed occasionalmente della funzione religiosa di mezzanotte, vissuta in una calca di gente che ripete una ritualità, snaturata della sua vera essenza e, quindi, provata senza emozione, senza il “frastuono interiore di un’acqua di sorgente che sgorga dalla terra”… Molti, ormai, ignorano, che in questi particolari giorni del ciclo annuale, si ripetono i veri miracoli divini, gli eventi cosmici che, nella Tradizione Primordiale, assumevano un alto valore spirituale e simbolico. Il termine Tradizione, infatti, deriva da “tradere”, cioè “trasportare” da genitore a figlio, i valori più profondi di una spiritualità legata all’origine. Da quando il tradere si è interrotto assistiamo alla scomposizione ed atomizzazione dell’Uomo dal Cosmo. Questo, ha permesso di controllare il “gregge”, rendendolo infelice e creandogli delle paure ingiustificate, per giunta privandolo, dell’Amore divino dell’Universo. Delle feste natalizie originarie, sono rimasti i simboli, l’Avvento, la nascita del Bambino, il vischio, l’agrifoglio, l’Albero di Natale, il Presepe, Babbo Natale, il Ceppo natalizio, la Befana, lo stare formalmente assieme, divertendosi e giocando anche d’azzardo… Tutte simbologie e consuetudini riprese dal mondo pagano ed adattate ad un nuovo modo d’intendere la religione, non più in forma naturale, ma estrapolata dal reale, costruita ad hoc, e quindi, ideologica. Ritengo, perciò, importante capire, cosa rappresentasse nel passato, il Solstizio d’inverno. Non dimentichiamo, infatti, che, dal punto di vista astronomico, esso è il giorno più corto dell’anno. Attorno al 21/22 Dicembre, nel nostro emisfero (nell’altro emisfero, è estate), il Sole sorge e tramonta, nella sua posizione più meridionale, e la sua traiettoria apparente, in cielo, è conseguentemente la più corta e la più bassa rispetto all’orizzonte, ed al parallelo locale. Il Sole, quindi, culmina a mezzogiorno alla sua altezza minima (a quell’ora, cioè, è allo Zenith del tropico del Capricorno) e manifesta la sua durata minima di luce (all’incirca, 8 ore e 50/55 minuti). A partire da quel momento, ricominciano ad allungarsi le giornate, poiché il Sole illuminerà, le nostre giornate, per tempi sempre più lunghi, fino al 21 Giugno, data del Solstizio d’Estate e giorno di massima luce del nostro Astro.
Solstizio d’Inverno, etimologicamente, deriva da Solstitium (nel senso di brumale), dal latino “Sol” (il Sole) e “status” (stare). Veniva festeggiato, già nella preistoria: “(…) presso le costruzioni megalitiche di Stonehenge, in Gran Bretagna; di Newgrange, Knowth e Dowth, in Irlanda; o attorno alle incisioni rupestri di Bohuslän,Nämforsen, Tanum o Tanumshede, Dasland e Østfold, in Svezia, e della Val Camonica, in Italia), già in epoca preistorica e proto-storica. Esso, inoltre, ispirò il “frammento 66” dell’opera di Eraclito di Efeso (-560/-480) e fu allegoricamente cantato da Omero (Odissea 133, 137) e da Virgilio (VI° libro dell’Eneide). Quell’evento, fu invariabilmente atteso e magnificato dall’insieme dei Popoli-Nazione europei: i Gallo-Celti lo denominavano “Alban Arthuan” (rinascita del dio Sole); i Germani, “Yulè” (la ruota dell’anno); gli Scandinavi, “Jul” (ruota solare); i Finnici, “July” (tempesta di neve); i Lapponi, “Juvla”; i Russi “Karatciun” (il giorno più corto). Ed esso fu ugualmente individuato o scelto da un certo numero di tradizioni religiose del mondo, per fare nascere o emanare i loro esseri divini o soprannaturali (Oro o Horus, in Egitto; Tammuz a Babilonia; Bacco o Dioniso, nonché Ercole, in Grecia; Adone o Adonis; in Siria; Mithra, in Iran; Freyr – il figlio supremo di Odino – in Scandinavia; Quetzacoatl e l’azteco Huitzilopochtli nel Messico pre-colombiano; Bacab nello Yucatan; Zaratustra in Azerbaigian; Buddha, in Oriente; Krishna, in India; Scing-Shin in Cina; Yéshuà/Jésus o Gesù Bambino, in Palestina; ecc.)”.
Significato cosmico del Solstizio d’Inverno
Nella Roma imperiale, la festa solstiziale, era inserita nell’ambito dei Saturnalia, celebrati dal 17 al 23 Dicembre, dove regnavano, per una settimana, giochi d’azzardo, danze sfrenate, cibo esagerato, mentre i ruoli sociali s’invertivano: gli schiavi potevano burlarsi del padrone e farsi perfino servire a tavola. Si scambiavano doni, specialmente candele di cera e pupattole di terracotta, dette sigillaria. Veniva eletto per burla, e deriso, il principe della festa: Saturnalicius princeps. Queste celebrazioni, poi dopo il IV secolo, vennero trasferite al Capodanno e, poi, al Carnevale. L’allegro caos di quel periodo dell’anno, rappresentò il ricordo di un tempo mitico, quello dell’età dell’oro, durante il quale avrebbe regnato Saturno, il re italico per eccellenza, che venne poi identificato dai Greci come il dio Kronos, il dio dell’origine. Durante i Saturnalia, la statua di Saturno, che durante il resto dell’anno era legata con una fascia di lana, nel suo tempio, appena sotto il Campidoglio, veniva sciolta a simboleggiare il ritorno, sia pure breve, dell’età dell’oro: del tempo, cioè, degli Dèi che avrebbero creato la terra. Quelle ritualità, all’origine, avvenivano nell’ultimo mese romano (da novembre a dicembre), il cui calendario era di dieci mesi, mentre i due mesi successivi venivano considerati come “passaggio nelle acque”, “creazione-rinnovamento” del Cosmo, che riproduceva quello mitico. Con la riforma di Numa, furono aggiunti Gennaio e Febbraio. Pertanto, quel periodo di rinnovamento fu situato prima del Solstizio invernale, quando il sole “muore” e “rinasce”. Per quel motivo Saturno veniva slegato, proprio per rifondare il Cosmo. Possiamo comprendere come i Saturnalia, rappresentarono il ripetersi del mitico Khaos Cosmico, che dette origine all’Universo, al principio di tutte le cose. Nell’ambito di quelle ritualità, il Solstizio d’Inverno, è la chiusura di un ciclo cosmico e l’inizio di uno nuovo. Un momento di passaggio delicatissimo, nel tempo in cui la luce è angusta e genera un momento di massima drammaticità e sofferenza della Natura, il senso di sopraffazione, di soffocamento e di morte, preludio del mistero più profondo: la nascita “della Sole” come erano soliti chiamarla i nostri antenati originari: il Natale, la festa del Mistero più profondo, della genesi primordiale, della Madre Terra Vergine, che assimilando gli elementi cosmici, crea l’energia, la Luce che è colei che dà la vita: ovvero l’acqua.
Solstizio d’Inverno – Misteri Eleusini – Mithra
Non è un caso quindi che il Solstizio d’Inverno è legato a quel silenzio profondo ancestrale che precede ogni grande avvenimento di Angerona la dèa già antica al tempo di Roma, la dèa legata all’origine: Angerona . Lei era la dèa del segreto, per ricordare ai patres iniziati che il nome sacro dell’antica Roma non doveva mai essere pronunciato; era raffigurata con una benda sulla bocca a simboleggiare il mistero, la dèa silente di cui non si poteva parlare, si festeggiava e basta. Era Lei la protettrice di Amor/Roma e del Sator/Rotas. Lei è l’Angelo Nero a tre teste, santissima trinità con sei braccia… E’ la messaggera, lotta con la fiaccola a forma di lancia e viene sempre accompagnata dal cane. Lei appartiene a quel fenomeno di frontiera che si verifica in particolari condizioni psichiche. Quando cala il buio sul futuro, Lei è il futuro soccorrevole che viene a noi, inconscio che si materializza ed emerge dalle acque. (gp)
Il mito legato ai Mysteria Eleusini racconta la storia delle tre Madri: la Regina del sole che si rivela abbagliante in tutto il suo corpo, Ekate o Angerona e la figlia Persefone o Kore. I Mysteria raccontano di una unità che si manifesta nella molteplicità, ovvero nella scomposizione (rappresentata dalla battitura del grano per cui da una spiga escono tanti semi o dalla melograna, uovo cosmico), in una molteplicità di chicchi. Pensiamo alla festa dei Lupercali romani, in cui si consuma il rito della battitura della donna collegato alla fertilità, festa che emula l’idea della scomposizione del Tutto. Nei Misteri Eleusini, Demetra diventa trina come negli affreschi di Catal Huyuk. Quando va alla ricerca della figlia indossa l’abito nero e diventa Ekate, la messaggera della fiaccola solare, mediatrice tra la Regina del sole e la terra. Secondo Esiodo nella Teogonia, ella ha potere nel cielo gremito di stelle, una dèa al di sopra di tutti gli dèi (privilegio che sarà poi preso da Zeus), la più onorata tra tutti, colei che rende immortali. Sappiamo che durante i mysteria si gridava “Piovi”, guardando il cielo e “Porta frutto” guardando la terra, a rappresentare simbolicamente la pioggia d’oro (fatta di fulmini, meteoriti, comete) e la semenza sulla terra Persefone.
ANGELO DEL SOLSTIZIO D’INVERNO : EKATE
Nel Solstizio d’Estate si entra nella porta degli uomini, nel senso che il sole da quel momento decresce fino al 21 Dicembre, giorno che apre la Porta degli dèi con la rinascita della Luce solare. La dèa del solstizio d’inverno è Ekate chiamata l’Anghelosa, la messaggera, colei che partorirà Aurora, portando il fuoco sulla terra, la dèa Angerona romana festeggiata il 21 Dicembre (festa degli Angeronalia). Dai Romani veniva definita una dèa indigentes, era Ekate o Angerona nel corso dei millenni è stata oggetto di grandi passioni e interpretazioni, proprio perché dèa per eccellenza che rappresenta il tutto che non si fa conoscere. E’ legata al sole nero, al sotterraneo e al silenzio quale mezzo di raggiungimento della pace interiore che come una bilancia oscilla tra il buio e la luce. E’ dèa celeste ma anche dèa della fertilità della terra. I Romani attribuivano ad Angerona poteri di guarigione del popolo da ogni malattia e sofferenza, nel corpo come nell’anima, oltre ai problemi psicologici derivanti dal senso di soffocamento generato dal tempo in cui la luce viene meno e la terra viene stretta dal sole in un moto di tristezza e di angoscia. Nei giorni del Solstizio d’Inverno, di freddo nel corpo e di sofferenza nell’anima che “urla” per lo spettro della morte, è Lei la Madre del mistero vestita di nero Ekate o Angerona, incinta e sempre vergine che svelerà il mistero: riuscirà a partorire per partenogenesi sua figlia Aurora o Persefone appena nata: La Luce.
Le caratteristiche di Ekate sono similari a Mithra trasformato in San Michele. Ekate la dèa della giustizia, che permette il passaggio della rinascita nel sole. Mithra deriva da metire, metro, la misura che indica appunto la giustizia. Mithra è legato al toro il simbolo della più antica tradizione italica, è potente e può cambiare le sorti del cosmo. Nasce dalla roccia attraverso l’incontro scontro del fuoco e la terra che ha dato origine all’acqua, elemento presente in tutto il cosmo anche nel Sole; ha la doga in mano e la fiaccola. Proprio perche Ekate è colei che protegge la genesi di Roma Amor, non è un caso che Mithra è il riferimento e dà il senso del potere ai legionari romani , ai combattenti di Roma, ed è il garante dei giuramenti come la stessa Ekate, la vera Sibilla dei primordi del tempo. I raggi della corona sono sette come sette è il numero della perfezione iniziatica che avviene dal sesto al settimo grado: si realizza la liberazione dal culto degli astri che determina il destino degli uomini. Il numero di Ekate è il sei e attraverso di lei si arriva alla Luce emanazione di se stessa dal quale tutto nascerà . Molto interessante il Mithreo di Sutri dove al sesto grado poco prima della botola dove sarebbe sgorgato il sangue del toro c’è affrescato sulla volta un gigantesco San Michele l’Angelo gigante, sul fondo ora non c’è solo un affresco successivo al periodo etrusco e romano, ma credo di avere trovato l’originale attaccato ad una casa dove c’è Mithra con nel mantello non il cosmo ma una gigantesca spiga di grano, la nascita del quale rappresenta la nascita dopo la morte ma anche un cambiamento di coscienza (si pensi alla precessione). E’ il momento della scomposizione dell’Uno al tre, del caos cosmico dal quale emanerà la polvere di stelle creatrice.
Giuliana Poli
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