È un errore doloroso e crasso la distinzione che i rivoluzionari stabiliscono tra borghesi e popolo, o nobili e popolo, o governanti e governati. La distinzione è tra adattati e disadattati: il resto è letteratura e cattiva letteratura. (Fernando Pessoa)
Da un po’ di tempo ho smesso di raccontare, ho smesso di guardare e di provare a capire il mondo che mi circonda, fingo di non vedere o sentire gli strepiti della politica urlata, ho smesso di cercare la verità e di raccontare la storia. Fatica inutile poiché chi sa, sa sicuramente meglio di me e chi non sa, non vuole ascoltare. Sono stanca di parole e dedico questo breve scritto soltanto a chi condivide le mie idee e ha la stessa concezione della vita, a chi proverà di capire e poco mi importa se in tanti non saranno d’accordo.
Lo diceva Nietzsche: “occorre sbarazzarsi del cattivo gusto di andare d’accordo con tutti. Le cose grandi ai grandi, gli abissi ai profondi, le finezze ai sottili e la rarità ai rari”.
Ho raggiunto una visione su argomenti di attualità e politica, sul significato di destra e sinistra (o meglio sulla totale perdita di significato di destra e sinistra), che molti considerano distorta. Quelli che una volta chiamavo “i nostri” spesso non mi riconoscono, troppo poco allineata agli schemi e ai preconcetti di parte e, in più occasioni, così apparentemente vicina a coloro che, storcendo il muso, vengono definiti i “rossobruni”. In realtà mi sono spesso accorta che vedo sempre più di buon occhio chi, da qualunque parte stia, è uscito, o prova a farlo, dallo strumentale conflitto “antifascismo-anticomunismo”.
Rossobruno fu Pasolini quando all’indomani di Valle Giulia, prese le distanze dai “sessantottini”, gli stessi che divennero poi la classe dirigente della sinistra del nostro paese coi risultati che tutti conosciamo.
“..Vi odio come odio i vostri papà.
Buona razza non mente.
Avete lo stesso occhio cattivo.
Siete pavidi, incerti, disperati
(benissimo!) ma sapete anche come essere
prepotenti, ricattatori, sicuri e sfacciati:
prerogative piccolo-borghesi…”
Rossobruno fu Che Guevara con la sua anima rivoluzionaria, patriottica, nazionale e antimperialista, quando rammaricandosi per la caduta di Péron ebbe a dire “… con lui l’Argentina svolgeva, per noi che localizziamo il nemico a nord, il ruolo di paladino del nostro pensiero”.
Rossobruno oggi è il filosofo Diego Fusaro. Così anticapitalista, da ritenere superata la divisione tra fascisti e antifascisti che parla volentieri, indifferentemente, agli incontri con Casapound o in un circolo comunista.
Inoltre negli ultimi anni, vi sarà capitato di sentire sempre più spesso Marine Le Pen, euroscettica, citare Antonio Gramsci.
Sono allora io stessa “rossobruna”, quando sostengo l’autodeterminazione dei popoli, il diritto a decidere nella propria terra, il proprio destino?
E peggio, sono anche populista? (appellativo tanto in voga). Lo sono sicuramente in contrapposizione a chi non comprende le ragioni di una forte e necessaria richiesta di giustizia sociale e di una riconquista dei propri diritti politici ed economici che passino attraverso il superamento delle “democratiche” destra e sinistra che, a braccetto, in alternanza, nel corso degli anni, hanno tradito questi valori e questi principi asservendosi alla oligarchia finanziaria internazionale.
Sono rossobruna e populista dunque quando vedo due diversi tipi di comunisti: i bolscevichi, figli di Mordechai, con connotazioni giudaiche, che non sono mai stati al servizio del proletariato, ma sono loro stessi padroni, esattamente come tutti quei bravi compagni che oggi rappresentano l’élite della cultura, i radical chic, in realtà mai comunisti di fatto, ma tanto bravi a parole. E gli idealisti che sono tutt’altro genere di comunisti, sono quelli che utopicamente hanno creduto di poter realizzare il paradiso del proletariato e costoro io li osservo sotto una diversa luce e, tanto quanto detesto i primi, così rispetto i secondi.
Riconosco ai veri compagni, di avere come noi affrontato battaglie importanti (pur se da fronti opposti) penso alla difesa del diritto di esistere della Palestina contro l’occupazione israeliana, penso alla totale solidarietà per le nazioni massacrate dagli americani, i bombardamenti definiti “missioni di pace”, a Saddam, a Gheddafi, e non ultimo al presidente siriano Assad. Con questi compagni, ci troviamo d’accordo sulla necessità di combattere e distruggere capitalismo e liberismo, riusciamo ad intenderci contro la globalizzazione economica e culturale che produce, per dirne qualcuna, la delocalizzazione delle imprese, lo sfruttamento del lavoro minorile in aree depresse del pianeta, l’indebitamento dei paesi poveri col Fondo Monetario Internazionale, uno spietato e inumano mondo di antagonismo e competizione e, non ultimo il rischio concreto che le diverse culture, si fondano perdendo la propria peculiare individualità. E, per finire, ci troviamo d’accordo, anche su alcuni eventi della nostra storia recente, come quando da ambo le parti riconosciamo nell’origine della strategia della tensione il tentativo di tenere in piedi il sistema economico capitalista, di fare quadrato attorno alle istituzioni democratiche, salvare cioè, dalle spinte eversive, la “democrazia” e il governo, che al momento le rappresentava. Ciò vale anche per le stragi che restano ancora senza giustizia e, per un certo neofascismo “deviato” da strutture paramilitari facenti capo ai nostri colonizzatori.
Per non parlare dell’attuale unione europea, che ci riguarda così da vicino, la cui realizzazione ha distrutto il sogno di un’Europa dei popoli e dove l’unica concreta convergenza ottenuta è il dominio delle banche e la dittatura dei mercati finanziari, dove la distruzione sistematica delle culture individuali e dei diritti sociali sono definite le riforme “che l’Europa ci chiede” e che paghiamo a suon di lacrime e sangue.
“Pagare un debito di moneta con altra moneta emessa a debito è impossibile; a lungo andare si pagherà con i propri beni, o con il proprio lavoro non retribuito: quindi, con la schiavitù.” (Giacinto Auriti)
Mi è difficile spiegare e cercare di farmi comprendere, se non si prova a superare certi stereotipi, certe convenzioni consuetudinarie, perchè se è vero che alcune cose ci accomunano ai comunisti, è pur vero che altre ci separano in maniera inaccettabile: prima fra tutte la concezione etica della vita, dello Stato e del mondo. I comportamenti, il costume, la morale ritenuti giusti o illeciti da una parte o dall’altra, l’analisi storica del passato: quelli che per loro erano eroi, per noi sono banditi e viceversa. Io ritengo ancora irrealizzabili, per governare un paese, le ideologie marxiste – leniniste che restano a mio avviso una utopica teoria destinata a fallire perché contraria alla natura umana.
Di contro, penso che il Fascismo sia stato la più grande rivoluzione moderna, l’unica che ha portato l’intero popolo, in ogni classe, ordine e livello, dentro lo Stato. Il fascismo auspicava una vicinanza fra tutte le forze produttive, esattamente il contrario della plutocrazia democratica e della contrapposizione fra classi sociali.
Solo col Fascismo si formò uno Stato nazional-popolare che mise al primo posto i diritti delle masse e non gli interessi finanziari, il contrario del liberismo. L’ 80% delle leggi e dei regolamenti anche in ambito contrattuale e salariale come tutela dei più deboli risalgono a quel periodo. Fu istituito il sindacalismo integrale con l’unione delle rappresentanze sindacali e dei datori di lavoro che tendeva alla ripartizione degli utili, l’opposto del capitalismo.
Fatta questa precisazione, oggi con chiunque abbia ancora voglia di sostenere valori di nazione, di socialismo nazionale, di rispetto per il popolo sovrano, con un programma che esalti il lavoro, occupandosi degli ultimi e non delle oligarchie, si può fare un percorso comune, pur se su strade separate, poiché i nemici che dobbiamo combattere in questo mondo occidentale sono gli stessi. Il fine è realizzare di comune accordo quella sintesi rivoluzionaria così necessaria per sopravvivere, senza per questo voler sradicare le certezze di intere generazioni.
Occorre superare gli obsoleti concetti di destra e sinistra, datosi che destra e sinistra “democratiche” oggi, sono due facce della stessa medaglia, ci troviamo a combattere davanti ad un muro di gomma fatto di false contrapposizioni, poiché il sistema politico portato avanti dai rappresentanti di una parte o l’altra è esattamente lo stesso: la liberal democrazia, che sostiene, come sistema economico, il liberismo finanziario.
Coloro che si rifanno alle due grandi idee del novecento hanno invece in comune un modo di intendere la vita, in difesa degli interessi nazionali e del popolo, che li differenzia dai sostenitori del globalismo, della concorrenza spietata e dell’omologazione culturale e spirituale.
Anche le classi sono state superate dai tempi: stato sociale, difesa delle classi deboli, dei diritti dei lavoratori, case, lavoro, sono le battaglie di entrambe le parti, come si potrebbe non essere d’accordo su questi argomenti? Lo scontro non è più fra la lotta fascista all’internazionalismo e la lotta comunista al nemico borghese, ora è sotto gli occhi di tutti quanto siano sorpassate tali concezioni, la vera disputa della nostra era è fra i populisti (intesi come forza anti-sistema) e il globalismo.
Esempi utili a superare i vecchi contrasti possono essere il fondatore del Partito Comunista italiano Nicola Bombacci e il politologo tedesco, stratega della Germania nazista, Karl Haushofer. Il primo, dopo aver provato a realizzare i suoi ideali di stato sociale nel fascismo repubblicano, finì appeso per i piedi a piazzale Loreto insieme a Mussolini.
L’altro, che sosteneva con vigore un avvicinamento fra la Germania e l’Urss, poiché soltanto un blocco russo-tedesco avrebbe sconfitto l’Inghilterra e il suo dominio sul mondo, fu sempre convinto che uno scontro diretto della Germania con la Russia sarebbe stato (come in effetti fu) un suicidio. Dopo la seconda guerra mondiale, ridotto in miseria da un decreto delle autorità d’occupazione statunitensi, si suicidò con la moglie nel 1946.
Lo stesso Drieu La Rochelle, decisamente europeista e avverso alla democrazia di stampo anglo-americano, fu tentato in egual misura dai due opposti estremi: il comunismo e il fascismo e arrivò quasi ad auspicare il trionfo del comunismo sovietico su tutto il continente, considerando la Russia come sicura erede del fascismo e padrona dell’Europa. Nel suo libro “I Cani di paglia” fa dire al collaborazionista Brandy:
“il mio ideale di autorità e aristocrazia è in fondo nascosto in questo comunismo che ho tanto combattuto”.
Berto Ricci, definito il fascista anarchico, proponeva un fascismo rivoluzionario, antiborghese e anticapitalista. Nei suoi articoli si mostrò spesso più vicino a Mosca che a Londra:
“… Noi italiani, che siamo anche noi una rivoluzione (e la maggiore) non possiamo sentirci più vicini a Londra parlamentare e conservatrice, a Parigi democratica e conservatrice che a Mosca comunista… l’ AntiRoma c’ è ma non è Mosca. Contro Roma, città dell’anima, sta Chicago, capitale del maiale…”
Ricci, l’eretico, così critico nei confronti del regime morì però in Libia, combattendo in guerra da volontario nel 1941 , a soli 36 anni.
Infine, ma non ultimo, Benito Mussolini, non si dimentichi, il 28 ottobre 1922 dopo la marcia su Roma, in nome di quel Fascismo rivoluzionario che si poneva come scopo di sovvertire il capitalismo, la finanza internazionale e lo sfruttamento degli usurai ai danni del popolo, consegnò al re “l’Italia proletaria e fascista”.
Avviandomi alla conclusione sottolineo che bisogna cercare di seppellire gli stereotipi, gli emblemi, non è più tempo di simili alambicchi, portiamo rispetto a quelli che furono dei simboli importanti e non umiliamo chi morì combattendo, con delle allegorie che ne offendono il vero significato. Impariamo anche dal recente passato, dai terribili anni di piombo che hanno segnato la nostra gioventù strumentalizzata e artatamente messa una parte contro l’altra. (Dividi et impera.) Richiamarsi al passato per non dimenticare va bene, poi viene il tempo di cambiare e, creare qualcosa di nuovo e’ meglio.
“Una cosa e’ certa, di un fascismo imbalsamato e sempre in lutto, l’Italia non sa che farsene.” lo diceva già Pino Romualdi.
Che era ora di farla finita col fascismo urlato, quello delle adunate in piazza , del “duce duce” a braccio teso e “vincere e vinceremo” lo avevano capito i ragazzi che al Fascismo hanno donato la loro giovane e spensierata esistenza offrendosi a Salò come ultimo baluardo in difesa di un’idea e non dei suoi estetismi. Lo avevano capito quando distribuirono alla gente stremata dalla guerra viveri, biciclette, vestiti e scarpe, non slogan. Ci credevano, volevano vincere, ma vincere a fianco del popolo e non in parata.
Diceva Goethe che “nessuno è più schiavo di chi si ritiene libero senza esserlo”, sono dunque ciechi coloro che, da una parte e dall’altra, non riescono oggi a individuare nel sistema bancario internazionale, nel globalismo, nell’annientamento dei popoli e dell’identità nazionale l’unico vero nemico.
“Oggi il nome “democrazia” è rimasto alle usurocrazie, o alle daneistocrazie, se preferite una parola accademicamente corretta, ma forse meno comprensibile, che significa: dominio dei prestatori di denaro.” (da Valuta, lavoro e decadenze – Ezra Pound)
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