11 Ottobre 2024
Tradizione

Il Sutra del Signore d’Oro: Emanuele Franz ed un possibile ed attuale Shivaismo – Luca Valentini

“Io, Shiva, sono l’unità minima della coscienza.
Io sono il minimo contenuto di esperienza affinchè vi sia coscienza.
Io risiedo non sopra questa unità ma sotto”

Sembra quasi un’assurdità che si possa nell’era attuale, da parte di un occidentale, scrivere un Sutra, come nello stile dello Shivaismo del Khasmir del IX secolo, ma è ciò che la mania filosofica dell’amico Emanuele Franz ha prodotto, in maniera non solo sorprendente, ma anche poeticamente e stilisticamente eccelsa, per la sua Audax Editrice. Lo scr

itto in questione è composto da due conversazioni, in cui, in prima persona, prima il Dio Shiva – entità maschile post-vedica e spesso associata al vedico Rudra quale reggente delle tempeste e del vento – si rivolge alla Dea Parvati – consorte dello stesso Shiva, entità dello splendore celeste ma anche con forme terrificanti come Durga e Kalì – e successivamente la Dea si rivolge al Dio in 234 aforismi di una profondità e di un’armonia musicale davvero assai rari.

La prospettiva è quella della grande disintegrazione, di una conoscenza metafisica che incenerisce l’individualità umana, i suoi sofismi, la sua effimera volontà di potenza, in cui l’ego deve sottostare al Sé come presenza che scaturisce e propaga il Vuoto, come condizione esistenziale di superamento dell’illusionismo fenomenologico, che conduce ad una sperimentazione assolutamente personale del sacro:

Quando la tua verità è creduta da altri all’infuori di te, smetti di credere in essa. Qualsiasi verità che suscita applausi è una menzogna” (af. 13).

In ciò si esplicita una vocazione introspettiva e centripeta, che contempla la presenza del Nume ove solo esso sappia essere rievocato nel proprio microcosmo, in un’apprezzabile prospettiva sapienziale, che, però, contraddice quanto enunciato nell’introduzione ed in alcuni aforismo (n. 85), in cui troppi slanci mistici sono stati concessi alla Fede quale unico mezzo per la conoscibilità dello Spirito ed in cui la distanza tra uomo e Dio non viene recisa, come sembrano suggerire molti aforismi, ma, al contrario, profondamente accentuata, concedendo, d’altronde, credito a quel Lutero che il pensiero e l’esegesi tradizionalista relega tra i maggiori responsabili dell’involuzione spirituale della civiltà occidentale. Terminando, però, la stessa introduzione, il filosofo friulano, sempre sul tema della Fede, elargisce ai suoi lettori una vera perla:

Ed è appunto questa Fiamma la fede, che è la fede in Sé, svincolatasi dalla cera che la produce, ovvero dal fedele, dal piccolo Ego che la riflette” (p. 8)

Il Franz, infatti, nel testo coglie delle felicissime intuizioni, che hanno il merito di annullare lo iato tra conoscenza virtuale e conoscenza effettiva, tra teismo e Sapienza, tra bieco misticismo e identificazione attiva con ciò che vi è da sempre ovvero una realtà noetica che, necessariamente, andrebbe ridestata e non ricercata nell’altrove dei devoti:

La conoscenza non può essere trasmessa, indotta, prodotta, comunicata e ottenuta. Nessun mortale può conferire a un altro mortale la conoscenza. Nessun mortale può conoscere. Solo chi diventa eterno, solo chi diventa Shiva può conoscere, ma invero Shiva non diviene, Egli è sempre” (af. 42).

Ritorna spesso nei versi dell’autore il prezioso concetto di incomunicabilità del Sapere, del principio secondo cui la dimensione divina essendo un prezioso tesoro occultato nella miniera della nostra anima, possa essere valorizzata da chi ne detiene la custodia, secondo la propria equazione personale, che, quindi, non può conformarsi con una trasmissione eteronoma, ma solo come esplicazione di una volontà che abbia permesso alla volontà dell’ego di morire. Risorge la vetusta ma mai tramontata e necessitante idea del maestro interiore, contro il gurismo dilagante nello spiritualismo contemporaneo:

Tutti insegnano qualcosa ma il tuo maestro è colui che non ti insegna nulla” (af. 73).

Il lettore, con vera meraviglia, potrà constatare come il rinnovato Shivaismo di Emanuele Franz, riconduce autenticamente alla primordiale dottrina dell’unità, non solo in termini intellettuali e dottrinali, ma soprattutto lungo un viatico esegetico che annulla qualsiasi antinomia, qualsiasi forma di vincolo e dipendenza, essendo il Dio necessario a se stesso, come l’uomo che al Nume sa farsi simile. Si evince, infatti, tutto una salutare distacco, nonostante le contraddizioni precedentemente evidenziate, dalla concezione dogmatica cristiana, che non pone sul piedistallo maestri né libri sacri, ma la presenza imperitura di una Verità, non soggetta a modificazione alcuna:

Se tutti i testi sacri del mondo scomparissero in un solo istante, la Verità di Paramesvara rimarrebbe ancora presente e inalterata” (af. 170).

Il Sutra del Signore d’Oro di Emanuele Franz rappresenta l’esplicitazione di una meditazione profonda dell’autore, un ritorno allo stato aureo dello spirito, che in versi, tramite una tradizione lontana, nel cuore dei lettori, senza devozionalismo, può rivivere e fiorire con autentica fecondità.

Luca Valentini

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