Inevitabilmente, dopo tragedie come quella di Parigi, su tutti i media si scatena per giorni un vortice di analisi, di inchieste e considerazioni. È il pantano in cui sguazzano i politicanti e i loro fiancheggiatori nei giornali, tutti impegnati a proporre la loro esegesi degli eventi e delle cause e la ricetta per porvi rimedio.
Eppure, mentre gli intellettuali discettano sui giornali e in Tv, ci si potrebbe limitare a trarre alcune conclusioni dall’osservazione dei fatti.
Dell’Isis e delle sue efferatezze sappiamo tutto da anni, non c’è nulla da scoprire su questo movimento che ha sfruttato le insorgenze degli oppositori contro Bashar al Assad per presentarsi sulla scena armato, finanziato e organizzato dalle monarchie del Golfo (prima fra tutte l’Arabia Saudita) con la compiacenza degli Stati Uniti e la colpevole indifferenza dell’ Europa.
Allorché però l’Isis s’è imposto all’attenzione mondiale, rivendicando la costituzione di un vero e proprio Stato e mostrando il suo volto sanguinario e bestiale, i suoi mallevadori l’hanno richiamato all’ordine e hanno organizzato una coalizione che, con limitati bombardamenti aerei, gli ha imposto dei paletti: non più in là di tanto in Iraq, mano libera in Siria per far cadere Assad.
Il Presidente siriano, infatti, era ed è considerato da americani, turchi, sauditi, israeliani ed emirati arabi il vero nemico da abbattere e, sebbene non abbia aggredito né minacciato alcun Paese, è stato dipinto come un tiranno sanguinario perché ostacola il passaggio degli oleodotti voluti dagli Usa, perché è alleato dell’Iran sciita odiato dagli arabi sunniti, perché è un ostacolo alle mire espansionistiche turche e israeliane. Per questo, l’Isis faceva comodo un po’ a tutti e per questo è stato sostenuto e foraggiato con gli acquisti di petrolio, con i rifornimenti d’armi, con fiumi di denaro e con complice indulgenza.
La Nato, ovvero l’alleanza militare che rappresenta l’Occidente “democratico”, ha assistito senza fiatare alle connivenze con l’Isis della Turchia di Erdogan, al massacro di curdi e yazidi, alle decapitazioni e alle crocifissioni dei cristiani, ma si è immediatamente indignata quando la Russia è intervenuta a bombardare seriamente i ribelli islamisti e quelli di Al Nusra e delle altre formazioni antiassadiste.
Come contromossa, l’Isis, messo finalmente in difficoltà sul terreno grazie a Putin, ha esportato il suo terrore. Ha abbattuto sul Sinai un aereo di turisti russi (224 morti, molti più di quelli di Parigi) ma a noi, che adesso diciamo che quelli di Parigi sono attacchi “conto l’ umanità”, è importato poco. Ha rivendicato una strage in un mercato di Beirut, in Libano, e ce n’è importato ancor meno. E poi si è rivolto contro la Francia. Quella stessa Francia che non l’accusava di terrorismo finché si limitava a martirizzare le città siriane e a combattere contro Assad. Quella stessa Francia responsabile della guerra in Libia e della morte di Gheddafi, da cui è scaturita la destabilizzazione del bacino Mediterraneo, la morte di migliaia di profughi e l’invasione dei clandestini nel nostro Paese.
Oggi che sono morti dei giovani francesi e tutti condannano l’integralismo islamista, anche l’Italia, chiamata in causa come prossimo obiettivo dei terroristi, ha innalzato i livelli di allerta intensificando le misure di sicurezza. Ma, nel frattempo, insieme ai cinque Paesi che siedono nel Consiglio di Sicurezza (sicurezza?) dell’Onu, Usa, Francia, Gran Bretagna, Cina e Russia, abbiamo riempito di armi i sostenitori di quel terrorismo, cioè l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti.
Solo pochi giorni fa, il nostro premier Renzi, che come tutti ora parla di attacco all’umanità, era in Arabia Saudita a celebrare gli appalti raccolti presso il regime islamico più integralista, più legato all’Isis e più dedito al sostegno di tutte le forme di estremismo islamista del mondo. E nessuno, degli odierni analisti, ha speso una parola per ricordargli che il denaro, a dispetto dei proverbi, qualche volta puzza. Come nessuno gli ha fatto notare quanto siano ipocrite e demenziali le sanzioni economiche imposte alla Russia (per ordine degli Usa) per la questione Ucraina a paragone degli accordi commerciali stipulati coi paesi arabi sunniti più integralisti.
Poi c’è l’Europa, senza una politica estera né un esercito comuni, che balbetta davanti al terrorismo e anche difronte a vittime innocenti farfuglia di diritti umani, di accoglienza e solidarietà. Succube della Nato e priva di realismo politico, ha schiacciato la Serbia ortodossa ma tollera che l’estremismo islamico prenda piede sull’altra sponda dell’Adriatico, con i Wahhabiti sauditi che stanno finanziando il Kosovo con fiumi di denaro: con tre moschee in ogni villaggio erette in cambio di soldi, con diversi campi di addestramento Isis, con una campagna di conversione in tutti i Balcani, con 200 euro al mese per il velo alle donne, in un paese dove lo stipendio medio è circa 300 euro, è facile trovare consenso e reclutare manovalanza.
Questa è l’Europa che vorrebbe aprire le porte alla Turchia nei cui stadi si inneggia ad Allah e agli attentati di Parigi e dove l’8% della popolazione ha fatto una scelta netta di sostegno all’Isis e alla sua lotta.
Questa è l’Europa che si divide sull’immigrazione, perché ha perduto ogni decoro e ogni senso di identità; che nelle sue nazioni più multirazziali (Inghilterra e Francia) ha clamorosamente fallito ogni processo di integrazione, ma che continua parlare di accoglienza; che farfuglia di presidiare contro l’integralismo non i capisaldi della civiltà e della Tradizione, ma le sue libertà profane, il suo relativismo, il suo edonismo e gli stili di vita importati da oltre Oceano; una società materialista e narcotizzata che ha come valori di riferimento lo sballo nei locali notturni, la libera droga e l’abolizione di ogni differenza di genere, l’aborto e i matrimoni omosessuali, la promiscuità e il pacifismo più sciatto, il consumismo e la denatalità inculcati dalla società del benessere e dall’ideologia radicale, vorrebbe proporsi come modello a masse islamiche fidelizzate, abituate a vivere politica e religione in una simbiosi indissolubile e avvezze a lottare per la propria sopravvivenza in condizioni comunque sempre estreme.
Ci si arrovella sulle diseguaglianze sociali, importanti ma non determinanti in questo caso, ma si evita ipocritamente di affrontare il problema nell’ottica di una contrapposizione culturale, di fatto insanabile, tra una società laicizzata e decadente e una visione del mondo sacrale e spesso intransigente e radicalmente non evoluta.
Invece, l’Europa si dibatte nelle sue contraddizioni più surreali e dopo aver accolto migliaia di immigrati si meraviglia perché quelli che credeva propri concittadini sono, in realtà, i suoi carnefici; ma, perseverando nella sua logica autodistruttiva, continua imperterrita a non voler porre un freno agli ingressi, un tempo perché questo sarebbe stato considerato xenofobo e razzista e oggi perché sarebbe inutile, in quanto i nemici li ha già in casa, avendo rilasciato loro un documento che li riconosce come cittadini europei. Così si chiude il cerchio della pusillanimità e dell’autolesionismo.
Perché la verità è questa: se vogliamo eliminare l’Isis, sappiamo benissimo quello che bisogna fare e a chi bisogna rivolgersi. Se vogliamo frenare l’invasione in Europa e la sostituzione etnica del continente, sappiamo dove e come dobbiamo intervenire. Facciamoci piuttosto queste domande. Poi diamoci una risposta sincera.
Perché di falsità non se ne può più. E neppure delle chiacchiere e delle analisi di comodo degli intellettuali al soldo dei poteri massonici e mondialisti.
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