Due o tre anni fa, tramite un’amica, ho incontrato, su sua richiesta, un collaboratore di Fausto Bertinotti. Un giovane simpatico attento ma già ‘inquinato’ nell’arte della politica o, se preferite, del politichese, da portaborse con auspicio di mettere il culo su qualche poltrona. Grandi sorrisi, approvazione continua, la testa china e pensosa come a riflettere sulla consistenza del mio dire (di cui, probabilmente, poco o nulla fregava o intendeva). Giornata di primavera, un buon cappuccino, il tavolino del bar all’aperto e sotto il vecchio palazzo a fianco della basilica di Santa Maria Maggiore, dove sono nato e dove vi ho vissuto per oltre sessant’anni (escludendo gli otto mesi in trasferta in Germania la permanenza a Regina Coeli di anni quattro circa e i circa cinque in zona Monte Sacro, non tenendo conto dell’infanzia adolescenza giovinezza delle estati sulla costa romagnola).
Vengo al dunque. Disdegnando scendere dal piedistallo degli indispensabili, bilioso e rancoroso nella condizione d’essere un ex, di lusso ma pur sempre un estromesso – e in malo modo dopo aver fatto cadere il governo Prodi – aveva sguinzagliato i ‘servi della gleba’ per una ricerca che gli stava a cuore o sullo stomaco. In pratica i suoi ex compagni di tanta parte della sua vita politica, ‘anime belle’ a parole, lo accusavano di (alto) tradimento proprio per quella scelta ‘scellerata’ ed ‘indecente’ che li aveva ricacciati all’opposizione favorendo il ritorno di Berlusconi e, soprattutto, la perdita di posti di potere e relative prebende. Come se mettersi contro Romano Prodi fosse rinnegare la conquista del Palazzo d’Inverno, le lotte feroci e intestine alla morte di Lenin o le grandi purghe ad opera di Stalin (esempi non miei, ma del ragazzotto…). E ciò comportava piccoli soprusi vendette malumori rottura di amicizie niente saluti o caffè insieme perdita del lavoro dei suoi ‘fedelissimi’ ecc…
Declino di uomini idee passioni. Nietzsche: ‘L’oggi appartiene alla plebe’. Già Drieu la Rochelle constatava, ne L’uomo a cavallo, come ‘la sua patria è amara per colui che ha sognato un impero. Perché cos’è una patria se non una promessa d’impero? Già, ma la patria è morta con l’8 di settembre del ’43 e, ancor più dramma nella tragedia, non se n’è accorto nessuno e a nessuno è fregato…
Insomma, aggiunsi io, in un mondo borghese, ipocrita e vile, nulla cambia dal tempo in cui, con medesimo spirito e atteggiamento analogo, si davano al colpo alla nuca alle sparizioni notturne alla tortura al gulag. Con la pretesa, sovente, che la vittima si riconoscesse colpevole (penso al bel libro di Arthur Koestler Buio a mezzanotte, fra le mie letture iniziali di formazione). Un linciaggio sulla persona, amplificato oggi dai mezzi di comunicazione e dal tradizionale asservimento di tanta parte della stampa. Basterebbe ricordare il rogo di Primavalle… Nessuna replica.
Cosa pensano ‘a destra’ (tengo subito a precisare che di quanto pensa la destra non mi interessa e non me ne curo, ma se vuoi sapere come la vede un fascista sono qui apposta!) del concetto di tradimento? Questo era di fatto il motivo originario del nostro incontro. E, qui, lo riprendo e magari ci costruisco con qualche aggiunta una riflessione. Non guasta, anche se inutile perché chi tradisce – qualunque sia il motivo – se ne frega bellamente d’ogni distinguo o critica. Perché di miserie umane con le relative autogiustificazioni e assoluzioni il mondo è pieno. E, quindi, anche fra coloro che si sono accompagnati al cammino di una comunità in lotta, ove (e chi per denaro e chi per viltà e chi, anche di recente, per natura miserabile e accattona) certi valori e certe virtù ne rappresentavano l’ossatura.
Fra i libri della mia biblioteca trovo a memoria di Ruggero Zangrandi L’Italia tradita, interrotto dal suicidio dell’autore il 30 ottobre del 1970, edito l’anno successivo da Mursia (che era suo ‘amico fraterno di sempre’). Confesso di aver sempre avuto una particolare simpatia per questo autore fin da quando lessi Il lungo viaggio intorno al fascismo, pur consapevole di certe pulsioni verso il comunismo inteso quale rimedio al fallimento della sospirata rivoluzione fascista. Trovo il fortunato, forse eccessivo, volume di Elena Aga Rossi Una nazione allo sbando, edito nell’anniversario dell’8 di settembre con l’intento di dimostrare che non tutto l’esercito s’arrese senza ordini senza onore senza tentare di resistere alla rabbia (legittima) dei tedeschi. I 45 giorni di Badoglio, autore Federico Orlando, della Bonacci editore, dove Badoglio è assolto dall’accusa di tradimento visto che, riprendendo una considerazione dello storico Ernst Nolte, si trattava non di una questione ‘morale’ ma di ‘sopravvivenza’ (bastano gli interessi vitali di un Paese per calpestare l’Onore? Forse sì, ma per il singolo no, io credo, e tanto mi basta). Potrei aggiungere altri volumi, testimonianze, diari.
8 settembre del ’43 il prototipo del tradimento, squallido stupido ridicolo nella sua tragedia di allora – l’Italia divisa lacerata umiliata – e nella tragedia di oggi – pronti sempre all’estero a rinfacciarci quel saltare sul carro del vincitore. Senza trarne frutto perchè a Parigi, al tavolo di pace, l’Italia vi partecipò ma da nazione sconfitta, obbligata ad accettare, firmandoli, i dettami dei vincitori (basti ricordare l’ignominia di quell’articolo 16 ove s’impone la non perseguibilità dei traditori della guerra perduta). E in questi decenni – salvo nella base aerea a Sigonella e pagato poi a caro prezzo – proconsoli dell’Occidente, tollerati in clima di guerra fredda prima ed oggi proni agli interessi del mercato e delle banche. Così quel lontano ormai tradimento rimane una macchia indelebile, in ognuno di noi pesa in dignità, come rilevava il Comandante Borghese…
L’8 settembre diviene una sorta di rappresentazione plastica, di fondale collettivo di quanto avviene ogni giorno, privati dell’Olimpo gli dei decaduti e malvagi lasciano in eredità agli uomini l’essere vili e in ginocchio. La fuga del sovrano pose le basi per il rifugio e la scelta nella coscienza di ciascuno ove stabilire, dramma, quale fosse la propria ‘patria’ quali i valori a cui attingere conforto o rinnegare l’una e gli altri. E apparve la figura del servitore dell’ideologia. E qui rientriamo nell’argomento da cui siamo partiti. Il tradimento…
Marx definiva l’ideologia ‘mistificazione della realtà’ – l’ho scritto all’inizio come sia Bertinotti un traditore della sinistra… cupidigia del potere di lucrare (lo scempio di cui siamo testimoni, annoiati, da parte degli amministratori del PD di Renzi), anche se gli si attribuiscono colpe ‘politiche’. I vecchi libertari e socialisti, la folta barba, dal cappello a falde larghe e il fiocco a mo’ di cravatta che cantavano Addio Lugano bella e venivano cacciati o trascinati in catene sono icone sbiadite del passato… Poi Lenin dagli occhi a mandorla e lo sguardo cattivo, poi Stalin solido i baffi crudeli con gesto misurato mentre verga ondate di arresti gulag assassini. Ed entrambi in nome della rivoluzione bolscevica del comunismo redentore. Non l’uomo, tornato ad essere la ‘pallida ombra di sogno’, ma l’idea ‘vera giusta bella’ di un regno dell’utopia dove il tintinnare di sbarre e chiavistelli ne delineava il perimetro. Nella ferocia, però, vi si scorgeva ancora il tratto della grandezza. Il pugno chiuso la falce il martello bandiere rosse erano ancora fremito di cuori ardenti, pur se rozzi e illusi, al ritmo cadenzato dell’Internazionale. Non questi nipotini, avidi corrotti ignoranti, che pure conservano il gusto del linciaggio del dito puntato dell’arroganza del dileggio…
(Dall’Ecclesiaste: ‘Nihil sub sole novum’, appunto. Se volessimo farci forti con le leggi della genetica, altra razza, loro, altra razza, noi).
Eredi, forse è una pretesa (comunque, pur se retorica, è una disciplina una divisa che in qualche modo può funzionare), di uomini e donne del tempo eroico (generazione di volontari nella Decima MAS nelle Brigate Nere nel SAF, ad esempio), liberi dalle ideologie ignari dei ‘massimi sistemi’ refrattari alle elucubrazioni pianificanti l’oggi il domani ed il futuro (quella ‘nostalgia del futuro’ che si trasforma in assunto rispetto all’apparente contraddizione) cosa ci rimane a metro di valutazione, come stabilire il giusto da quanto giusto non è? Il comportamento, che amiamo chiamare ‘stile’. In apparenza poca cosa, eppure è tutto e di più.
Oreste che si ritrae dal trampolino di lancio al corso di paracadutismo si rende conto da solo che ‘questo’ mondo non gli appartiene e si riscatta, un paio d’anni dopo, con il lanciarci dal terrazzo della ‘casermetta’ un paio di sedie per consentirci di armarci contro i compagni urlanti e in numero impressionante. Un esempio. Claudione che si slaccia il cinturone e decide che non gli va più di scappare si volge per caricare e noi con lui – una decina – il centinaio di comunisti che ci corrono dietro. Un esempio. E si potrebbe – ho alle spalle oltre cinquant’anni di militanza – continuare con ulteriori esempi… Tutti eredi, poca cosa certo, di coloro che andarono in Repubblica ‘con poche speranze e nessuna certezza di vittoria’. Uomini che sentono come solo in questo modo il senso vago e vano dell’esistenza si eleva e si nobilita. Pavolini, poeta in armi, mandò se stesso e i suoi al tiro al bersaglio imponendo indossare la camicia nera – ‘credenti e combattenti’ – perché la Fede nell’Idea non appartiene ad un atto interiore, ma è tale se si manifesta ‘faccia al sole e in culo al mondo’. Appunto.
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