‘Il passato è sempre un museo immaginario’. Lo traggo da ‘ultima considerazione’, pagina 377, dal robusto volume autobiografico di Joachim Fest, il più autorevole studioso di Hitler e del Terzo Reich (scomparso nel 2006), con sottotitolo ‘Memorie d’infanzia e gioventù’. Libro acquistato da Hassan, il rigattiere iraniano, con la sua botteguccia (suppongo di oggetti raccolti in gran parte da zingari nei cassonetti dell’immondizia e dintorni) nei pressi di casa, per il costo di euro uno. Libro che mi sono portato in ospedale per breve degenza e a controllare il cuore, perso l’ardire e l’ardore, solo capriccioso e stanco. Iniziato in più riprese e più volte abbandonato nell’urgenza di altre e più agili letture.
Il titolo del libro Io no (Ich Nicht) è esplicito richiamo al passo dei Vangeli, credo in quello di Matteo, ‘Etiam si omnes – ego non!’. Di famiglia cattolica il cui padre, già professore, mantenendo opposizione al Regime, era stato licenziato e trovandosi in ristrettezze economiche e con un crescente vuoto intorno, ma ostinato e fiero non si era piegato al presente. Dell’autore avevo letto Obiettivo Hitler e La disfatta, da cui è stato tratto il film La caduta. Vi avevo ritrovato quella tradizione di studi storici, di cui la Germania, dalle riflessioni del filosofo Hegel in poi, s’è resa caposcuola robusta e apprezzata. Nulla a che vedere, ad esempio, con un Denis Mack Smith, lodato dalla critica nostrana, ‘indecente e servile’, che l’ha reso famoso soprattutto negli anni ’70 e ’90 per i suoi studi sul Risorgimento dove l’assunto e il filo conduttore consiste nel rendere merito a chi s’adegua ai progetti dell’Impero britannico mentre irride, al contrario, ai suoi avversari (il Mussolini tronfio e cialtrone avverso alle sanzioni del 1936, durante la campagna d’Etiopia).
In verità vidi prima il film al cinema Quattro Fontane insieme a mio figlio Emanuele e, come scrissi in Strade d’Europa, ‘già in tanti altri paesi, e specialmente Germania e Francia, ha suscitato forti eco ed accese polemiche’. Riporto qui alcune annotazioni svolte in quelle pagine. ‘Esso tratta degli ultimi giorni di Hitler, racchiuso nel bunker di Berlino e prigioniero dell’imminente ed apocalittico crepuscolo wagneriano. Fuori, fra le macerie, alcune migliaia di giovanissimi della H.J e soldati francesi e scandinavi delle Waffen-SS, armati di Panzerfaust, oppongono estrema ed inutile resistenza alle orde asiatiche dell’Armata Rossa. Negli scantinati, in rifugi di fortuna, le donne tede-sche si preparano all’avvento della pace segnato dallo stupro e dal saccheggio. E’ la finis Europae, di quell’Europa che ha perso definitivamente il suo ruolo espansivo e determinante l’accadere storico’. (…) Eppure di quell’Europa non possiamo fare a meno e, a vario titolo e a vario modo, ci lasciamo tuttora coinvolgere. Magari trami-te un film’…
‘Il passato è sempre un museo immaginario’.
Non per gli antichi Greci. Frammento di Agatone – il poeta nella cui casa Platone fa svolgere il dialogo più affascinante e inquietante, il Simposio – dove si legge ‘se c’è una sola cosa negata persino a Dio, questa è il potere di cancellare il passato’. Come erano puri e ingenui… Gli occhi non tradivano lo stupore, la parola lo descriveva e, fedele, era in armonia con le cose nella loro visibilità. Nessuno si meravigliava né si faceva sospettoso né irrideva se alla fonte, nel canneto lungo il corso d’acqua, fra il gracidare delle rane e lo stormire delle foglie, coglieva lo sguardo di una ninfa dalle belle forme o udiva il satiro zufolare armonie sensuali dal suo strumento a fiato. E, figlia di Urano (il Cielo) e di Gea (la Terra), Mnemòsine – capace di donare il ricordo – fu amata da Zeus, che gli si manifestò sotto sembianze di pastore, giacque con lei per nove notti e, dopo un anno, essa partorì le Muse. La memoria e le forme d’ogni arte a rendere nel tempo eterna la bellezza, cioè ciò che dell’esistenza conta.
Come la pietra attratta dal fondo, schiava del principio di gravità, rotolando trascina con sè altre pietre e forma uno smottamento, produce rovinosa valanga, così venne insinuandosi il dubbio nella mente – sarà poi ciò, vero? – e la ragione, arrogante, si erse presuntuosa a discapito degli occhi e dell’ascolto e degli altri sensi, facendoli decadere in limite, in errore. Un mondo plebeo (borghese), impersonato da Socrate e dalla piazza (l’Agorà), contro quel dominio aristocratico – il senso tragico del vivere il suo farsene carico ‘gioiosamente’, accettando l’ordine della natura-, raffigurato dalla rocca sovrastante la città (l’Acropoli). Questo secondo Nietzsche, grosso modo. All’opinione s’oppone il principio di verità, ai sensi la supremazia della ragione e ne consegue – inascoltato – come alla prima appartenga l’errore ma alla seconda la ben più grave e subdola menzogna…
Ancora e di seguito, sempre Joachim Fest annota: ‘Non si scrive a posteriori ciò che si è vissuto, ma ciò che il tempo, il crescente spostamento della prospettiva nonché la propria volontà plasmatrice ne hanno fatto nel caos di eventi semisepolti’. Così il passato diviene un arbitrio e la memoria uno strumento imperfetto e il presente, il presente (?)il luogo dell’assurdo dell’attesa del nulla… (Mi sorge una ideuzza, lampo tenue e incompleto nell’oscurità, perché non dare ad una raccolta di miei interventi il titolo di ‘Ereticamente, sono stato’?). Il tempo e le circostanze, come suggerisce il libro dell’Ecclesiaste, ed io, vittima e carnefice, fra loro e di me medesimo.
Un illusionista senza cilindro e coniglio, privo di agili dita e carte nella manica. Allora cosa posso raccontare e raccontarmi se non conosco il (non) senso del perché porto con me Cyrano e Don Chisciotte (esile stravolto disarcionato dai tratti apparenti forti e affrettati alla parete dello studio) e non chissà quale eroe tratto dagli innumerevoli fascicoli fumetti nella casa di Romagna (non ho mai citato Il Coyote, più moderno di Zorro, che strappava il lobo all’avversario con preciso colpo di pistola, ma anch’egli assetato di giustizia – bene contro male, deboli e prepotenti e ancora tante troppe eco di morale inutile e fiacca)? Non conosco da quali meandri partoriti dal cuore da oscure segrete dell’animo da moti imprevisti del corpo sono giunti ad alimentare la memoria e trasformare il passato in presente. Sono stato… o forse no.
Mi torna a mente uno dei racconti di Mishima Yukio, titolo La sigaretta, tratto dalla raccolta Atti di adorazione. Ne trassi citazione in Inquieto Novecento (2004), libro che ancora fa testo. ‘L’infanzia custodisce uno scrigno chiuso a chiave, l’adolescente cerca di aprirlo con tutti i mezzi a sua disposizione. Vi riesce: all’interno non vi è nulla’. (Commentavo come ‘la trama appena un abbozzo, al confine della vaghezza, ma qui consiste la grandezza di Mishima scrittore. La grandezza cioè di costruire – impresa ardua e ardita – sulla sabbia e non tanto sulla roccia. E grandezza in quanto, nell’apparente minimalismo della proposta, il velo sembra strapparsi più facilmente e, se qualcosa va preservato, esso si esprime nell’immediata insignificanza’.
Certo il destino inquieto e inquietante, il riscatto nel rito antico del seppuku, di cui fu voce autorevole lo scrittore giapponese investe la visione della nientità – che non si può confondere con il ‘nichilismo’ dell’Occidente, la frantumazione dell’io… Joachim Fest affonda se stesso le certezze il proprio vissuto e il rigore della ricerca in quelle solide basi razionali, forse un po’ pedanti (tipiche del carattere tedesco, puntiglioso e ostinato, nello studio come nelle armi), di cui la storia sembra necessitare per non darsi vinta all’irrompere del Chaos. Eppure esso è lì, sempre in agguato… ‘Il passato è sempre un museo immaginario’.
Già in ciò balena nella notte qualche ‘stella danzante’, si proietta ombra fra le ombre sulla parete della mia stanza. Ecco, ora scivola fra i piccoli quadri dai colori vivaci oro e rosso ove il torero, solitario eroe, si batte contro il nero toro, anch’egli solitario. Ed ora, percorrendo le coste dei libri allineati, balza agile a rendere omaggio a Salvatore in divisa da legionario, il fucile mitragliatore sulla spalla, in terra d’Africa, prima che, nella sua stanzetta della caserma di Nizza, s’è detto che il confine vita-morte andava liberamente scavalcato. Immagini vive o solo immaginario del mio passato di questo inutile presente di un futuro ogni giorno più vile? E, infine, s’adagia sul cuscino – un ghigno o un sorriso, non so – per avvolgermi nel sonno difficile e incerto dove mi chiedo, mentre si fa pesante il ciglio e il respiro se sono stato, ereticamente… e se mi è concesso del ‘mio’ passato diritto capacità possesso di ‘attingere’ (Sigmund Freud ne negava l’accesso) storie.