L’idea che le frontiere nazionali non debbano contare più nulla, perché “tutti i popoli sono uguali” insieme con i loro valori etnici e nazionali e le loro religioni, oggi gode di grande favore presso le nostre élite pensanti, attaccate come cozze al “politically correct” e che si scagliano come un sol uomo contro le paure dei populisti, questi difensori degeneri degli antidiluviani confini nazionali. Come i buonisti li giudicano…
Oggi vi è una ricca fioritura di frasi condannanti le meschine paure che i populisti, eredi immagino delle teppaglie avvinazzate dei secoli bui, nutrono verso l’Altro, il Diverso, quintessenza invece di virtù: “Non è con i muri…”, “Dobbiamo vivere in una società aperta…”, “Siamo tutti esseri umani…”, “Il pianeta è la nostra patria…”.
L’obiezione principale che mi sentirei di fare a chi vuole innalzarsi sulle meschine paure dell’uomo, tenendo però ben chiusa la propria casa situata in genere in un quartiere cittadino elegante – luogo abituale di residenza degli uomini della sinistra italiana al caviale – è di spiegargli che l’essere umano è una realtà concreta e non un’astrazione. Prendiamo la paura della morte e delle infermità. Il fatto che le malattie ci saranno sempre e che tutti, prima o poi, dovremo morire resta una semplice considerazione filosofica e nulla più. Se io vado dal medico per un grave problema di salute, mi aspetto che il medico mi esamini e mi curi. Rimarrei quindi inorridito se lui, invece di esaminarmi, mi dicesse filosofico: “A che serve tutto questo? Prima o poi tutti dobbiamo morire…”
Immaginiamo anche che a una madre, che sta piangendo sul cadavere del proprio figlioletto, si dica: “Signora, smetta di piangere. Ogni giorno, nel mondo, muoiono migliaia di bambini…” Sono sicuro che una simile frase, improntata a distaccata saggezza, farebbe andare quella povera madre in escandescenze.
Anche in campo immigratorio, in Italia, invece di filosofeggiare dicendo “Siamo tutti migranti”, “Siamo tutti esseri umani”, “Stranieri e persone di altre fedi ci insegnano i valori che dimentichiamo”, come ci ripete il papa sudamericano, sarebbe molto utile invocare un po’ di ordine e di legalità. Sì, l’emigrazione è sempre esistita e sempre esisterà – e anche l’abusivismo, specie in Italia, è sempre esistito e sempre esisterà – ma gli italiani dovrebbero cercare almeno di non aggravare caos e illegalità, identificando chi approda in Italia e controllando i suoi antecedenti penali e smettendola di chiamare “rifugiato” chi è un semplice “richiedente asilo”. “Immigrato”, parimenti, è una qualifica che andrebbe riservata a chi è stato accettato dalle autorità come immigrato e non avventatamente concessa, come avviene, a chi non ha ancora messo piede nella nuova patria e si trova ancora in alto mare.
Il Canada è spesso additato come il paese che le autorità italiane dovrebbero prendere ad esempio per generosità e tolleranza nei confronti di immigrati e rifugiati. In realtà in Canada non si stabilisce chi vuole, e gli illegali sono rispediti al paese d’origine, mentre i delinquenti cronici farebbero bene a cercare di ottenere la cittadinanza canadese prima di iniziare la loro serie di misfatti. Abbiano infatti il caso, anche a Montréal, di immigrati italiani o di altra origine, mai naturalizzati, che sono stati espulsi dal Canada a causa delle loro attività criminali, anche dopo decenni trascorsi qui.
Il buonismo cronico non è molto diffuso nel paese dei grandi spazi. The “Rule of Law” non è una formula buona per gargarizzarsi come invece è troppo spesso “Lo Stato di diritto” in Italia, ma è una regola anche dura cui tutti noi, immigrati italo-canadesi, siamo stati e siamo ancora sottoposti. Regola che noi speriamo continui anche per i richiedenti asilo – e non sono pochi – che stanno premendo attualmente alle frontiere della nostra patria di adozione.
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