Domenica 31 luglio 2016 in molte chiese della Francia è stata tenuta una commemorazione di Padre Jacques, il religioso sgozzato da due terroristi islamici davanti all’altare della sua chiesa mentre diceva messa. La Conferenza Episcopale francese aveva invitato i mussulmani presenti in Francia a partecipare all’evento, e pare abbiano aderito alcune decine di migliaia di essi. In Italia in contemporanea si è tenuta una commemorazione analoga con un analogo invito da parte della CEI agli islamici ormai insediati nella nostra Penisola, e pare abbiano aderito in 20.000. Come era logico aspettarsi, il sistema mediatico ha dato la massima rilevanza possibile all’evento.
Prima di entrare in un esame di questo fatto e di ciò che esso realmente implichi, vorrei premettere una piccola considerazione: se il compito “istituzionale” dei media di regime con cui abbiamo quotidianamente a che fare non fosse quello di ammannirci delle totali falsità propagandistiche, sarebbe giusto insistere perché la smettessero una buona volta di chiamare “kamikaze” i terroristi islamici. Questa è un’offesa gravissima e vergognosa agli autentici kamikaze giapponesi della seconda guerra mondiale. Questi ultimi erano combattenti in divisa che facevano parte di una forza armata regolare in una situazione di guerra dichiarata e agivano contro obiettivi militari.
I terroristi islamici, invece, colpiscono nel mucchio civili inermi, non indossano nessuna divisa, non appartengono a nessuna forza armata regolare, agiscono in tempo “di pace” e, almeno a mio personale parere, il fatto di essere pronti “al martirio” in nome delle loro farneticazioni ideologico-religiose, non nobilita né loro né la loro causa.
Torniamo alla cerimonia (o messinscena) di domenica 31 luglio. E’ chiarissimo il messaggio che si è voluto far passare: l’islam moderato, quello che depreca le violenze dei fanatici jihadisti esiste davvero, in se stessa la religione del Profeta è una religione pacifica come lo è il cristianesimo, è giusto andare sempre di più verso l’abbraccio interconfessionale nello spirito ecumenico, eccetera, eccetera; tutte le sciocchezze cloroformizzanti che i media asserviti al potere mondialista non cessano di propinarci.
Proviamo a fare semplicemente un po’ di conti: in Italia gli immigrati extracomunitari sono ormai 7 milioni, di cui il 60% sono di religione mussulmana, quindi all’incirca 4 milioni di persone. 20.000 a fronte di 4 milioni sono ben poca, pochissima cosa. In Francia, dove la presenza islamica è più estesa e radicata, i rapporti numerici sono ancora peggiori. In questo caso, contrariamente al noto detto, si è fatto in maniera che l’albero che cresce facesse molto più rumore mediatico della foresta che cade.
Sulla sincerità di questi stessi islamici moderati, poi è più che legittimo esprimere dubbi, dato che è il corano stesso a prescrivere ai seguaci del Profeta l’inganno degli “infedeli” quando non ci si trovi in una posizione di superiorità.
In tutta sincerità, io non credo che tutti gli islamici siano pazzi, violenti, potenziali terroristi, ma la situazione, mutatis mutandis, fatte le debite proporzioni, è analoga al rapporto che esiste fra la violenza negli stadi e il tifo calcistico. Non tutti, anzi certamente solo una minoranza di tifosi sarebbe pronta a uccidere un tifoso di una squadra avversaria, ma è innegabile che esiste una continuità che va dall’aggressione verbale, alla prontezza a menare le mani, fino ai comportamenti più violenti e omicidi, e non c’è dubbio che per l’islam è la stessa cosa: gli jihadisti più violenti e fanatici pronti “al martirio” in nome di Allah pur di fare strage di “infedeli” saranno una minoranza, ma di certo è una minoranza tutt’altro che isolata.
Né le cose potrebbero stare diversamente, poiché l’islam E’ fuori di ogni dubbio una religione onnipervasiva, intollerante e fanatica che invita i suoi fedeli alla violenza contro gli “infedeli”, e il corano è chiarissimo a tale proposito. Questa è la verità pura e semplice che il potere mondialista non vuole che si sappia. Benedetto XVI fece l’errore di ricordarlo nella lectio magistralis di Regensburg, e questo gli costò il pontificato, fu costretto ad abdicare per essere sostituito con un malleabile burattino prono ai voleri del potere mondialista.
Il reale significato dell’auto-definizione dell’islam come “religione della pace” va capito per ciò che vuol dire realmente. Gli islamici considerano il mondo diviso in due parti, il Dar al Islam, cioè la parte del mondo sottomessa (“islam” significa appunto “sottomissione”) al verbo del Profeta, e quella che non lo è, il Dar al Harb, “la casa della guerra”, ossia quella a cui va portata guerra per imporle la conversione. La pace che l’islam intende apportare al mondo è, fuori dai denti, la pace dei cimiteri per coloro che non intendono sottomettersi alla dottrina del Profeta.
Quante volte abbiamo sentito dire da personaggi come Alfano o la Boldrini che l’immigrazione non c’entra nulla con il terrorismo? Il fatto stesso che lo dicano certi individui, dovrebbe essere sufficiente a convincerci che si tratta di una smaccata falsità. Al contrario, l’immigrazione, le cellule di non-Europa insediate come un cancro sul suolo del nostro continente, sono per il terrorismo jihadista come l’acqua per il pesce.
Un punto al quale mi pare sia il caso di ribattere con forza, è l’abietto giustificazionismo che troviamo negli islamofili di ogni specie, talvolta persino in ambienti “nostri” secondo cui “Anche noi cristiani” avremmo le nostre colpe. Costoro citano regolarmente le crociate, l’inquisizione, il colonialismo, l’aggressione sionista con supporto USA contro i Palestinesi.
Questioni molto diverse, accatastate le une sulle altre per confondere le idee e creare un “effetto alone”.
Le crociate, ci si dimentica di dire o si finge di non vedere, furono, esattamente come la reconquista della Penisola iberica, una momentanea controffensiva dell’Europa posta temporalmente a cavallo tra due grandi offensive islamiche contro l’Europa, quella arabo-saracena del periodo califfale e quella turca ottomana. La verità è che l’Europa ha ricostruito la sua identità dopo i secoli bui seguiti alla caduta dell’impero romano nella lotta per difendersi dall’islam.
Il discorso sul colonialismo è in un certo senso analogo. Quello che i nemici – soprattutto interni – dell’Europa considerano il peccato dei peccati per paralizzarci col senso di colpa, probabilmente ha dato ai popoli extraeuropei più di quanto ha tolto loro, li ha portati nell’età moderna, spesso direttamente dalla preistoria. Al momento di concedere loro l’indipendenza, gli Europei hanno lasciato i Paesi coloniali nelle migliori condizioni possibile, con classi dirigenti formate nelle loro università, eccellenti costituzioni e istituzioni, moderne infrastrutture: scuole, ospedali, strade, urbanistica, industrie.
Tutto questo è stato vanificato in pochissimo tempo, e il motivo per cui non se ne vuole parlare, per cui la democrazia impone una democratica censura su questi argomenti, non è solo l’esigenza di generare in noi un senso di colpa ingiustificato, ma anche il fatto che forse quel che è successo in particolare in Africa dopo l’indipendenza è la dimostrazione più lampante del fatto che una cultura importata non può sopravvivere senza una precisa sostanza umana che la supporti, in altre parole non solo che le razze esistono, ma il loro significato va ben oltre il colore della pelle.
L’inquisizione e la controriforma sono state un “affare interno” dell’Europa che non ha minimamente riguardato i Paesi islamici. Certo, il cristianesimo ai suoi tempi d’oro è stato non meno brutale dell’islam, ma lo è stato prima di tutto contro gli europei, così come era avvenuto con la cristianizzazione dell’Europa un millennio prima attuato perlopiù con “sermoni” pacifici come le stragi carolinge di Sassoni e prima ancora con la distruzione dei templi e la messa a morte dei cosiddetti pagani, spesso fra atroci torture (si veda il sanguinoso calvario imposto alla sfortunata Ipazia), ma questo non ci conferma altro che il fatto che il cristianesimo è qualcosa di posticcio, estraneo alla cultura europea, imposto all’Europa con la forza, che partecipa dalla stessa mentalità abramitica dell’islam e come questo nei suoi tempi d’oro mirante alla conversione forzata, perché esce dalla stessa matrice mediorientale da cui l’islam è nato. Ben altra cosa erano i culti nativi europei (il cosiddetto paganesimo) in fatto di rispetto e tolleranza per le altre religioni.
Altra e ben più attuale questione è l’aggressione sionista supportata dagli USA contro il popolo palestinese e gli altri popoli del Medio Oriente che si oppongono all’imperialismo USraeliano, ma qui l’Europa non ha altro ruolo che quello di comparsa, con le nazioni che la compongono costrette al ruolo di zuavi, trascinate da coloro che l’hanno sconfitta e la dominano da settant’anni. Tuttavia si tratta di una questione legata solo molto lontanamente al terrorismo jihadista, che ha piuttosto il ruolo di attestare la superiorità dei nuovi venuti sui nativi europei nel continente che un tempo era loro. E’ un fatto innegabile che né Al Qaeda né l’ISIS hanno mai mosso un dito contro Israele, anzi vi sono parecchi motivi per sospettare piuttosto delle complicità sottobanco.
Nei piani del potere mondialista verso l’Europa, il terrorismo islamico è probabilmente uno sgradevole effetto collaterale di una sostituzione etnica che si vorrebbe quanto più possibile silenziosa e “indolore”. La vera minaccia per i popoli europei, tuttavia, non è rappresentata dal terrorismo, ma dall’immigrazione stessa che rischia di cancellarli come etnie per sostituirli con una turba meticcia di origine allogena.
Il potere mondialista vuole realizzare un universale meticciato, la sparizione di culture, popoli ed etnie perché entità nazionali coese potrebbero opporre resistenza all’illimitato dominio del grande capitale: la creazione di una società ibrida a livello mondiale procede di pari passo con la confisca delle ricchezze dei popoli attraverso “crisi” economiche programmate e l’arretramento dello stato sociale, delle conquiste e dei diritti guadagnati dalle classi lavoratrici nell’arco di due secoli, è quello che si chiama piano Kalergi, e prefigura una futura società di possidenti (pochissimi) e schiavi (la stragrande parte dell’umanità).
Tutto questo, i partiti di sinistra che hanno cominciato ad allontanarsi dalle classi lavoratrici dal 1917 quando hanno gabellato per “il socialismo realizzato” una delle più atroci tirannidi autocratiche della storia, e che con il 1968 hanno arruolato nelle loro file un gran numero di esponenti dell’alta borghesia, non l’hanno capito o fanno finta di non capirlo, e scambiano o fanno finta di scambiare gli esiti del piano Kalergi per il loro antico sogno cosmopolita. Tutti i movimenti identitari e anti-immigrazione sono da loro automaticamente etichettati e avversati come movimenti “di destra” e “fascisti”, non essendo parte della soluzione, sono una parte, e sciaguratamente una parte non piccola, del problema.
Delle Chiese cristiane, non metterebbe neppure conto parlare: oggi chiaramente puntano sull’immigrazione per avere un nuovo “gregge” alternativo a un’Europa sempre più scettica e secolarizzata, ma soprattutto oggi emerge in maniera netta tutto l’antico fondo anti-europeo di questa religione estranea di origine mediorientale.
Che i preti vadano a pregare nelle moschee e gli imam nelle chiese, oppure che questo non succeda, che un 40% degli immigrati non sia islamico e che molti di loro siano cristiani, non cambia minimamente le cose. Il conflitto non è religioso, è etnico. Che il cristianesimo si condanni a morte da solo favorendo l’islamizzazione del nostro continente, potrebbe anche non interessarci. Quello che ci interessa non è il destino di una religione che ci è sostanzialmente estranea, ma la sopravvivenza delle genti europee, della nostra gente.
La questione ci interessa nella misura in cui l’islamizzazione è l’indice più visibile, “la bandiera” potremmo dire, della sostituzione etnica. Io credo che: o l’Europa riuscirà a riscoprire le sue VERE RADICI nella spiritualità pre-cristiana, la sua eredità ellenica, romana, celtica e germanica, il senso forte della propria identità e si impegnerà a cacciare gli invasori dal nostro suolo, o finirà stravolta etnicamente e islamizzata ma, qualsiasi delle due alternative si verifichi, la dottrina del Discorso della Montagna è comunque condannata a una fine ingloriosa e meritata a una scadenza di tempo non lunghissima.
Il potere mondialista sembra quasi onnipotente ma non è onnisciente, ha probabilmente sottovalutato la difficoltà di integrare gli immigrati allogeni non nella cultura europea (cosa certamente fuori questione) ma nella cultura globalizzata che, mediante il sistema mediatico, si sta cercando di sostituire a essa, e l’attaccamento che costoro hanno alla loro cultura d’origine, anche (e soprattutto) là dove questa è in conflitto con quella europea; si veda ad esempio la scarsissima considerazione delle donne che ha ad esempio quella indiana, ancora peggio di quella islamica, al punto che una vedova è vista solo come un oggetto da bruciare sulla pira funebre del marito, od oggi in mancanza di ciò, condannata a una vita da reclusa e sepolta viva (e si tratta spesso di giovani donne sposate ancora bambine a uomini molto più anziani di loro).
Quelle che l’immigrazione ha generato, sono spesso identità di ghetto, con comunità di allogeni che non hanno alcun desiderio di integrarsi nella cultura dei nativi, fortemente ostili a essi, e ricettacolo per i germi del fondamentalismo e del terrorismo.
Alcuni anni fa, nel 2009 a “Scienceplusfiction”, il festival del film di fantascienza triestino, dove spesso compaiono pellicole che non vanno nel grande circuito di distribuzione, fu presentato Banlieue 13, un film opera prima di Patrick Alessandrin, un allievo di Luc Besson, di cui lo stesso Besson figura come produttore e sceneggiatore.
Questa pellicola fantapolitica è un vero (e ignobile) panegirico a favore dell’immigrazione, infatti sono proprio gli immigrati di una banlieue, i ghetti di extracomunitari della periferia parigina, che scoprono e sventano un colpo di stato “fascista” (intendiamoci bene, chi vuole riportare la legge e l’ordine è sempre un “fascista”).
Eppure, anche in questo film di squallido panegirico pro-immigrati, la verità scappa fuori dai denti a dispetto delle intenzioni coscienti dell’autore. Mentre il poliziotto protagonista della vicenda indaga su alcuni delitti avvenuti nella banlieue si sente dire:
“Amico, tu hai la pelle troppo bianca per farti vedere da queste parti!”
Capite quello che significa? Non siamo né in Algeria né nell’Africa equatoriale, ma alla periferia di Parigi. Ci sono luoghi in Europa dove un europeo non deve avere l’ardire di farsi vedere, che sono diventati non-Europa, spazio vitale che ci è stato sottratto, e questi luoghi, man mano che ci si riversa addosso l’ondata fangosa dell’immigrazione, sono destinati a diventare sempre più estesi, serbatoi di non-Europa, di degrado, di malattie, di estraneità alla nostra cultura, e certamente anche di terrorismo.
L’unico lato positivo della faccenda è che da questo punto di vista il potere mondialista ha verosimilmente sbagliato i calcoli, nel senso che l’invasione extracomunitaria e la sostituzione etnica non si stanno attuando in modo così silenzioso e “indolore” come era stato preventivato, ma stanno provocando negli europei nativi sempre maggiori resistenze.
E’ nella ribellione a questo sistema falsamente democratico la nostra speranza di avere un futuro.
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