E’ morto all’età di settant’anni, il dottor Francesco Pitzus, Franco per gli intimi, editore e factotum della Effepi Edizioni. Il male non ha avuto pietà e, nonostante le cure, Franco non c’è più. Quando muore un amico, si affollano i ricordi, si vorrebbe dire qualcosa di importante. Si desidera che il ricordo scritto – lui, da uomo di scrittura e di stampa- direbbe “il coccodrillo”, sia bello, elegante, dia conto di una vita intera.
Impossibile. Vincono le emozioni, come è giusto e umano. Perché Francesco Pitzus non era solo un editore impavido davanti a ogni sfida, un uomo libero, un colto, sapiente artigiano della parola scritta perfino dalla sua camera d’ospedale. Era innanzitutto un signore d’altri tempi. Alto, abbronzato, dalla figura simile a un moschettiere, stava una spanna sopra gli altri. Per cultura, classe, intuito, capacità di consigliare, coraggio nel mestiere di editore, che era in lui soprattutto vocazione di animatore culturale.
In giovinezza era stato militante delle organizzazioni studentesche del MSI, poi aveva iniziato la carriera nel campo editoriale, raggiungendo una posizione di grande rilievo presso l’editore Mursia. A cinquant’anni, nel momento di cogliere i frutti di anni di lavoro, dovette ricominciare daccapo. Si inventò editore indipendente, di frontiera. Da allora ha permesso a decine di autori di uscire dal limbo, ha dato voce a una cultura alternativa ridotta al silenzio, ha riempito gli scaffali di libri sulfurei, di conoscenza, di storia- una delle sue passioni- di ricostruzioni puntuali e coraggiose.
Ha ridato vita e dignità, attraverso i libri, a personaggi ed eventi dimenticati o demonizzati. Chi scrive ha avuto da lui l’incoraggiamento a mettersi in gioco, consigli preziosi, fiducia e amicizia. Resteranno sempre nel cuore i pomeriggi nel suo ufficio- antro, un appartamento ingombro di carte, manoscritti, libri e riviste storiche nello stesso palazzo del quartiere di Sampierdarena, a Genova, dove viveva da sempre. Lunghe discussioni, digressioni culturali, storie di vita ma anche aneddoti e perfino barzellette. Sapienza unita a leggerezza, la classe un po’ svagata di chi rende facili le cose difficili senza prendersi troppo sul serio, i consigli dispensati con normalità, quasi senza farsene accorgere, la bravura artigiana di chi i libri li costruiva con le sue mani, impaginatore, grafico, correttore, editor, scopritore di talenti, tutto insieme in una persona sola.
Chi scrive deve molto a Franco, anzi al dottor Pitzus, poiché, nonostante l’amicizia e la lunga frequentazione continuavamo a darci del lei, come era normale nel passato anche tra persone legate da affinità, unite da una comune visione della vita e del mondo. Tre libri sono frutto della collaborazione con lui. Uno, in particolare, il Dizionario del Politicamente Corretto e della Neolingua, ci è stato praticamente commissionato, bonariamente imposto dal suo fiuto. Avevano discusso varie volte lungamente sul potere della parola e l’importanza del linguaggio: alla fine lanciò la proposta, tra il serio e lo scherzoso: perché non butta giù un vocabolarietto, qualcosa di leggero ma serio?
La malattia l’aveva stravolto nel corpo, ma non aveva domato l’animo forte, avventuroso. Sembrava scherzare sul male insidioso che l’aveva colpito. In questi casi si usa dire: speriamo che non abbia sofferto. Ma Franco Pitzus la morte deve averla guardata in faccia con uno sberleffo, magari le ha proposto di scrivere un libro su stessa. Se è così, lo pubblicherà il figlio Stefano, che ne seguirà le orme e non lascerà cadere il testimone. L’officina fumosa ingombra della contro cultura – cioè della vera cultura – resterà aperta, ne siamo certi. Lo merita Franco, lo merita chi gli ha dato una mano e ha ricevuto tanto. Che la terra le sia lieve, amico Pitzus. A Dio.
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