Ieri è ricorso il 101° anniversario dell’episodio del 21 luglio 1921, tragica circostanza che ben descrive il clima di guerra civile che stava divampando in Italia in quei drammatici anni del primo dopoguerra.
A distanza di oltre un secolo sarebbe opportuno e doveroso analizzare con maggiore obiettività quel periodo, lasciando da parte i tentativi, grotteschi, di strumentalizzazione politica che purtroppo continuano ad essere reiterati da una parte politica ben definita.
Personalmente ho in questi anni studiato ed approfondito quel periodo, basandomi sulla lettura di molti libri di diversa impostazione, ma soprattutto sulla lettura dei documenti dell’epoca.
Pertanto ho maturato questa opinione: lo squadrismo, sicuramente quello locale della provincia ligure-apuana, fu un fenomeno ascrivibile non ancora ad una precisa ideologia, la dottrina del fascismo sarà elaborata solo a partire dalla metà degli anni Venti da Gentile e da Mussolini, ma ad un esasperato nazionalismo, favorito dal sentimento di frustrazione che interessò la quasi totalità degli ex combattenti dopo i trattati di pace di Parigi, l’impresa fiumana e il clima antimilitarista ed antinazionale che si diffuse negli anni del “biennio rosso” ed ancora da un giustificato timore di vedere l’Italia scivolare verso una rivoluzione bolscevica.
Ad incentivare questo esasperato nazionalismo ci fu la colpevole politica dei socialisti e degli altri partiti estremi di sinistra che propagandarono tra le masse operaie e contadine il “mito” della rivoluzione sociale, che poi non furono in grado di realizzare, l’odio verso le istituzioni monarchiche ed il disprezzo per il sacrificio profuso da milioni di giovani nelle trincee della prima guerra mondiale, mentre esaltarono personaggi, come l’on. Misiano, che era stato un renitente alla leva e difesero i disertori, chiedendone l’amnistia.
Basterebbe leggere il libro di Mimmo Franzinelli, “Squadristi”, per rendersi conto come i principali esponenti dello squadrismo furono ex combattenti, spesso ufficiali e sottufficiali di complemento, che si coprirono di gloria durante la guerra, decorati per questo con le varie medaglie al valore previste.
Anche la spedizione fascista su Sarzana fu guidata da ex combattenti: Amerigo Dumini, medaglia d’argento al V.M., il capitano Bruno Santini, ex ardito, capo del fascismo pisano, il capitano Rizieri Lombardini, mutilato e decorato di guerra, che risulterà tra le numerose vittime.
Lo stesso Renato Ricci, capo del fascismo carrarese, era stato volontario di guerra, tenente dei bersaglieri e poi legionario fiumano con D’Annunzio.
Il resto degli squadristi era composto da giovani, spesso appartenenti alle classi proletarie, come dimostra l’analisi dei partecipanti alla spedizione in Lunigiana guidata da Ricci il 17 luglio 1921, molti dei quali ancora studenti, esaltati dalle imprese di guerra dei più grandi e dai sentimenti nazionalisti che all’epoca la scuola italiana insegnava.
Per tutti costoro sapere che l’amministrazione comunale di Sarzana aveva ammainato il tricolore, sostituendolo con la bandiera rossa, aveva tolto i ritratti dei sovrani dalle pareti dell’aula consiliare, consentiva che gli esponenti della minoranza fossero quotidianamente intimoriti e minacciati, come testimoniano le dichiarazioni dell’avvocato Bedini ed i fatti che coinvolsero l’avvocato Revello, che asserragliato nella propria casa dai sovversivi, aveva dovuto usare il fucile da caccia per difendersi…, era inaccettabile e inconcepibile: una provocazione che andava rintuzzata in ogni modo.
Quindi la violenza, che ci fu senza alcun dubbio, non fu prerogativa dei soli fascisti, ma caratterizzò anche la sinistra: anarchici, comunisti e socialisti rivoluzionari. Infatti per tutti costoro era la prassi con la quale svolgere la lotta politica; questa pratica fu senz’altro acuita dall’esperienza bellica che forgiò in tal senso intere generazioni.
Questi i fatti, letti in maniera obiettiva; quindi attribuire agli squadristi del 1921 e 1922 ciò che sarebbe diventato in seguito il fascismo è un’operazione storicamente inaccettabile e poco onesta.
Ripeto, il fascismo del 1921 fu un movimento che aveva un programma, quello di piazza S. Sepolcro, molto eclettico: si andava infatti da istanze di matrice sindacalista rivoluzionaria (Corridoni), ad un acceso repubblicanesimo (Mazzini)…, ma il collante che tenne assieme tutte queste idealità fu un acceso nazionalismo che pretendeva di difendere il sacrificio di centinaia di migliaia di uomini che erano caduti nella Grande Guerra, vera ed unica conclusione del nostro Risorgimento nazionale, e voleva riconoscere agli ex combattenti quella gratitudine e valorizzazione che il Governo italiano, invece, nell’immediato dopoguerra non promosse.
Anche per questo basterebbe leggere il bel libro “Diario di uno squadrista toscano”, scritto da Mario Piazzesi, Bonacci editore, 1980 Roma.
Infine, si continua a spacciare la “resistenza” degli arditi del popolo come una lotta corale di tutta la popolazione sarzanese contro i fascisti, niente di più falso: la maggioranza della cittadinanza sarzanese non era di sentimenti antinazionali, lo dimostrano le amministrazioni precedenti a quella di A. Terzi, eletto nel 1920 con una percentuale di votanti pari al 41,6% degli aventi diritto e i risultati delle elezioni del 1924. Anche gli efferati episodi di violenza di cui si resero protagonisti alcuni contadini sarzanesi nei confronti dei giovani fascisti, devono essere ascritti ad una cinica propaganda sovversiva che aveva per mesi descritto i fascisti come perversi violentatori di donne e spregiudicati ladri… In verità non fu mai registrato alcun episodio di violenza su delle donne da parte degli squadristi negli anni 1919-1922.
La Spezia 22 luglio 2022
prof. Riccardo Borrini