25 Giugno 2024
Filosofia

In tempi di virus, il ritorno degli ottimisti hegeliani – Romina Barbarino

In tempi di contagio planetario si fa tanto dire di un apocalittico sovvertimento dello stato di cose, annunzio di un imminente “aut aut”, al quale non ci si potrà in alcun modo sottrarre. La scelta sembrerebbe ancora una volta fondata sull’imprescindibile dualismo ontologico al quale il destino umano pare essere da sempre votato. Questa volta tuttavia, il partito assunto sembra possa determinare la sopravvivenza del genere umano o la sua definitiva liquidazione. Insomma, per qualcuno, e forse anche più di qualcuno, siamo alla resa dei conti. Astensioni e indugi non saranno più ammessi. Del resto, in tempo di crisi, emergono determinazioni umane del tipo assolutistico, che non lasciano scampo ad incertezze, né tanto meno a prese di posizione “salvifiche” della medietà. Naturalmente siamo nell’ordine della contingenza e della caoticità, ove a chicchessia è consentito esporre il proprio verbo, qualsiasi esso sia, mosso all’insegna della più sofistica pseudo-dialettica, ove tesi ed antitesi si oppongono solo apparentemente, escludendo dal loro scontro l’elemento principale, ossia la molteplicità di voci, articolate in un’alternanza di “botta e risposta”, che consenta a ciascuno di dire e di ascoltare. Io (tesi) – l’Altro (antitesi), due voci che nella molteplicità e differenza partoriscono qualcosa di Nuovo (sintesi) e di più elevato dell’unità, pur conservandone la ricchezza. Una pletora di giornalisti, immolati alla profetizzazione di una rinnovata e mitica “Età dell’Oro”, scoprono nuove glorie e piaceri narcisistici di firme e ospitate televisive, cavalcando l’onda dell’ottimismo nell’Uomo Nuovo, che, imparata la lezione e illuminato da non si capisce bene quale nuovo spirito sovrumano, si volga verso la nuova Era. Ecologia ed economia sostenibili saranno i fondamenti di una rinnovata umanità. Tutto il resto, socialità, educazione, alimentazione e via così, le sovrastrutture conseguenti.

Orbene, mi pare di essere rimbalzata indietro di due secoli, quando imperava nell’Europa, culla della cultura universale, il pensiero hegeliano, il quale nella sua visione comprensiva della Realtà tutta, coincidente con l’Assoluto – Ragione, Spirito, Infinito – si faceva garante di un progresso inarrestabile e necessario della Storia umana, promuovendo quindi una visione ottimistica. La storia dell’uomo è storia dell’Assoluto, il quale si muove secondo Ragione e pertanto non può farlo che secondo una direzione volta al progresso, al miglioramento, all’avanzamento. E qualora ci si ponga seduti sulla sponda del fiume, riteneva Hegel, è possibile osservare lo scorrere della Storia umana e constatare come qualsiasi avvenimento sia stato funzionale al passaggio successivo: le lotte di un popolo alla sua autodeterminazione; le rivoluzioni all’affermazione di diritti; guerre e invasioni a rinnovati equilibri politici. Comprendere la Storia umana è conoscerla nella sua interezza e a posteriori, è lo sguardo sintetico di chi fa filosofia, come la “nottola di Minerva”, che al calar delle tenebre veglia l’intero giorno trascorso.

E poi? Perché c’è un “poi” ed è quello che ha fatto sì che nel corso del XX secolo e sino alla nostra contemporaneità l’hegelismo sia stato messo da parte. Nel processo dialettico che pervade il divenire umano, Hegel ci insegna che è ammesso un andamento non lineare, ove anche il negativo svolge una funzione essenziale volta all’esito finale. Esso non è errore, ma passaggio necessario, se non addirittura fase pulsante del processo dialettico del divenire. Ecco allora che allo sguardo hegeliano “a posteriori” sulla Storia nella sua globalità totalizzante, che ingoia ogni peculiarità, ogni esperienza individualista, ogni esistenza singola, nullificandola, il negativo assume una funzione che risulta accettabile, poiché ha concorso al risultato finale razionale. Il filosofo della storia come avrebbe reagito agli avvenimenti del ‘900, quali i due conflitti mondiali, le grandi crisi economiche, la shoah, i terremoti, la fame, le malattie e così via, non lo sapremo mai. Poiché se tutto è razionale, va da sé che  tutto è necessario, e dunque tutto accade poiché gli è dovuto che accada. E se potessimo conoscerne la risposta, cosa ne direbbero filosofi quali Shopenauer, per cui il dolore e la sofferenza certo non potrebbero minimizzarsi come una manifestazione necessaria della Ragione in divenire, o Kierkegaard, per il quale anche l’esistenza di un singolo uomo vale quanto il valore dell’umanità tutta.
Mi domando dunque come possa un evento negativo, quale l’attuale pandemia, aver una portata tale da scatenare una reviviscenza di atteggiamenti hegeliani, volti al recupero del “negativo” quale travaglio necessario per una società migliore.

Quale lezione potrà mai imparare un uomo da una pandemia, quando lo stesso Uomo è sopravvissuto a ben altro?! Anche Hegel avrebbe comunque concordato su un punto: la vera razionalità, quella che dà una ragion d’essere alle cose, siano esse la giustizia, la solidarietà, l’equità, non sono ideali ai quali tendere, ma Idee, e in quanto tali mosse da Ragione, che devono necessariamente prima o dopo realizzarsi, altrimenti semplicemente non sono. Si tratta di capire, e non è una cosa semplice, se l’Uomo voglia riconciliarsi con la Realtà o rimanere nello stato larvatico di non scelta aspettando la propria fine.

Romina Barbarino

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