Eterno reiterato l’8 settembre, il giorno del tradimento, il giorno in cui tutto assume il colore grigio della vergogna. Ieri con un re fellone in fuga verso i vincitori a cercare riparo. E il maresciallo Badoglio, tremebondo. Ancor prima gli ammiragli a fornire la rotta delle nostre navi perché andassero a fondo con il loro carico di giovani vite e di rifornimenti. Uno dieci cento Maramaldo ad accompagnare la nostra storia. Oggi ci si accontenta, sulla scia sporca e sciatta del professor Renzo De Felice, di distinguere il Fascismo, in fondo bonario e patetico, dal Nazismo, demoniaco e feroce. Finendo per assumere il ghigno orrido dei Fiano delle Boldrini. Indecenti e servili. Fare storia ed essere storia non sono la medesima cosa. Questione di buongusto se troppo è il termine ‘stile’… Da parte mia ho solo qualche immagine, degli incontri, pallida idea che, quando si ama e si crede, s’è fianco a fianco non chiedendo distinzioni ragioni o torti. S’è fianco a fianco e tanto basta.
Ho trascorso tanta parte dell’infanzia e dell’adolescenza lungo il litorale adriatico, a pochi chilometri da Rimini. Sovente ci arrivavo in bicicletta, fino al porto o a visitare il Tempio Malatestiano. Mi affascinava per il suo stile sobrio robusto che m’ispirava sicurezza e, al contempo, arditi voli dello spirito inquieto. Prima di trovare nella cappella dedicata a Ixotta, la donna amata da Sigismondo, l’iscrizione ‘Tempus loquendi, tempus tacendi’, tanto cara al poeta Ezra Pound. E il ‘sapore di mare’ (per un’estate intera il jukebox fu inflazionato dalla canzone di Gino Paoli) sulla pelle i tuffi a testa in giù dal trampolino i castelli di sabbia le stelle marine le cozze staccate a grappolo dagli scogli del promontorio di Gabicce. E poi il primo bacio a labbra strette la mano timida e inesperta eppur avida a cercare, per dirla con L-F Céline, ‘fra le gambe delle donne il segreto del mondo’…
La mia prima camicia nera, frutto della tintoria su una bianca, con cui incosciente mi recai a rendere omaggio – era la prima volta, a quindici anni – alla tomba del Duce. Sbeffeggiato bonariamente da alcuni ‘vecchietti’ in piazza Aurelio Saffi a Forlì, a cui m’ero rivolto per sapere dove prendere la corriera per Predappio. E le botte a Torre Pedrera (i miei primi scontri) con i ‘rossi’ decisi ad impedire un convegno organizzato dall’on. Pino Romualdi. I camerati, miei coetanei, con cui condividere sogni di ardite azioni e le ragazze tedesche in cerca di sole pizza amore. Pur se ‘T was only a flirt’, gli ultimi versi scritti da Cesare Pavese… ‘Camerata Richard, benvenuto! – Dammi il sacco, si scivola, bada – il nemico è al di là della strada… – Parla piano: già t’hanno veduto’. Veramente non ricordo più il nome. Era tedesco, mi sembra fosse di Bamberga, alto robusto gli occhi chiari i capelli cortissimi e grigi, cortese nei modi attento nel gesto con un italiano raffinato e ricco di citazioni classiche. Dante il suo punto di riferimento. Era vicino di tenda la sdraia e il mare a pochi passi. Curioso sono sempre stato. M’impicciavo, già allora, con le prime espressioni di una lingua ostica dura e affascinante, diventata familiare insieme alla sua cultura (Nietzsche docet) e storia (le notti magiche di Norimberga). Si faceva conversazione ed io, forse indiscreto, gli chiesi come avesse perduto la mano sinistra e parte dell’avambraccio.
‘Im Krieg…’. Sul fronte russo, lungo la riva del fiume Don. Una mina. Esplosa, pur se attutita dalla coltre spessa di neve, mentre tentava di disinnescarla. Era ufficiale del genio. Una vampata, un bruciore intenso, la carne lacerata, il sangue. L’ospedaletto da campo, le prime medicazioni, il rientro in Germania, la protesi con cui armeggiava e, nella fame disperata di uomini da inviare a combattere, spedito, nell’autunno del ’43, in Italia, a comandare un plotone di guastatori – ‘della tua età’ – prima nei pres-si di Firenze – ‘a respirare l’aria del divino Dante’ -, poi in Romagna.
A Rimini, appunto. La città, con 396 incursioni aeree e navali, la più bombardata. Fra cui lo stesso Tempio Malatestiano che indusse Pound a scrivere uno dei due Cantos direttamente in italiano. (Titolo: Cavalcanti, dove si narra di ‘una contadinella – un po’ tozza ma bella’ che porta su un campo minato dei soldati canadesi persi fra le macerie della città e con essi saltare in aria. ‘Ma che ragazza! – che ragazze, – che ragazzi, – portan’ il nero!’). Secondo le stime oltre l’80% degli edifici furono distrutti o danneggiati. Fra il 25 agosto e la fine di settembre del ’44 furiosi combattimenti ebbero luogo nell’entroterra, in particolar modo intorno al paesino di Coriano, tra i soldati tedeschi del generale Traugott Herr – l’aveva incontrato una volta, mi disse – e le truppe dell’VIII Armata, composta da inglesi canadesi indiani e greci. Poi il 16 agosto, in piazza Giulio Cesare, ribattezzata piazza Tre Martiri, l’episodio più noto e feroce. Tre giovani partigiani, dietro la spiata di un barbiere, furono catturati mentre si nascondevano nell’Ospedalino Infantile di via Ducale, e impiccati. Su questo accadimento non volle mai entrare (si sussurrava come fossero sciacalli a rovistare tra le macerie!), se non ricordando d’aver visto i corpi esposti in piazza.
Mi raccontò, al contrario, dell’ordine ricevuto di far saltare tutti i ponti per rallentare l’entrata degli alleati in una città spettrale e ormai con le truppe germaniche in ritirata. Furono collocate cariche anche sotto l’antico ponte romano, noto come ponte di Tiberio, ma l’esplosione lo sollevò senza farlo crollare – ‘Roma aeterna’, sorrise ci-tando Tibullo (io rimango convinto che non fu tanto la dea Fortuna ad intervenire, ma la sua sola mano a compiere il miracolo) -. Così il 22 settembre gli alleati vi poterono transitare con le colonne di automezzi e carri armati. Ultima annotazione: da uomini della Resistenza gli alleati erano stati avvertiti dell’evacuazione dei tedeschi, ma diffidando per altri due giorni avevano bombardato Rimini. Ed anche questo la dice lunga sull’affidabilità della Liberazione e dintorni…
La Germania mi venne incontro, dunque, con i volti sorridenti la carnagione chiara i capelli biondi e castani le serate al dancing Vallechiara o il più economico La Baita (il primo con l’orchestrina; il secondo con un anonimo jukebox) a contemplare il cielo stellato e i corpi a scoprirsi con il linguaggio muto in baci e carezze. Con gli anni a venire i viaggi in autostop a fare pacchi al Kaufhof di Francoforte la birra i monumenti i musei – Il Cavaliere, la Morte e il Diavolo del Duerer o, a Berlino, dove acquistai la riproduzione de L’isola dei morti di Arnold Boecklin, il quadro preferito da Hitler – la musica di Wagner e la filosofia. Lei, oltre la sua morte e la mia vita, in primo luogo. E quel ‘Camerata Richard … chi divide pane e morte, – non si scioglie sulla terra’, con cui condivisi il verde cupo del mare Adriatico e i racconti di guerra, e tutti coloro che divisero un tratto del mio cammino nel tempo e per i sentieri della ‘nostra’ Europa.
Ecco perché, pur consapevole che vi furono difformità e divergenze (da professore di storia, pur se in pensione, non le posso disconoscere), ‘quella’ Germania è ancora presente nella mente e nel cuore. ‘Oggi tutta la terra si schianta, – ma noi due siamo un’anima sola’. Mi appartiene e la difendo. Contro i ciarlatani gli inetti i saccenti. In fondo, così, proteggo la mia giovinezza trasognata, sovente, amara, a volte, mia per sempre.
Dopo oltre mezzo secolo, più della metà di un’intera esistenza, testimoniare. Sì, magari con armi misere e spuntate, come vi fu un tempo eroico in cui uomini in camicia nera, uomini in feldgrau condivisero ‘pane e morte’, incuranti delle divergenze delle ostilità dei sospetti (che vi furono e pesarono) perché anteposero il sangue e l’onore e la fede e i sentimenti ad ogni tentazione critica ragionevoli dubbi alibi vili. Essere, incorruttibili, testimoni come, in questo presente volgare e scellerato, vi possono essere ancora coloro che sanno dire di no. Soli e pochi, forse inutili, ma certo fieri e, sì, anche felici…