Serpeggiano timori e incertezze a Londra, dove si pensa che la vittoria dello Scottish National Party di Alex Salmond alle elezioni di maggio possa celare scenari minacciosi per il Regno Unito.
La regina Elisabetta ha incontrato il primo ministro Cameron a Buckingham Palace per esprimergli la propria preoccupazione a seguito dell’affermazione elettorale dei nazionalisti scozzesi, che detengono ora la maggioranza nel Parlamento di Holyrood, a Edimburgo. Ella avrebbe chiesto al premier di consultare un esperto costituzionale qualora venisse indetto un referendum sull’indipendenza della Scozia e, se vincesse il sì, sul possibile smembramento del Regno. Nel qual caso, Elisabetta diventerebbe l’ultima sovrana del Regno di Gran Bretagna, nato dall’unione dell’Inghilterra con la Scozia nel 1707. Unione che ha implicato, tuttavia, una drammatica e poco conosciuta storia fatta di vessazioni e violenze perpetrate ai danni del popolo scozzese, persino sradicato delle sue radici cattoliche. Per approfondire il tema, abbiamo incontrato Paolo Gulisano, medico e al contempo saggista e scrittore, autore del libro “Il cardo e la croce. La Scozia: una storia di fede e di libertà” (ed. Il Cerchio, 1998).
Dottor Gulisano, l’ingerenza dell’Inghilterra nella Scozia ha origini lontane, risale all’invasione da parte del sovrano inglese Edoardo I nel 1296. Ritiene, tuttavia, che da quel triste evento sia scaturita una fierezza che consente ancora oggi alla popolazione scozzese di farsi ammirare per il proprio senso d’appartenenza e il proprio coraggio?
Scozia e Inghilterra nacquero come regni e come nazioni nel Medioevo, allorquando abili sovrani riuscirono a fondere i vari reami in cui era suddivisa l’isola di Britannia. In Scozia il processo andò a complimento nel IX secolo, grazie al Re Kenneth Mac Alpin, che unì i vari piccoli regni dei Gaeli e dei Pitti. Il regno di Scozia tuttavia aveva un potente e ambizioso nemico che mirava all’unificazione di tutta l’isola. Fu Edoardo I Plantageneto colui che cercò di realizzare concretamente questa aspirazione, muovendo un’autentica guerra di conquista. Ciò contribuì in realtà – in una sorta di eterogenesi dei fini – a dare una fortissima identità nazionale agli scozzesi, qualunque fosse il loro clan di appartenenza o l’origine etnica. La Scozia della fine del XIII secolo vedeva infatti la presenza di diverse componenti etniche: celtiche, vichinghe, sassoni, normanne, fiamminghe. Di fronte alla minaccia inglese essi si sentirono per la prima volta veramente un solo popolo. Nasceva il senso di essere nazione, fondata su una storia e su una fede. Anche per gli stessi inglesi l’antagonismo nei confronti della Scozia divenne una caratteristica importante della propria identità. Il Plantageneto venne sepolto nella Cattedrale di Westminster e sulla sua tomba vennero scolpite queste parole: Malleus Scotorum, il martello degli Scozzesi. Secoli dopo, l’inno nazionale God save the Queen venne scritto in funzione antiscozzese, contro il Principe Charles Edward Stuart e il suo tentativo, avvenuto nel 1745, di riprendersi il Regno. Ciò che il Plantageneto scatenò venne descritto dallo scrittore inglese G.K.Chesterton nella sua A Short History of England: “La Scozia resistette, e le avventure di un cavaliere di nome William Wallace ben presto dovevano dotare questa forza di certe leggende che sono molto più importanti della stessa storia. (…) Edoardo fu il martello degli scozzesi, non perché li schiacciò, ma perché li fece. In effetti, egli li percosse sull’incudine e li forgiò a guisa di spada.”
Dopo estenuanti battaglie, finalmente nel 1306 la Scozia conquista la propria indipendenza e incorona re Roberto I, iniziatore della dinastia degli Stuart. Ciò non serve però a smorzare le ambizioni inglesi su quella terra, che nel 1314 viene nuovamente invasa. Cosa accade in quest’occasione?
Con la Battaglia di Bannockburn, avvenuta il 23 giugno del 1314, gli scozzesi ottennero la libertà, sconfiggendo un immenso esercito inglese di 100.000 uomini, deciso a schiacciare definitivamente la ribellione scozzese. L’esercito radunato da Robert Bruce era di gran lunga inferiore per numero di uomini e per equipaggiamento, ma la determinazione, il coraggio, la fede ardente fecero sì che le sorti della battaglia – e così della guerra – si volgessero a favore di re Robert.
Sei anni dopo la vittoria di Bannockburn di cui ci ha parlato, nel 1320 i capi dei clan di Scozia si riuniscono al fine di svolgere un’importante e significativa mossa diplomatica; non è vero?
Trascorsi sei anni da Bannockburn, e con la minaccia inglese sempre alle porte, quello che si desiderava ora era sancire, davanti a Dio e agli uomini, il diritto della Scozia ad esistere liberamente nel consesso delle nazioni. Per ottenere questo, scrissero una lunga lettera al Vicario di Cristo, il Papa, esponendo le ragioni delle proprie richieste, chiedendo che fossero da lui legittimate. Questa lettera, nota come La Dichiarazione di Arbroath, è un commovente manifesto dello spirito indomitamente teso alla libertà degli scozzesi, e rimane anche come una significativa testimonianza e una conferma di quanto Chesterton affermava riguardo alle leggende che possono diventare più importanti della stessa storia. “In verità non è per la gloria, non per le ricchezze, non per gli onori che noi combattiamo, ma per la libertà… per quella sola, a cui nessun uomo retto rinuncerebbe, anche a prezzo della vita stessa.” Queste le parole della Dichiarazione, che il Papa approvò.
Ci parli, appunto, del profondo legame tra gli Scozzesi e la Chiesa di Roma, da molti ignorato sebbene si tratti invece di un elemento fondante della cultura di quel popolo…
Nella Dichiarazione di Arbroath gli scozzesi fecero ben di più che dichiarare la propria indipendenza: sottoposero al Vicario di Cristo le proprie istanze e le proprie speranze, facendo consistere il proprio diritto a vivere come uomini liberi unicamente nel proprio retaggio di cristiani. Nel Medioevo alla Scozia venne attribuito dalla Chiesa il titolo di Specialis Filia Romanae Ecclesiae , di cui gli Scozzesi andavano fieri. La religione cattolica concorse fortemente a forgiare l’identità della nazione, a partire dalla stessa bandiera nazionale, la Croce di Sant’Andrea, il patrono di Scozia.
Per quali motivi ritiene che la civiltà scozzese medievale sia stata travolta dalla Riforma Protestante?
I sogni dell’utopia in grado di generare mostri cominciano quindi un po’ prima dell’ora fatidica della Rivoluzione Francese: affondano nel terreno viziato del cosiddetto Rinascimemto e della Riforma. L’aggressione in Scozia venne quindi portata direttamente contro l’esistenza stessa del cattolicesimo: dal calvinismo feroce del predicatore John Knox al progetto di “repubblica utopica” di Oliver Cromwell, il sangue dei martiri prese a scorrere per il paese mentre un intero patrimonio culturale venne devastato e distrutto. Essere patriota aveva sempre significato, per la Chiesa in Scozia, avere a cuore il bene comune della Nazione, la sua crescita morale e spirituale. Come spiegarsi questa catastrofe rapida e pressoché completa? In pochi anni la Riforma era penetrata in Scozia e aveva assunto il volto violento, iconoclasta e sterminatore del calvinismo di Knox. Il governo inglese aveva ospitato e in seguito sovvenzionato quest’uomo animato da un utopismo rancoroso, che aspirava a realizzare una comunità di perfetti, che adorava il Libro della Parola e detestava ferocemente ogni manifestazione dell’Incarnazione di Dio, a cominciare dall’Eucaristia, che incitava instancabilmente a profanare. Odiava la Messa, che riteneva “un rito superstizioso e blasfemo”; odiava ogni visibile realizzazione della carità. I suoi seguaci in pochi anni rasero al suolo tutti i monasteri e le più insigni chiese e cattedrali. Una civiltà fu ridotta in rovine.
Nel suo libro afferma che “è stata la Scozia a sperimentare per prima il significato del termine pulizia etnica”. Ci spieghi meglio…
Accadde negli ultimi decenni del ‘700, dopo la tragica conclusione dell’ultima insurrezione guidata dal Principe Charles Edward Stuart, il “Bonnie Prince Charlie” delle ballate. Le Highlands, che si erano sempre irriducibilmente opposte all’anglicizzazione e alla protestantizzazione, vennero quasi totalmente “ripulite” dei loro abitanti, che vennero deportati oltre oceano, negli Stati Uniti e, soprattutto, in Canada. Queste operazioni vennero definite dallo stesso governo inglese come “Clearances”, pulizie. Fu il primo esempio di pulizia etnica, volta ad eliminare la stessa presenza in un dato territorio della popolazione autoctona, caratterizzata dall’etnia celtica e dalla fede cattolica.
Lei sostiene che nel corso del XX secolo la presenza cattolica in Scozia è significativamente aumentata. Ritiene che ciò possa aver contribuito alle istanze di libertà che lo scorso 9 maggio hanno vissuto un importante passaggio storico con la vittoria elettorale dello Scottish National Party?
Per molto tempo i cattolici scozzesi, che nel corso del secolo passato sono aumentati di numero soprattutto grazie all’immigrazione degli irlandesi che venivano a Glasgow e dintorni per sfuggire alla miseria che affliggeva la loro terra, hanno dato il loro voto al Partito Laburista, attento alle istanze sociali dei meno abbienti. D’altra parte un patriota scozzese ben difficilmente potrebbe sostenere il Partito Conservatore, che in Scozia si presenta con la dicitura di “Conservatore e Unionista”. Lo Scottish National Party ha progressivamente conquistato la fiducia dell’elettorato scozzese, e certamente molti sono i cattolici che non solo lo votano, ma vi militano e che vi risultano eletti nei vari organismi di livello locale e nazionale. Il che rappresenta, tra le altre cose, anche la possibilità che la Scozia ha di riconciliarsi col proprio passato e con le proprie radici.
2 Comments