Nel mese di settembre del 1913, Benito Mussolini recensisce sull’Avanti!, il quotidiano del partito socialista, il libro di Franz Cumont, Le religioni orientali nel paganesimo romano, appena tradotto da Luigi Salvatorelli per i tipi di Laterza. Mussolini riprende in chiave anticlericale le tesi del grande antichista e storico delle religioni belga, descrivendo il cristianesimo come la “la malattia che si è rivelata fatale per gli antichi dèi romani”.
La recensione di Mussolini su Cumont si limita principalmente a un riassunto del libro, che di fatto è una sintesi sulle interferenze dei culti misterici nel tardo impero, ma alla fine il futuro Duce aggiunge una importante precisazione: “Cristo, che può o non può essere esistito, ha dato un nome a una lenta elaborazione di sette e credenze avvenute per diversi secoli: il cristianesimo è il risultato di una complessità di fattori, storicamente determinati e determinabili; non è il risultato del prodigio che ha avuto luogo nella stalla di Betlemme in una notte ghiacciata in un mese di dicembre molto tempo fa…”.
Curiosamente Mussolini giunge alle stesse conclusioni che il sottoscritto (che ignorava totalmente la recensione) elabora nel suo libro Misteri pagani, mistero cristiano (Mimesis, Milano 2019) – ovviamente sulla scorta di Cumont, Reitzenstein, Dieterich e degli altri grandi antichisti di fine ottocento/inizio novecento.
Non caso l’anno precedente, il 1912, Mussolini iniziò una lunga relazione con una sofisticata e colta collaboratrice dell’Avanti!, Margherita Sarfatti; gran parte delle sue elucubrazioni sulla romanità e sul paganesimo deriveranno da questo rapporto.
Tra le tante azioni simboliche, una su tutte: il 28 ottobre 1922, Mussolini prende il treno da Milano a Roma, è il suo attraversamento del Rubicone, la Marcia su Roma un fatto compiuto. Il fascismo era un’ideologia in cui azione e vitalità erano fondamentali. Mussolini era un nazionalista e un pragmatico che non teneva in gran conto la retorica, prediligendo l’azione. Per lui, la vita era una sorta di tragedia. Non c’è da meravigliarsi quindi che uno degli autocrati più tragici dell’antichità, Cesare, fosse uno dei suoi beniamini; così affabulava nel 1932 in una intervista al giornalista teutone Emil Ludwig: “l’omicidio di Cesare fu una disgrazia per l’umanità. […] Adoro Cesare. Era l’unico che univa in sé la volontà del guerriero e il genio del saggio. Alla fine era un filosofo, che contemplava tutto sub specie aeternitatis. Sì, amava la gloria, ma il suo orgoglio non lo divideva dall’umanità…”
bibliografia:
C. Bonnet, «’Noi ora conosciamo il male di cui morirono gli dei della vecchia Roma’. La réception en Italie des ‘Religions orientales dans la paganisme romain’ de Franz Cumont», in Hormos, 3-4 (2001-2002), pp. 247-300.
J. Nelis, «Constructing Fascist Identity: Benito Mussolini and the Myth of ‘Romanità’», in The Classical World, 100 (2007), pp. 391-415.
La Redazione ringrazia il Prof. Albrile per la consueta disponibilità