11 Ottobre 2024
Adriano Romualdi Bardeche Controstoria Punte di Freccia

Io sono uno scrittore fascista…

 Di Mario M. Merlino
Nel 1963 l’editore Giovanni Volpe pubblica il libro di Maurice Bardèche dal titolo Che cos’è il fascismo? (pongo all’attenzione del lettore il punto interrogativo). Il libro si apre con questa perentoria, nulla affatto ironica, affermazione: ‘Io sono uno scrittore fascista. Mi si dovrebbe ringraziare di riconoscerlo; per lo meno è un punto fermo in un dibattito i cui elementi ci sfuggono’. (Posso dire io la medesima cosa quando intitolo i miei libri di racconti Atmosfere in nero e Ai confini del nero?). Non ironia perché, di fatto, può collocarsi il termine ‘fascismo’ su solida base, resistente ai flutti della critica e delle discordanti interpretazioni? Ricordo come il professor Renzo de Felice, nel vortice massimo ed estremo della polemica sulla sua persona e sull’opera monumentale su Mussolini, invitava ad abbandonarne l’uso in quanto il suo abuso – verso chiunque e comunque ci fosse avverso ed inviso – ne stava svuotando ogni concreta definizione storica.

Maurice Bardèche era stato l’amico più caro e fedele di Robert Brasillach fin dal tempo in cui erano studenti nel prestigioso liceo Luigi il Grande e, successivamente, della Scuola Normale. Poi il 12 luglio del 1934 egli ne aveva sposato la sorella Suzanne divenendone dunque cognato. Insieme avevano attraversato la Spagnacon le strade brulle e rosse’, ne avevano raccontato della guerra civile così come erano autori di una Storia del cinema, che tuttora ha un preciso valore documentale. Oggi è sepolto – e con lui la moglie – a poca distanza nel medesimo piccolo cimitero di S. Germain de Charonne, uniti in vita, uniti nella morte. Dopo il 1945 autore di varie pubblicazioni, quali ad esempio L’uovo di Colombo, con sotto titolo Lettera aperta a un senatore americano (Longanesi, 1952) I fascismi sconosciuti e Fascismo ’70, il cui titolo originario è Sparta e i Sudisti – e con questo titolo ora viene ristampato e proposto – (entrambi curati da Il Borghese, 1969 e 1970).

(Fu proprio per acquistare il libro di Bardèche che andai – ed era la prima volta, credo – negli uffici della casa editrice Volpe dove incontrai – ed era la prima volta, ne sono certo – Adriano Romualdi che lì era di casa, curava una collana di agili volumetti e, sovente, si trovava a discutere sulle scelte editoriali con l’ingegnere Giovanni Volpe, ostico e poco disponibile ad ascoltare altrui suggerimenti. D’aspetto anonimo, insaccato in un completo grigio, la cravatta dal colore spento, gli occhi nascosti dietro lenti spesse e dalla montatura pesante, eppure con il fascino della parola di chi sapeva coniugare la forza della cultura con il senso della militanza).

Ad Adriano il libro di Bardèche non piacque o, forse, da storico attento e puntiglioso non poteva piacergli. Gli storici abbisognano di accadimenti su cui fondare le risposte chiare affinchè il rapporto causa-effetto, come sosteneva Hegel, possa trovare assoluta conferma nel suo essere tutt’uno. Lo metteva in sospetto quando leggeva di un ‘inafferrabile fascismo’ e, al contempo, da politico ne temeva l’astrattezza – un fascismo di tutti e per tutti finisce per essere un fascismo di nessuno (parafrasando il padre di Zarathustra a cui rivolge uno studio fedele essendo convinto che Nietzsche sia anch’esso un filosofo della Grande Politica, come Platone altro suo oggetto di attenta ricerca, l’interprete di una aristocrazia, di quei barbari dall’alto, nemica di ogni principio egualitario e livellatore, anti-naturale per eccellenza).

Abbandoniamo il terreno del loro dissenso (invito a leggere Il fascismo come fenomeno europeo e, per una idea più compiuta e organica, il saggio di Rodolfo Sideri, titolo: Adriano Romualdi, l’uomo l’opera e il suo tempo), anche se fu in parte il seme del nostro dissenso che trovò piena evidenza nel ’68. La mattina del 1 marzo egli venne sulla scalinata di Piazza di Spagna per attestare, con la presenza fisica, l’invito a desistere non correre il rischio d’essere annichiliti nel magma di una contestazione dal tratto rivoluzionario ma di fatto prodotto della borghesia impotente vile e profondamente corrotta. Inutile e nobile tentativo, come si sa…

Bardèche educò alcuni di noi (forse qui il verbo non è il più appropriato ed è eccessivo) a pensare e ad agire oltre la linea, pur mantenendone il valore prioritario e indiscusso, di un fascismo italiano ed europeo. La Patria è là dove si combatte per le mie idee in quanto il fascismo, superando la storia data la sconfitta subita le immagini consegnate, assume un carattere (non dirò una Weltanschauung) che, per lo scrittore francese, porta il nome di Sparta e dei Sudisti. ‘Che lo Spartano in noi risponda, dunque, nell’ora del pericolo, anzi che vegli sempre in ciascuno di noi, (…) ma sappia di essere lì solo per proteggere il Sudista in noi, per consentirgli di esistere… Un ordine guerriero un modello di vita…’

Tutto questo disperde il fascismo, il suo essere stato, lo relega in un arco di tempo limitato e superato? Che abbiamo da condividere, noi che amiamo lo squadrismo in camicia nera e gli ultimi difensori europei di Berlino, con Nasser in Egitto o Fidel Castro a Cuba (per citare gli esempi tratti da Che cosa è il fascismo?). Può darsi che si corra il rischio paventato da Adriano, che si finisca per combattere la buona battaglia per una pessima causa… ma io penso – e auspico di stare in buona e numerosa compagnia – che non è data una definizione di fascismo prigioniera di se stessa, nella arroganza e nella presunzione d’essere dogma perverso e indiscusso (Torquemada lo si lasci all’Inquisizione; l’agente sovietico al bordo delle fosse di Katin). Il fascismo ‘immenso e rosso’ non l’abbiamo scelto, semmai l’abbiamo reso più nitido e sicuro in noi e nelle nostre lotte, semmai lo coltiviamo e lo proteggiamo contro le sirene dell’oggi, il fascismo ‘immenso e rosso’ è ciò che siamo per… destino o volontà degli dei o perché, per fortuna, siamo liberi di non essere tutti uguali…

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