Il doping sportivo è un fenomeno diffuso e pericoloso. In alcune discipline pare abbia dimensioni drammatiche: pensiamo al culturismo, alla cosiddetta atletica pesante, al ciclismo. La diffusione non è limitata agli atleti professionisti, ma il fenomeno dilaga anche tra dilettanti e amatori. Ogni attività volta a estirpare il fenomeno è quindi benvenuta, a cominciare dalla riprovazione morale nei confronti degli atleti, dei medici e delle società coinvolte.
Alex Schwazer è uno di quelli che è caduto nella rete del doping. Ragazzone tirolese della Val Ridanna, straordinario talento della marcia, è nella storia dell’atletica per avere vinto la medaglia d’oro alle Olimpiadi di Pechino 2008 nei 50 km di marcia. Per rimanere ai vertici dello sport, si è affidato a persone e mezzi disoneste. Smascherato dalle analisi nel 2012, ha confessato tra le lacrime ed ha accettato con dignità la squalifica di tre anni e nove mesi. Nel frattempo ha perso tutto: era fidanzato con la campionessa di pattinaggio artistico Carolina Kostner, a sua volta squalificata per non averlo denunciato, ed è stato mollato. Faceva parte dell’Arma dei Carabinieri ed è stato congedato. La Ferrero gli ha revocato un buon contratto di sponsorizzazione. L’intero ambiente dell’atletica l’ha scaricato.
Domenica 8 maggio scorso, a squalifica appena finita, ha partecipato al campionato mondiale di marcia a squadre, e dopo 50 chilometri di passi a ritmo forsennato, mantenendo sempre un piede a terra ( questa è la regola della marcia sportiva) ha vinto la gara. Ha trascinato alla vittoria la squadra italiana e si è guadagnato la partecipazione alle Olimpiadi brasiliane che si terranno tra pochi mesi. Io sto con Schwazer, e lo considero un modello positivo!
Da ragazzo, ho praticato un po’ la marcia: vedevo tutti i giorni allenarsi nelle strade del mio quartiere Abdon Pamich, grande marciatore, oro olimpico, esule fiumano. Ho smesso di marciare perché era troppo dura: chilometri e chilometri di allenamento con qualunque tempo, dolori dappertutto, perché la postura del marciatore è complicata ed innaturale, tutto il corpo, gambe, braccia, schiena, impegnate ad assecondare il mulinare costante delle gambe, e quella maledizione per cui un piede deve sempre essere a terra. Alex, dopo aver perso lavoro, fidanzata, denaro, subito anche una condanna penale a sei mesi per la sua vicenda, aver sopportato la gogna che in Italia, patria di moralisti a tassametro, tocca a chi ha la sfortuna di essere “pizzicato” mentre molti altri se la cavano, ha ripreso a marciare, è risorto, ha rivinto senza l’aiuto di chimica e farmacologia, ed ora tenta di ricostruirsi una seconda carriera sportiva.
Marciare per non marcire era un motto dannunziano. Schwazer era marcito dopo aver marciato ed essere andato fuori strada. Oggi è di nuovo un atleta, ma soprattutto, è un uomo, forte, dignitoso, un guerriero non solo dello sport, ma della vita.
L’intero ambiente dell’atletica l’ha trattato in maniera disgustosa, ancora pochi giorni fa atleti di vertice avevano affermato di non volerlo in nazionale e di vergognarsi di lui. Si vergognino di loro stessi, invece, in questo strano mondo dove nessuno è mai responsabile di nulla, dove colpe ed errori sono sempre di qualcun altro, e dove, alla fine, si assolvono tutti. Schwazer no, colpevole a vita, nessuno voleva offrirgli una seconda possibilità. Un criminale assassino dei genitori come Pietro Maso, uscendo dal carcere, ha ricevuto una lettera da Bergoglio, Adriano Sofri e Toni Negri sono riveriti intellettuali, persino Fabrizio Corona è potuto uscire con largo anticipo dal carcere, sotto l’ala di Don Mazzi, e ora rilascia interviste.
Il ragazzo di Racines no, lui era un mascalzone a prescindere. Doveva pagare per tutti, a lui la condanna “esemplare”, che in genere è un sinonimo di eccessiva, e che, soprattutto, lava la coscienza di troppi altri, non meno colpevoli. Non scomoderò René Girard e le sue teorie sul capro espiatorio, anche perché Alex è stato comunque responsabile di doping.
Ma resto entusiasta della sua risalita, sono orgoglioso di un giovane uomo che stringe i denti, e macina migliaia di chilometri ( migliaia !) in solitudine, aiutato solo da un grande tecnico dell’atletica come il professor Donati, antico e autentico combattente antidoping. Non credo che Schwazer sia ricco, e in ogni caso non ha neppure più lo stipendio da sottufficiale dei Carabinieri: ma non ha pensato a “rifarsi una vita”, cercarsi un mestiere extra sportivo. Ha affrontato il freddo della sua vallata prossima al Brennero, e poi magari il caldo di altre zone per prepararsi, allenarsi, ed ha marciato, marciato, marciato. Pensate alla fatica di camminare, mantenendo una postura scomoda e quasi innaturale, per decine di chilometri al giorno, ascoltare ogni minima reazione del proprio organismo, sudare, sbuffare, finire stremati e doloranti per dimostrare che si è ancora uomini, prima che campioni sportivi.
E’ dunque vero che chi cade si può rialzare, ma solo chi si trova abbandonato e disprezzato dopo essere stato osannato, o chi ha ingaggiato e vinto battaglie decisive con se stesso può immaginare che cosa deve avere vissuto Schwazer nei cinquanta chilometri romani – cinquanta chilometri, lo ripeto, e sono lunghi anche da leggersi – in cui ha marciato e vinto.
Onore e rispetto, allora, al giovane uomo tirolese, che ha marciato contromano per quattro anni dopo avere imboccato la scorciatoia. Che cosa è, infatti, il doping, se non una scorciatoia per essere competitivi, performanti, vincenti ? Nulla di tanto diverso dalle troppe vie “alternative” che usiamo nella vita, la raccomandazione, l’appartenenza al partito di potere o al sindacato maggioritario, l’amicizia giusta, l’imbroglio che, quando ci riguarda, ha sempre ottime giustificazioni.
Onore a chi sbaglia, e si riprende, e guarda il mondo con occhi diritti. Disprezzo per i moralisti della domenica e per gli onesti fino alla porta di casa. L’esercito sterminato e miserabile delle vergini dai candidi manti, rotte di dietro, ma sane davanti; scusate l’oscenità, ma quando ci vuole, ci vuole. Forza Alex, hop Alex!