IPHIGENIA UNCHAINED
Il sacrificio del maschio in Euripide
Nella valanga delle demenziali narrazioni mediatiche che ci investe pressochè senza interruzioni, una tra le più curiose, a volte francamente comica, è quella del woke, gender-fluid, ecc. Dico curiosa, perchè apparentemente la si direbbe quasi “disintiressata”, cioè priva di un ritorno economico o politico diretto, ben preciso, come avviene per esempio per quelle del virus o riscaldamento o villano globale di turno. La suddetta narrazione avviene con una pars construens, che prevede la promozione di tutti i soggetti “in ombra” (il genere femminile con tutti quelli immaginabili tranne il maschio) e una pars destruens che prevede la denigrazione in tutti i modi possibili di esso maschio.
Si tratta di una forma di fanatismo occidentale stranissimo cui assiste il resto del mondo in silenzio; sarebbe interessante sapere cosa ne pensano in India o in Iran o in Madagascar, tanto per dire. Dal canto nostro possiamo fare una cosa: visto che da (absit iniuria verbis) europei, e tanto più mediterranei, abbiamo sotto il sedere cumuli di rovine di vecchie civiltà, rovine materiali e spirituali, possiamo andare a vedere cosa è successo in illo tempore.
La tragedia classica per certi versi potremmo considerarla “cronaca nera” di Stato, essendo un genere ufficiale con dirette implicazioni socio-politiche e da cui ci si attendeva effetti sul popolo; allo stesso modo se osserviamo la gestione dell’omicidio tipico da parte dei media officiali, non si può non vedere un impianto scenico chiarissimo, con personaggi ben delineati, un maschio “feminicida”, una vittima sacrificale femmina, un coro di donne dolenti, eventuali fratelli o sorelle in cerca di giustizia.
In questo senso il caso di Euripide è singolare e da esaminare. Desta stupore (è cosa nota) come si sia arrivati al suo universo scettico, “borghese” e patetico-sentimentale, da quello altamente simbolico, tradizionale, “bene in armi” di Eschilo, solo in pochi decenni. Del resto certi crolli sono fulminei, pensate, per fare un esempio, quanto poco tempo separa i film di John Wayne da Easy rider o Grease,ad avvenuta irruzione del dionisiaco. Per un certo tipo di eroe, dopo gli anni sessanta, explicit tragoedia.
Comunque, da Eschilo a Euripide cambia tutto. Ma vediamo esempi concreti. L’atteggiamento corrosivo del terzo grande tragico verso il mondo religioso eroico e tradizionale “dei poeti” è ben noto, e perciò era accostato a Socrate. Ma un’affermazione come questa oggi appare sotto una nuova luce ben degna d’esame (Elena):
Zeus, che scatenò una guerra sulla Grecia contro i poveri Frigi: lo scopo fu d’alleggerire d’una gran massa d’uomini la terra madre…
Che razza di motivazione sarebbe per il conflitto che rappresentava il motivo fondante dell’identità nazionale ellenica? E il pensiero ricorre più volte. Qui è Apollo in persona che parla (Oreste):
Gli dèi spinsero gli uni contro gli altri i Greci e i Frigi, e tante morti vollero, per sgravare la terra dall’insolenza d’una ciurma d’uomini sterminata…
Anche della gloria degli eroi rimane ben poco. A questo proposito, è significativo l’itinerario di Ercole, l’eroe civilizzatore per eccellenza, contemplato in una parabola discendente che giunge alla strage familiare dove, impazzito, fa fuori moglie e figli; ciò che ne farebbe una perfetta figura di paterfamilias ad uso dell’attuale cronaca nera di regime. Il finale è significativo: prima licenzia il passato di guerriero:
…amara compagnia di queste armi…
dopodichè così viene salutato da Teseo:
Se qualcuno ti vede infemminito…
La trasformazione è avvenuta. La vicenda de Le baccanti è altrettanto emblematica di un certo clima. Il re Penteo, rozzamente autoritario, poliziesco e maschilista si confronta con Dioniso capellone ed effeminato che gli annuncia tutto il suo repertorio di danze orgiastiche, riti notturni, misteri iniziatici.
PENTEO
Bello e scaltrito il baccante!
DIONISO
Che pena avrò? Che vuoi farmi d’orribile?
PENTEO
Primo, ti taglio quei riccioli morbidi.
Alla fine, dopo aver sollevato il genere femminile contro l’autorità “patriarcale”, Dioniso induce Penteo a travestirsi da donna per spiare i riti segreti del Tiaso, quindi in queste vesti costui viene catturato dalle baccanti scatenate tra cui sua madre Agave, fatto a pezzi e trasformato in pasto sacrificale. Per quanto riguarda l’argomento “maschi contro femmine” è naturalmente imperdibile e famosa Medea, con il Giasone fedifrago e opportunista, che giustifica le seconde nozze con penose scuse di ragion politica: la maga orientale difende validamente le proprie ragioni persino dopo l’infanticidio, rovesciando la colpa sul compagno, in un finale confronto con insulti e accuse reciproche degne di un reality.
GIASONE
Crudi vendicatori sul tuo capo.
MEDEA
Di chi la colpa, lo sanno gli dèi.
GIASONE
Sanno bene il tuo cuore, che fa schifo.
L’opera di Euripide abbonda di fanciulle abbastanza gratuitamente sacrificate che mettono talvolta la Grecia in una luce sinistra. La povera figlia della regina troiana Ecuba, prigioniera nella tragedia omonima, è vittima di un Odisseo spietato che la immola solo per celebrare degnamente la tomba di Achille. Ma il culmine di tutta la faccenda a parer mio si raggiunge nel capitolo finale della grande e paradigmatica storia di Ifigenia. Qui sembra giunger a maturazione completa tutto un processo di archiviazione dell’autorità maschile-eroica, ed anzi si arriva a una specie di nemesi. Ifigenia è certo la tradizionale vittima di feminicidio per eccellenza, e Agamennone il carnefice patriarcale, mosso però dalla ragion di stato.
Ancora Lucrezio molto più tardi (stranamente pur con tutto il suo materialismo, commosso cantore di Venere-Madre Natura) usa la vicenda per seppellire la religione tradizionale. Ora però, con l’Ifigenia in Aulide di Euripide avviene uno sviluppo inatteso, un intervento divino e Ifigenia – colpo di scena – è salvata e sostituita sull‘altare con una cerva all’ultimo momento. La ritroviamo nel ‘capitolo’ della vicenda successivo in Tauride, barbara regione, in uno scenario discretamente horror; un tempio di Diana abbellito da teschi e ossa umane, con le pareti dove “stilla sangue greco” in quanto venivano sacrificati tutti gli stranieri che vi giungevano. La fanciulla ne è – singolare capovolgimento – la sacerdotessa.
IFIGENIA
…le colonne di casa sono i figli maschi, e quelli che i miei spruzzi d’acqua lustrale colpiscono muoiono.
Naturalmente. Ora però, accade che il fratello Oreste e l’amico Pilade riescono nell’impresa di recuperare e porre in salvo la fanciulla, portandosi via la statua della dea, ma quando sono già sulla nave per scappare e il re della barbarica Tauride è sul punto di raggiungerli, Ifigenia ritta sulla tolda invoca la protezione divina. Interviene così Atena in persona, ingiungendo agli inseguitori di desistere. Dopodichè la dea si raccomanda coi fuggiaschi, lasciando istruzioni che sono tutto un programma:
…portare il santo(?) simulacro nel mio Paese, come tregua ai mali che lo gravano…
Nel futuro „Artemide Tauropola“ diranno nei loro canti gli uomini. E disponi in questo modo il rito: quando il popolo farà festa, a compenso del tuo sangue il sacerdote accosti la sua spada a un collo d’uomo e ne faccia sprizzare il sangue, sicchè la dea non sia privata dell’onore dovuto.
Così, invece di tornare con gli elicotteri e passarci il napalm su un tempio del genere, degno di un film di Dario Argento, il simulacro della dea è dai due eroi traslato in patria, ed ivi ne è istituito il sanguinario rito, nella civilissima Atene. Gli altari dove si liba latte di foscoliana memoria dove sono, dove i propilei di Winkelmann? Che razza di tregua dovrebbe mai poter portare ai mali che l’affliggono, l’istituzione di un simile tempio in Grecia?
Inoltre Atena ingiunge la creazione di un altro tempio, che sarà mausoleo di Ifigenia; però di pertinenza maschile, in quanto vi dovranno recare offerte uomini cui sia morta di parto la moglie, forse con l’intento di sottolineare come questa avesse con ciò compiuto un sacrificio eroico, e tocchi al maschio renderle onore; tutto ciò crea una strana inversione di ruoli.
La figura di Ifigenia orante sulla nave che trasla il simulacro della dea per venire in soccorso alla patria, richiama da vicino quella di Claudia Quinta vestale, che invoca Cibele a testimoniare la sua purezza calunniata, e – Se sono casta, seguimi – ricevendone il favore trascina da sola la nave incagliata nel Tevere che della Magna Mater recava la statua dalla Frigia. A seguito di un giro di consultazioni oracolari (narra Livio ripreso da Ovidio) per venire in soccorso di Roma minacciata da Annibale, era stata proferita la sentenza: – Manca la Madre. Si decide perciò di recare dalla frigia il simulacro della strapotente Mater Idaea. Conosciamo bene la grande fortuna che avrà questo culto nell’Urbe, culto che prevedeva il sacrificio diretto della maschilità (auto-evirazione). L‘opera di Euripide, che parte da una posizione progressista, sembra prefigurarne con molto anticipo l’avvento (tra l’altro i cori de Le baccanti a Cibele inneggiano grandemente, e dipingono Dioniso come suo alunno).
La cosa assai interessante sarebbe indagare accuratamente se la (diciamo così) intellighentsia occidentale – erede del materialismo della sinistra e poi fatalmente ricaduta in strani misticismi panteistico-ecologisti – che sta guidando con simile fanatismo l’attuale grottesco tentativo di riforma della natura umana, non sia finita preda della fascinazione che promana da questo, o da uno simile, antichissimo pattern mitologico, che pare sprofondare e riemergere a più riprese nella storia dell‘umanità.
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