“Col solo ombrello in mano, gridando ad alta voce: “Non sparate, non siamo fascisti”.
L’episodio più efferato delle giornate della rivolta, iniziata a Firenze, si ha, però, ad Empoli, il 1° marzo.
È lì che due camion di Carabinieri e Marinai, scambiati per fascisti, sono attaccati dalla folla inferocita che fa una strage.
Un episodio terribile, che rimarrà nella memoria di chi quei tempi visse, per la crudeltà degli attaccanti e l’incolpevolezza – per qualsivoglia tipo di “reato”, vero o presunto – delle vittime.
Un viaggio, quello dei militari, nato sotto cattiva stella e conclusosi peggio, anche per l’inadeguatezza del personale in comando, che si somma ad una serie di circostanze negative.
Alle ore 12,30 partono da Livorno 44 Marinai, meccanici e fuochisti, comandati dal Capitano macchinista Nello Ambrogi (al quale si aggiungerà il Tenente di Vascello Vicedomini, che, in borghese anche lui, si sta recando a Firenze in congedo matrimoniale, e ha chiesto un passaggio). Con loro, 3 conducenti e 14 Carabinieri, a loro volta comandati dal Tenente Bachilli. La destinazione è Firenze, dove devono garantire le minime esigenze della circolazione ferroviaria, bloccata dallo sciopero in corso.
I giovani Marinai sono, a titolo prudenziale, in borghese, mentre in divisa sono i Carabinieri. Questo escamotage si rivela, però, mal pensato, perché già a Livorno (dove sono arrivati via mare da La Spezia), mentre su un tram cercano di raggiungere i camion che devono trasportarli, vengono fatti oggetto di insulti e minacce, perché scambiati per ferrovieri crumiri, o, peggio, per una squadra fascista.
Sono stati forniti di pistola che, però, in maggioranza, non sanno nemmeno usare, tanto che, poco dopo la partenza, uno viene accidentalmente ferito da un compagno. Rimandato indietro il ferito con uno dei camion, scortato da quattro Carabinieri, al ritorno del mezzo si riparte. Quasi subito, sopravviene (sono passate da poco le 13,00) la panne di uno dei tre automezzi originariamente a disposizione, che costringe alla suddivisione degli uomini sui due restanti. Sul primo, prendono posto 22 uomini e 8 Carabinieri più i due Ufficiali Ambrogi (che ha il comando) e Bacchilli, mentre sul secondo salgono 25 uomini e 6 Carabinieri più il Tenente di Vascello Vicedomini che assume il comando.
Riparato il guasto, il viaggio riprende, e i Carabinieri, sul primo camion, “fanno strada”, superando indenni Pontedera e Fucecchio, dove pure una folla minacciosa, assiepata ai lati della strada, grida: “Abbasso i fascisti”, e quelli rispondono: “Non siamo fascisti”.
Per di più, a Fucecchio vengono fornite informazioni sbagliate ai conducenti sulla via da percorrere, così che i veicoli devono tornare per tre volte sul cammino percorso.
Lungo la strada, mentre cercano di riparare un nuovo guasto ad uno dei due mezzi rimasti, vengono raggiunti da una motocarrozzetta, a bordo della quale ci sono i Segretari della Camera del Lavoro di Empoli e di Pistoia, rispettivamente Abdon Maltagliati e Onorato Damen.
I due, fingendo di voler prestare soccorso, e convinti che quei giovanotti siano fascisti, decidono di approfondire e si informano – forse fingendosi fascisti essi stessi – sulla destinazione del gruppo:
La risposta assume, agli occhi del sindacalista Maltagliati, il valore di una provocazione, così che egli si precipita a telefonare al suo paese, dove è già costituito e operante un “Comitato di Agitazione” che ha costretto il Commissario di PS a rifugiarsi, con i familiari, nella caserma dei Carabinieri. Dà così l’allarme ai suoi compagni che, frattanto, armati, si sono radunati nei pressi della fattoria Bini.
Giunti, perciò, ad Empoli, intorno alle 16,30, i Marinai trovano uomini armati ad aspettarli. Dalla Casa del Popolo viene lanciata una bomba e parte una scarica di fucileria che fa tre feriti. Per questo, il camion, che viene fatto oggetto anche del lancio di masserizie e tegole da tetti e finestre, accelera, mentre gli uomini a bordo tirano qualche schioppettata a casaccio.
Uno dei feriti, però, sbalzato dall’automezzo, cade sul selciato, e lì rimane, agonizzante, perché gli assalitori impediscono a fucilate ogni forma di soccorso da parte degli altri occupanti il camion e degli abitanti delle case prospicienti, che vorrebbero intervenire.
Dei rimanenti due feriti, anche un altro morirà poco dopo.
Arrivato alla borgata di Naiana, l’automezzo si ferma, e i Carabinieri tentano di tornare a Empoli, per portare da un medico i feriti, provare a recuperare la salma di quello che è caduto sulla strada, prestare soccorso, per quanto possibile, all’altro camion, del quale non sanno più niente.
Non sarà possibile, perché il gruppo ben presto si smembrerà, anche per motivi precauzionali. Alcuni raggiungeranno la loro locale caserma, e lì resteranno, altri verranno indirizzati alla stazione ferroviaria, dove pure c’è un presidio di militi dell’Arma, e dormiranno su vagoni in sosta, altri ancora seguiranno il binario fino a Firenze, dove giungeranno, dopo una lunga marcia, all’alba.
Diversa, e più drammatica, la sorte che tocca al secondo automezzo, che segue, e che deve scontare l’irosa reazione dei manifestanti che si sono lasciati “sfuggire” il primo e ora organizzano meglio l’agguato.
I marinai a bordo, armati, come detto, solo di pistole che neppure tutti sanno utilizzare, lamentano subito due feriti, colpiti dalla fucileria, così che il Tenente di Vascello Vicedomini decide di fermare. Nella sua memoria presentata successivamente al Contrammiraglio Bodoni, così giustificherà quella scelta:
Le ragioni per le quali ho dato ordine al secondo camion sul quale mi trovavo, di arrestarsi, appena entrati nella città di Empoli, anziché proseguire, sono le seguenti:
– nel momento in cui ho dato ordine di fermare, sul mio camion si abbattevano, oltre a fitte scariche dalle finestre e dai tetti, anche i colpi sparati dai Carabinieri del camion precedente, i quali sparavano seduti dalla parte posteriori del telaio del camion stesso…
– a differenza del primo camion, io disponevo soltanto di un conducente capace di guidare la macchina, ucciso il quale il camion avrebbe cozzato contro qualche casa….
– non potevo sperare di mantenere il contatto col camion precedente che aveva accelerato a tutta forza, constatandosi, da prove fatte durante la traversata, che il mio era meno veloce di quello
– ho giudicato che, se anche il primo camion fosse riuscito a passare di sorpresa, il secondo si sarebbe trovato in condizioni ben più difficili, perché atteso al varco… e la strada fu effettivamente sbarrata in tre punti: in uno con vasi grandi, in un secondo punto con un carro da facchini, in terzo punto con un tavolone da muratore (1)
Dopo di che, riparati i colpiti in una casa, si avvia verso il centro città, “col solo ombrello in mano, gridando ad alta voce: “Non sparate, non siamo fascisti”.
Non fa in tempo ad arrivare alla piazza, con i suoi uomini – non tutti, perché alcuni si sono dispersi, anche in questo caso – dietro, in fila indiana, che inizia un fitto fuoco di fucileria, interrotto solo quando il Sindaco riesce a farsi avanti per parlamentare, e soprattutto, accertare che non si tratti di fascisti.
Alla folla, però, le assicurazioni fornite non bastano. Una turba inferocita circonda i militari, “mentre sparivano anche i portafogli, gli orologi, il denaro ed i documenti, numerosi colpi erano sparati a bruciapelo e mani armate con pugnali e coltelli e falci si tendevano da bieco furore verso i poveretti inermi”.
La disordinata violenza dell’assalto disarticola ulteriormente il gruppo dei militari, che si divide in tre nuclei, tutti egualmente soggetti alla furia di chi li accusa di essere “carne venduta a 20 lire al giorno” e minaccia di portarli “alle officine”, per finirli con calma, meglio se tra indicibili tormenti.
Inutile fare l’elenco delle atrocità, che sembrano anticipare quelle di Sarzana. C’è chi viene sepolto vivo in un vecchio camposanto, chi viene immerso più volte in una fossa ricolma di acqua, chi viene gettato in Arno e fatto bersaglio di colpi di rivoltella.
Alla fine, tra i militari caduti in mano agli assalitori, i morti saranno sette, sei Marinai e un Carabiniere (ai quali vanno aggiunti i due Carabinieri del primo camion), i feriti undici, mentre gli altri riusciranno a scamparla, con la fuga o in nascondigli provvisori.
Si parlerà di evirazioni e tagli di mani ed orecchie. Emergerà il dettaglio macabro – forse vero, forse no – del Carabiniere morto ai cui polsi vengono messe, in segno di sfregio, le sue stesse manette (come non pensare alla sigaretta di Lavagnini?), si favoleggerà anche – e la cosa sarà creduta assolutamente verosimile, a testimonianza della crudezza dei tempi – di un “brodo di Carabiniere” preparato dai più scalmanati. La suggestione della canzonaccia sovversiva che circola tra le masse in rivolta, è forte:
Le Guardie Regie in pentola
la fanno il brodo giallo
Carabinieri in umido
e arrosto il Maresciallo
In prima fila, crudelissime “vergini rosse” che eccitano la folla, vittime anch’esse dalla lunga propaganda d’odio – fatta anche dai Partiti “istituzionali” – contro i fascisti, dipinti come bestie immonde che non meritano pietà.
Al successivo processo, i condannati a varie pene detentive, secondo la gravità degli addebiti, saranno 92, gli assolti 40. Dei 5 latitanti, tutti condannati all’ergastolo, perché sicuramente colpevoli di episodi particolarmente crudeli, due si rifugeranno in Unione Sovietica, finiranno nei gulag staliniani, e uno vi morirà.
Su un piano più generale, si pone il problema se gli assassinii di Empoli possano essere fatti rientrare nella categoria del “delitto di folla”, nel quale, sostanzialmente tutti sono colpevoli e nessuno è colpevole.
Parrebbe di no. Ai fatti manca innanzitutto il carattere della spontaneità che è essenziale nelle manifestazioni di folla, che si concludono spesso tragicamente, ma nascono in maniera improvvisata e disorganizzata, come nel caso classico dei tumulti del caroviveri, di gente affamata di fronte a magazzini colmi di ogni ben di Dio.
A Empoli questo non avviene. Vi è una minoranza politica già mobilitata, con squadre in giro a garantire l’osservanza dello sciopero generale, e la telefonata di Maltagliati vale (e, in effetti, questo è) come una chiamata alle armi, nel senso letterale del termine.
Non si può non concordare con Giuseppe Gregori:
Si tentò dai soliti giureconsulti di dare ad intendere che era stata la folla a commettere il delitto.
Ma dalla ricostruzione pura e semplice dei fatti, risulta chiaramente il contrario, che senza l’iniziativa e lo zelo di un caporione ansioso di inscenare una sommossa, la folla non si sarebbe certo né mobilitata, né scatenata. E a scatenarla, visto che era indispensabile una informazione falsa, questa falsa informazione era stata criminosamente spesa.
…
S’intende che il Maltagliati non è solo. Egli ha i suoi luogotenenti pronti a coadiuvarlo secondo tutte le esigenze del momento. Essi sono i Busoni Juares e il Puccini Balilla, nomi rimasti celebri; triumvirato rimasto poi nella cornice fosca della massima ferocia e delle massime responsabilità. (2)
Si aggiunga che il fuoco diretto contro il secondo camion, che è stato fermato da una barricata non improvvisata, è a ondate successive, come in una vera azione di guerra. In piazza, infine, vi sono rappresentanti politici di gran prestigio, e il fatto che essi si siano poi autorappresentati come “moderatori”, non convince pienamente. Le testimonianze processuali smentiranno spesso la loro versione.
Juares Busoni, che è Segretario della Federazione socialista toscana, viene indicato, infatti, come quello che, armato di revolver, avrebbe incitato la folla, alle prime notizie dei camion in arrivo: “Andiamoli a ricevere… hanno ucciso il nostro Lavagnini”.
Ebdon Maltagliati, che è il Segretario della Camera del Lavoro empolese, è colui che, informato – mentre è, a Livorno, ad un Congresso sindacale – dei due camion in partenza, lascia precipitosamente l’adunanza (noleggiando, a pagamento, una motocarrozzetta), per ostacolare in ogni modo il loro viaggio. Lui non può non immaginare – e glielo confermano gli stessi occupanti – che i mezzi siano diretti a Firenze per sopperire ai disagi provocati dallo sciopero, ma, per essere sicuro che essi siano fermati lungo la strada, fa partire un giro di telefonate dicendo che sono diretti a Empoli, dove poi si precipita anche lui.
Sarà poi lo stesso Sindaco del paese, ad “affrontare” Vicedomini, far circondare i marinai dalla massa inferocita, dimostrarsi incapace a controllare la situazione, fino a passare la mano ai violenti.
Prova ne sia che quando, quasi al termine del ciclo degli avvenimenti, si presenterà alla caserma dei Carabinieri, per sostenere che stava compiendo opera di pacificazione, “la sua visita fece ancor più indignare marinai e Carabinieri superstiti, dalla furia dei quali fu a stento salvato per l’energica intromissione degli Ufficiali. Condotto fuori dalla caserma, si dette alla fuga e non fu più rintracciato”.
Si può dire, insomma, che la presenza di esponenti “istituzionali”, invece di moderare l’azione degli esagitati, ne favorisca l’esasperazione, senza che, nei fatti, vi sia traccia di un effettivo e risolutivo intervento a favore delle vittime.
FOTO 3: Le vittime della strage
FOTO 4: Le imputate al processo
NOTE
- In: Un po’ di storia senza occhiali rossi, di Paolo Baroncelli, pubblicasto su “Modernità” di gennaio 2009, pag. 71
- Giuseppe Gregori, La strage di Empoli, Roma 1932, pag. 45