L’Italia è giunta tardi e in modo travagliato, rispetto ad altre nazioni europee, all’unità politico-territoriale. Nei secoli, abbiamo colto la nostra identità nella cultura e nella lingua, resa grande dagli immortali della nostra letteratura. Il più noto tra gli storici delle religioni italiani, il persicetano Raffaele Pettazzoni ebbe a scrivere quanto segue, in merito alla ricerca dell’identità di un popolo: «Io credo […] che la storia non s’intende a pieno se non si studia anche […] la storia sacra» (p. 7).
La prima forma di compenetrazione constatabile nella storia del nostro popolo, è data dal «Guerriero di Campestrano», statua che esalta non solo l’arte italica, ma il: «più antico eroismo italico, alimentato dalla religione» (p. 153). Altro momento rilevante, in tal senso, è da individuarsi nella devotio romana, sacrificio praticato da tre membri della famiglia dei Decii. Si tratta della: «consacrazione di una vita umana agli dei per la salvezza della comunità» (p. 153), atta a capovolgere gli esiti di una battaglia, qualora si fosse mostrata sfavorevole. In tale pratica, le due forme religiose ricordate trovarono sintesi. L’età comunale espresse, con Arnaldo da Brescia, una «religione civile» che ebbe il proprio momento apicale nella lotta dei Comuni contro il Barbarossa. La difesa della nazione fu confermata, nel Rinascimento, dal Savonarola e dalla sua «repubblica religiosa», che divenne archetipo, qualche secolo dopo, per la religiosità mazziniana, per la cui causa si spesero numerosi martiri, nel cui sacrificio, «Religione dell’Uomo» e «Religione dello Stato», tornarono ad incontrarsi. A dire di Pettazoni, anche il clima spirituale della Resistenza, letta quale «secondo Risorgimento», favorì la sintesi delle due forme religiose. La cosa sarebbe testimoniata dalle Lettere dei condannati a morte della Resistenza, anche se Pettazzoni pare qui discriminare tra partigiani credenti e non credenti, oltre che omettere la testimonianza di quanti morirono sull’altro fronte, per l’altra «religione politica», il fascismo.
Lo storico delle religioni, nel prosieguo del volume, si sofferma sulla libertà religiosa, preoccupandosi di evidenziare la contraddizione tra il cattolicesimo che, con l’inclusione dei Patti Lateranensi nella Costituzione, avrebbe ufficialmente rappresentato anche nella nuova Italia la «Religione di Stato», e le minoranze religiose, di fatto discriminate. Nel capitolo quinto viene introdotta, in merito ai rapporti Oriente e Occidente, la discussione sullo Shinto, tema che accompagnò il persicetano lungo tutto il percorso accademico. Egli esordisce sostenendo che: «il Buddismo è per l’Oriente quel che il Cristianesimo è per l’Occidente» (p. 85). Di contro alla penetrazione del buddismo in Giappone, il riscatto dello Shinto fu un ritorno al pensiero fondativo della nazione, centrato sulla figura dell’intangibile Imperatore. In esso, la religione civile e quella dell’uomo, hanno trovato esemplare unione: «la patria assume carattere religioso, riassunto nel carattere divino del sovrano» (p. 164). In quel frangente storico alcuni ufficiali nipponici attentarono alla vita dell’Imperatore. Lo fecero, chiosa Pettazzoni, allo scopo di indurlo ad assumere, con la pratica del suicidio, il ruolo di capro espiatorio, come accadeva in antico al Rex nemorensis. Il sacrificio dell’Imperatore, avrebbe riportato nel mondo una nuova primavera: «Il regicidio garantisce la vita della nazione e il re è il solo a morire perché tutti vivano» (p. 167).
Pettazzoni analizza, inoltre, il risorgente neo-paganesimo tedesco. Individua le sue origini nelle ascendenze luterane ed eckhartiane, che tentarono un adattamento del cristianesimo al genio tedesco. Oltre ciò, nella storia culturale della Germania si manifestò un rifiuto in toto della buona novella che, in epoca nazista, fece sorgere numerosi movimenti sangue e suolo. Lo storico si sofferma sul «Movimento per la fede tedesca», che ebbe una sua rivista ed un numero considerevole di adepti. Formatosi attorno all’ideologo Ernst Bergmann, il movimento fu presieduto da Jakob W. Hauer, insigne indologo, con il quale Pettazzoni intrattenne rapporti di studio fino al dopoguerra. Comunque, il giudizio sul neo-paganesimo quale forma sincretica di «Religione dell’uomo» e di «Religione dello Stato», è, nonostante qualche ambiguità, negativo a causa del suo particolarismo razziale, negatore di ogni universalismo religioso.
Va precisato, a conclusione di queste brevi note, che lo storico persicetano, dopo i primi anni Cinquanta, non si intrattenne più in tema di «religione civile» . In un momento come l’attuale, in cui non si ha contezza né dell’identità italiana né, tantomeno, di quella europea, la lettura delle pagine di Italia religiosa potrebbe stimolare una nuova ricerca in tema, che di certo non risulterebbe irrilevante.
Giovanni Sessa
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