Recensione a cura di Luca Siniscalco
Origine quale Abgrund, scaturigine iniziale, provenienza abissale, cominciamento atemporale che è purtuttavia condizione di possibilità del rivelarsi di ogni essente. É all’indagine di questo fondo celato nell’Enigma, supremo Geheimnis che la grecità riconobbe nell’ininterrotta processualità della physis, che è dedicata l’ultima fatica di Giovanni Sessa, Itinerari nel pensiero di Tradizione con una presentazione di Davide Bigalli.
Il volume racchiude cinque saggi composti in diverse occasioni dall’autore, tutti dedicati al rinvenimento e al lumeggiamento della tematica dell’Origine all’interno del dibattito culturale novecentesco, con particolare attenzione al pensiero di Tradizione. Quest’ultimo è accuratamente distinto dalla scolastica tradizionalista – in particolare rispetto a certe sue derivazioni statiche e dogmatiche –, ma è sempre esplicato in un serrato confronto con essa, nella forma di un pensiero «dello strutturarsi storico, indotto dall’incontro nell’evento, del patrimonio ideale tradizionale, con la realtà metamorfica del mondo» (p. 16).
Nel patrimonio culturale europeo del Secolo Breve si aggira infatti, secondo Sessa, uno spettro ben più radicale del comunismo, culmine storicista della tradizione teoretica occidentale maggioritaria: si tratta di una linea speculativa eterodossa e dalla movenza carsica, destinata a riverberarsi nell’opera di autori radicalmente eterogenei, eppure accomunati da una medesima istanza nietzschianamente inattuale ed intrinsecamente “altra” rispetto alla Zivilization dominante nella figura della Forma-Capitale, per impiegare un’espressione cara ad Alain de Benoist. Questo fil rouge, qui designato quale pensiero di Tradizione, è autenticamente rivoluzionario, laddove si risalga all’essenza etimologica del termine: si incammina verso un revolvere, un ritorno ciclico e sintonico rispetto ai ritmi cosmici, che ha per meta perennemente dileguantesi l’Origine. Essa non è mai definita esaustivamente da Sessa, il quale coglie con efficacia la necessità di un approccio allusivo e simbolico al tema cardine del suo studio – postura a cui un attento interprete dell’opera di Andrea Emo (si veda il suo studio La meraviglia del nulla, di recente dato alle stampe per Edizioni Bietti), quale il Segretario della Scuola Romana di Filosofia Politica, non poteva sottrarsi.
Onde evitare ogni rischio di ipostatizzazione reificante, un discorso filosofico avvertito, consapevole della critica heideggeriana all’ontoteologia, non può che adottare una metodologia improntata alla viaticità, nella preparazione dell’avvento di nuove radure – o oasi, Wildnis, secondo la celebre immagine jüngeriana – per un confronto con aletheia. Nonostante queste avvertenze metodologiche, è ovviamente necessario adoperarsi per un confronto serrato con la questione centrale del saggio: come accostarsi alla comprensione dell’Origine? Sessa chiarisce che essa «non è l’Inizio, ciò che era prima, ma qualcosa che continua a vigere, ad essere presente, testimoniato nella storia» (Ibidem). Questo nucleo, stretto fra immanenza e trascendenza, storia e sovrastoria, in-voca l’ascolto rammemorante di un principiare sempre possibile, a un tempo aperto e conchiuso, che si manifesta e insieme si sottrae. L’Origine è indicata quale natura aurorale e mistero dell’Essere, che, per Heidegger, «si raccoglie nell’ultimo commiato del suo co-mandamento destinale. L’essenziare durato finora dell’essere tramonta nella sua ancora velata verità» (Sentieri erranti nella selva, Bompiani, Milano 2006, p. 384). L’Origine può essere incarnata da alcune figure simboliche: Dioniso, ampiamente analizzato da Sessa tramite gli strumenti concettuali di Giorgio Colli e Karoly Kerényi, ma anche Puer–Senex, figura unitaria tratta dalla lezione di James Hillman, in particolare nel suo studio Puer aeternus: «Nel suo abbraccio si susseguono ciclicamente nascita e distruzione dei mondi, esso è l’Aperto e lascia apparire i molti kósmoi. É l’Inizio e, pertanto, è pais coincidente con il proprio gioco e con le pedine stesse del gioco» (p. 81).
Accogliere questo tipo di Weltanschauung comporta in primo luogo una metànoia, un mutamento interiore, che è un ricordare – secondo la migliore tradizione platonica –, ovvero un ricondurre una disposizione alla sfera del Sé, nella sua integralità. Ne emerge un pensiero alternativo tanto rispetto agli schemi soggettivisti e volontaristi, quanto nei riguardi del materialismo e meccanicismo: esso scaturisce dalla grecità presocratica e riaffiora sporadicamente – spesso incompreso o misconosciuto – nella tradizione occidentale, in particolare nell’opera di quegli studiosi che con la grecità si sono ermeneuticamente confrontati. Ecco allora che uno dei saggi di Sessa è dedicato all’itinerario speculativo condotto da Heidegger e Colli nel loro confronto con Anassimandro, laddove un secondo offre un affresco più generale della disposizione filosofica dell’intellettuale italiano. La filosofia dell’espressione elaborata da quest’ultimo, volta a una rievocazione del contatto con l’Origine, sposta l’accento dal soggetto moderno all’oggetto (in cui il soggetto stesso è compreso), in un’approssimazione all’arché che Sessa confronta con le intuizioni evoliane. Alla filosofia idealista, o meglio transattualista, del pensatore romano è dedicato un saggio che trae spunto dalla voce “Evola” dell’Enciclopedia filosofica Bompiani, curata da Roberto Perini, per ricostruire la speculazione dell’autore tradizionalista, la cui vetta conoscitiva è raggiunta, secondo Sessa, nella teorizzazione di una Nuova Oggettività, contraddistinta da «uno stato in cui “non c’è soggetto dell’esperienza né oggetto che venga sperimentato”, che sta nel senso di assoluta presenza» (Julius Evola, Cavalcare la tigre, Edizioni Mediterranee, Roma 2012, p. 115). Il metodo tradizionale, su cui si fonda la ricerca evoliana, viene analizzato da Sessa nel primo dei saggi che compongono il volume: tale metodo, contraddistinto dall’attenzione per i nessi fra storia e sovrastoria, tempo ed eternità, viene inaugurato da Walter Heinrich, discepolo di Othmar Spann e punta di diamante della scuola di Vienna, nel volume Sul metodo tradizionale. Si tratta di un punto di snodo, crocevia in cui l’eredità romantica della scuola di Heidelberg, rappresentata al meglio dagli studi sul simbolo di Bachofen, incontra le suggestioni del pensiero tradizionalista, che darà i suoi frutti più acuti proprio in Italia, nell’opera di Zolla e di Evola, sino a giungere alle recenti intuizioni del compianto Gian Franco Lami, sulla scorta del quale Sessa asserisce: «Sia il mito dotato di sostanzialità o sia esclusivamente “fatto” umano, ciò che conta è porsi lungo i suoi sentieri, per seguire un percorso infinito nel quale le generazioni si incontrano attorno al mundus, centro esperienziale e simbolico della comunanza di vivi e morti, nell’attimo immenso in cui passato e futuro convergono nel presente» (p. 54).
Chiude la raccolta uno studio sulla compresenza di Tradizione e socialità nell’attività metapolitica di Berto Ricci: un invito a seguire le orme di un pensiero dissidente – per impiegare una felice espressione di Davide Bigalli – che apra scorci utopici, ma non utopistici – secondo la lezione di Lami – nel presente orizzonte a tinte fosche. In una krísis che è palesarsi concreto del pluralistico – in quanto esistenziale, religioso, filosofico ed economico – affossamento di una cornice di civiltà, il volume di Sessa invita a trasmutare la farsa in tragedia, cogliendo la componente dinamica e de-cisiva della crisi stessa e guardando in faccia la decadenza nella consapevolezza che l’epistrofé verso l’Origine è sempre possibile.
Giovanni Sessa, Itinerari nel pensiero di Tradizione. L’Origine o il sempre possibile, Solfanelli, Chieti 2015, pp. 168, € 13,00.