Figura dell’Alchimia inglese del XVI secolo (1527-1608). Nacque a Londra il 13.7.1527. Suo padre Roland proveniva da una famiglia piuttosto distinta, e amava profondamente suo figlio. Rendendosi conto delle sue grandi capacità, lo indirizzò principalmente allo studio della Letteratura Greca e Latina. Studiò poi a Chelmsford, nell’Essex, ma poi, avendo completato felicemente il suo curriculum di studi, verso la fine del 1542 fu iscritto dal padre a Cambridge, nel collegio dedicato alla memoria di San Giovanni Evangelista, al Corso di Scienze Superiori.
Pochi suoi lavori sono stati ristampati in tempi moderni, con l’eccezione proprio della Monade Geroglifica che, fin dalla sua prima apparizione nel 1564 (Monas Hyerogliphica, Antwerp, 1564), è passato attraverso sei edizioni e si trova ancor oggi nelle librerie. In quest’opera Dee tenta di simbolizzare l’omogeneità dell’Universo e del Creatore, ogni elemento individuale essendo descritto come componente rapportato alla Monade, rappresentato come emblema Mercuriale combinato con il punto e il Crescente Binario. Tornato in Inghilterra, si stabilì a Greenwich, residenza estiva della regina, e si intrattenne con lei sulla pietra filosofale. Preso nuovamente dal desiderio di viaggiare, nel 1571 si recò nella Lorena. Ammalatasi la regina Elisabetta, dovette tornare in Inghilterra. Si stabilì allora Mortlake, sulla riva destra del Tamigi, a otto miglia da Londra, dove la regina si recava d’estate a respirare aria pura. A Mortlake si sposò, e per alcuni anni visse tranquillo. Essendogli morta la moglie nel 1575, entrò sempre di più nelle grazie della regina, che spesso si recava a visitare la sua famosa biblioteca e le celebri collezioni raccolte. D. nel frattempo si dedicava alla ricerca degli Arcani della filosofia occulta, e soprattutto allo studio del problema dell’Elisir Filosofico. Al principio del 1580 si mise in società con un giovane venticinquenne, detto Kelley, per studiare l’occulto; costui l’accompagnò sempre in tutti i viaggi, e fu cagione delle sue sventure. Credendo d’essere perseguitato, il 21 settembre 1583, Dee fuggì da Mortlake con la sua seconda moglie Jane Fromond, (sposata il 5 febbraio 1578), con suo figlio Arturo, allora di quattro anni, con gli altri suoi bambini, con Kelley e sua moglie (sposata in quello stesso anno) e coi servi, insieme con un tale Alberto di Lasky, nobile Polacco. Costoro, dopo molte peripezie, sbarcarono a Briel (Olanda), donde si diressero al castello del Lasky (presso Cracovia), che raggiunsero felicemente il 3 febbraio 1584. D. rimase soltanto cinque settimane al castello di Lasky. Il 9 marzo del 1584 si recò a Cracovia, dove continuò le sue operazioni magiche. Dopo un soggiorno di alcuni mesi in quella città, si rimise in viaggio, e giunse l’8 agosto a Praga, dove Rodolfo II, imperatore di Germania, teneva una brillantissima corte. Dee e Kelley si recarono alla corte dell’imperatore, ma Rodolfo II dubitò subito della scienza di Dee. Fu così costretto a lasciare Praga e, dopo molte peripezie, il 2 aprile 1585 tornò a Cracovia. Anche a Cracovia le cose non andarono bene: il re Stefano accolse D. alla sua corte, e il 27 maggio del 1585 accettò di partecipare a una seduta magica. Ma quando si trovò all’atto pratico, si spaventò moltissimo, lasciando da solo Dee del quale poi respinse ogni ulteriore proposta. Verso la fine di luglio del 1585, D. tornò a Praga in pessime condizioni finanziarie. Là lo attendevano altre traversie. Fu pedinato da un certo Francesco Pucci, un fiorentino spia del Sant’Uffizio, che su richiesta del vescovo di Piacenza, nunzio del papa, aveva istruzioni di condurlo a Roma e di bruciarlo come mago e negromante. Dee si salvò grazie all’imperatore, che lo sottrasse al rogo ma lo bandì dai suoi stati. Un suo allievo, il nobile Guglielmo Ursino, signore di Rosenberg, burgravio di Boemia, dopo averlo difeso di fronte a Rodolfo II, l’ospitò nel suo castello di Tresbona. In esso lo sfortunato D. dimorò dal 1586 al 1589. Nel 1589 la regina Elisabetta lo richiamò in patria.
Essendo sempre considerato un mago e un negromante, il D. fu nuovamente veduto di mal occhio dalla corte e dal clero. Il 20 maggio 1595 la regina lo nominò rettore del Christ’s College di Manchester, che egli abbandonò volontariamente nel 1604 per tornare a Mortlake. Dopo la morte di Elisabetta nel 1603, la vita e la salute di Dee si deteriorarono rapidamente. La sua reputazione come mago continuò ad intralciarlo, e persino al College di Manchester incontrò ostilità. Il successore della regina, Giacomo I, autore di “Demonologia”, in seguito divenuto il testo dei cacciatori di streghe, lo trattò sfavorevolmente, ma gli permise di vivere in relativa pace per il resto della sua vita. Morì nel 1608, e fu sepolto nella Chiesa di Mortlake. Fu uno scrittore prolifico, produsse numerosi libri e manoscritti lungo l’arco della sua vita. Queste opere coprirono svariati argomenti: le arti, le scienze e la filosofia furono tutti rappresentanti in ammirevoli ed eruditi dettagli, alcuni così lunghi e complessi che i tipografi rifiutavano di accettarli. Nel 1570 egli pubblicò il suo ampiamente acclamato “Introduzione alla matematica” per l’edizione inglese di “Geometria di Euclide“, traduzione di Sir Henry Billingsley, Londra, 1570, un lavoro di grande originalità ed erudizione, che esercitò grande influenza sul pensiero scientifico del sedicesimo secolo. A parte i suoi scopi letterari, fu un prodigioso collezionista di libri. La sua biblioteca contenne circa tremila volumi e parecchie centinaia di manoscritti, superiore a qualsiasi altra raccolta nel mondo Elisabettiano. Questi, insieme con un vasto apparato di documenti celtici, antichi sigilli e genealogie, furono conservati nella sua casa di Mortlake. La casa di Mortlake ospitò anche la sua collezione di strumenti scientifici: astrolabi, quadranti, globi, ogni sorta di strumenti ottici e di navigazione stipati nei suoi laboratori.
Nella sua “Vita Joannis Dee” (1707), Thomas Smith descrive il contenuto della biblioteca di Dee nel seguente modo: “Al nobile contenuto della Biblioteca appartenne una non moderata accumulazione di strumenti matematici ed apparecchiature, anche quelli che, a quel tempo, non erano entrati nell’uso comune e quelli che, emendati e riformati con la propria ingegnosità, aveva riportato ad una migliore condizione, tra cui erano un quadrante ed un’asta, il cui semidiametro misurava cinque piedi. Di questi, dieci accuratamente segnati da divisioni, il globo di Mercator, furono corretti e migliorati con nuove osservazioni. Egli aveva inserito i luoghi e i moti delle comete, che apparivano al tempo giusto, l’ottavo, il nono e il decimo delle loro sfere, secondo le ipotesi della teoria di Purbachius, ornati con un orizzonte e una meridiana di ottone. Aveva compassi da marinaio di vari tipi, fabbricati per trovare la variazione e, infine, una sveglia che, a quell’epoca, fu considerata quasi un miracolo, adatta a misurare i minuti secondi delle ore”. Dee inventò vari strumenti di navigazione su suo disegno: tra questi un dispositivo che chiamò Compasso Paradossale, che potrebbe venire adottato per evitare errori nel tracciare le carte. I marinai, comunque, non si fidarono di questa innovazione (o, forse, non compresero il complesso principio della sua operazione), ed esso venne usato raramente. Stranamente, furono i talenti inventivi che per primi risollevarono la sua reputazione di mago. Nei suoi primi giorni a Cambridge fu il responsabile di una messa in scena della “Pax” di Aristofane, per la quale egli inventò una blatta meccanica o Scarabeus, che volò per aria fino al Palazzo di Jupiter, trasportando un uomo ed un cestello di cibo. Ciò lasciò così meravigliato il pubblico, che era per lo più ignorante di arti meccaniche, che si sparsero voci ad effetto secondo le quali aveva compiuto tale meraviglia con l’aiuto dei demoni. Simili credenze superstiziose in seguito (1583) fecero sì che la casa e la biblioteca di Dee fossero frugate da una moltitudine di gente mentre lui e la sua famiglia viaggiavano nel Continente. Tra le sue opere alchemiche ricordiamo: La Monade Geroglifica (1564) (La Monade Geroglifica, Arktos, Carmagnola, 1981); Liber Mysteriorum I – V; Trattato Magico; De Heptarchia Mystica (1582) (De Heptarchia Mystica, Atanor 1986) e molti pregevoli manoscritti.
Vittorio Vanni