Potremmo dire “chi non muore si rivede” con questa nuova antologia di racconti su Julius Evola appena edita da i tipi de L’Idrovolante, curata come indubitabilmente avviene da sempre, da Gianfranco de Turris con il cinematografico titolo de Il ritorno del barone immaginario. Quella precedente era uscita per Mursia Editore nel 2018 ed era appunto Il barone immaginario.
Questa nuova raccolta attesta innanzitutto un fatto che piaccia o meno, deve essere accettato senza se e senza ma, ovvero che la figura controversa, amata, odiata, criticata od osannata nella propria multiforme totalità, di Giulio Cesare Andrea Evola non lascia – e non potrebbe fare diversamente – indifferenti gli animi. Ecco allora l’Evola pittore dadaista, mago, orientalista, soldato e innumerevoli altre sue “manifestazioni” in una vita che per quanto qua “inventata”, nella realtà non ha nulla da invidiare all’immaginazione. Evola fu – è – tutto questo e ancora di più quindi ben si presta a diventare un “eroe da romanzo”, come avrebbe detto Cyrano de Bergerac.
I racconti che compongono la raccolta sono variegati e variati, certo non tutti – ma quasi – hanno incontrato il mio favore, per le ragioni critiche che dopo chiarirò. Detto questo, del tutto ininfluente comunque, restano invece degni di merito, nota e plauso alcune novelle sul Barone, a cominciare dall’ottima prova che ne dà Alberto Lombardo, certo fortificato da una sua lunga attenzione di studioso all’intera opera evoliana. Va detto che la caratteristica, forse a volte rasentante l’eccessiva didascalicità, dell’aderenza agli scritti e ai pensieri del “filosofo in guerra”, dell’ermetista e del ghibellino che fu Julius, è comune a tutti i narratori cimentatisi in quest’impresa e potrebbe fungere da ulteriore sprone a coloro che magari si avvicinano per la prima volta al corpus letterario e sapienziale dello scrittore, ma al tempo stesso rischia di diventare troppo referenziale ad un esclusivo circuito di estimatori, come avviene nel racconto erotizzante di Guido Andrea Pautasso. Il dèmone della vanità del voler fare a gara, con citazioni e rimandi, a chi è più colto, si nasconde sempre – in maniera non eccelsa – tra molte delle righe di alcuni racconti, ma è un peccato “veniale” suvvia, non facciamone questioni di stato. Nessuno nasce imparato, men che meno chi si sopravvaluta anche come scrittore.
Tema analogo, quello della magia erotica, trattato anche da Vitaldo Conte – del resto l’argomento dell’Eros e della Magia Rossa sono da decenni la cifra della sua produzione – nel suo racconto che tratta di un Evola anziano, immerso nei propri ricordi ma non per questo meno attivo nell’arte della conoscenza d’amore. Julius Evola – e non lo dico in maniera negativa anzi – diventa così un “GI Joe”, un modello posizionabile e multiruolo, iper-adattabile alle sfumature immaginarie di ciascun scrittore, uscendo in tal maniera dalla propria autonomia e identità per diventare un archetipo fantastico, avventuroso, erotico come soltanto una persona realmente vissuta avrebbe potuto fare.
L’altro racconto che voglio segnalare favorevolmente è quello di Alex Voglino, che mostra e dimostra tutta la sua antica e migliore capacità di narratore fantastico avventuroso, ed è forse al proprio meglio quando lascia le confortevoli brughiere arturiane o tolkieniane a lui tanto care. Così come piacevolmente dotta e quasi affettuosamente reverenziale, così come si farebbe verso un Maestro, nei confronti del Barone, è la storia ermetico-egizia raccontata da Luca Valentini.
Oltre questi comunque sono validi anche gli altri racconti, tra reminiscenze lovecraftiane e spruzzate d’umorismo che male non fa, in un variopinto affresco come se fosse più un mosaico bizantino frammentatosi nel corso dei secoli e rimesso in sesto, in un restauro per tutti, della vita sognata di una delle figure ancora adesso più originali e interessanti non soltanto del mondo della Tradizione, ma di quello che è stato l’intero milieu novecentesco. E se con il nome di Julius Evola – ancorché ricordato limitatamente solo come filosofo – sta ancora in solitario e aristocratico ritiro a campeggiare su una targa commemorativa a Sutri, proprio a pochi passi dal mitreo locale, quasi un cippo dimenticato ed evocante un “mago e milite ignoto”, questa seconda prova su di lui aggiunge un ulteriore tassello al suo ricordo che non muore. Tuttavia, ci chiediamo maliziosamente, se ci sarà – come si usa nelle migliori saghe – un terzo capitolo, e che magari potrebbe essere intitolato “Il barone immaginario colpisce ancora”. Hai visto mai…
(*) Autori vari, “Il ritorno del barone immaginario”, a cura di Gianfranco de Turris, Idrovolante Edizioni, pagine 290
Dalmazio Frau
(articolo tratto dal sito www.opinione.it, con il consenso dell’autore)