-” a Mauro e a quel ‘vagabondo che son io…” –
Ho davanti a me, sulla scrivania, il libro di Tarmo Kunnas, titolo L’avventura di Knut Hamsun, edito in questo mese di settembre dalle edizioni Settimo Sigillo. Recando come sottotitolo ‘Uno studio sull’opera narrativa e sull’impegno politico del Premio Nobel norvegese’. E questa aggiunta si necessita perché, sebbene le sue opere siano state pubblicate in Italia nel corso di decenni e da varie case editrici, di questo scrittore poco o nulla si conosce se non – mi riferisco all’area del neofascismo, della cosiddetta destra radicale – la simpatia espressa verso la Germania sia durante la Grande Guerra (questa vicinanza, in verità, tenuta alquanto in ombra, essendo in antitesi con il clima fatto di irredentismo arditismo nazionalismo, considerati genesi del Fascismo) e, ancor di più, verso Hitler e il nazionalsocialismo ( di questa vicinanza, al contrario, ci si è resi interpreti benevoli, ma sempre mantenendo in ombra contenuti e qualità dei suoi romanzi).
Di Tarmo Kunnas, studioso finlandese, si conosceva già La tentazione fascista, edito in Italia nel 1982 per la Akropolis, cooperativa editoriale di Napoli, libro già apprezzato da Renzo De Felice (‘C’è un bel libro – il più bello, secondo me, che sia stato scritto su quel tema estremamente difficile, irto di trabocchetti, che è il discorso sull’ideologia fascista; – il libro è di Kunnas, un finlandese che, sia pure solo attraverso gli esponenti più noti della cultura fascista europea, ha visto finora meglio di tutti certe linee di fondo’, da Intervista sul fascismo del ’75) e dallo stesso Giuseppe Prezzolini, pur se con diverse note critiche, d’essere ‘una piccola enciclopedia del fascismo da tener sottomano’. In effetti il testo, scritto in francese, è dedicato in massima parte – e già è indicato nel titolo originario – agli intellettuali francesi, Drieu e Céline e Brasillach -, ma non si trascurano altre figure come, appunto, Knut Hamsun. E, proprio nella prefazione all’edizione italiana, egli prede le mosse dallo scrittore norvegese ricordando come ‘quando, nel giugno del 1944, gli alleati sono sbarcati in Normandia, il più grande scrittore scandinavo dell’epoca, Knut Hamsun, ha espresso la propria solidarietà con i nazionalsocialisti, dichiarando: – Per l’Europa, è una questione di vita o di morte. E l’Europa sceglierà la vita’ (nota personale: come dargli torto osservando questi settant’anni di ‘pax americana’?).
Ora, s’è detto, egli dedica un intero saggio al romanziere – e dico al romanziere perché è, in primo luogo, uno studio di analisi letteraria, anche se non poteva mancare un capitolo su ‘le idee politiche e sociali’ di cui si fa critico e, a volte, con espressioni poco gradevoli e sicuramente non condivisibili ai nostri occhi – i quali, si tenga a mente, hanno sempre ‘ragione’ nascendo dalla mente e dal cuore e dal vissuto. E noi, si sa, siamo faziosi e innamorati fedeli della nostra storia… Se qualcuno si aspetta braccia tese, bracciali e labari, rullo di tamburi, bandiere al vento e i canti della Rivoluzione, Giovinezza e la Horst Wessel Lied, insomma ritrovarsi nel proprio immaginario di simboli e miti, rimarrebbe deluso e si sentirebbe tradito d’aver speso 20 euro. Se, al contrario, è in cerca di conferme o dissenso su percezioni eco riflessioni avventure scoperte che sono quel misterioso dono offerto e, al contempo, celato in ogni pagina letta nella quale cerchiamo il senso nelle righe e fra le righe, allora accostiamoci al saggio di Kunnas e rispolveriamo i diversi libri di Hamsun che sono parte della nostra compagnia spirituale.
Erano gli anni in cui la lotta politica, la rivolta generazionale, sposava gli orizzonti dell’utopia con i confini di terre lontane – il viaggio in India, in primo luogo, in cerca di un guru, sovente un cialtrone – o, con minori pretese e meno soldi, verso i paesi dell’Est – ‘la primavera di Praga’ agosto ’68 e Riccardo e i carri armati del Patto di Varsavia; la Romania del Capitano (ovviamente per chi condivideva il Fascismo ‘immenso e rosso’) e sempre con Riccardo, la Polonia percorsa in battello sulla Vistola verso la Danzica tedesca, la città contesa del 1 settembre 1939 – oppure le terre del Settentrione, l’estrema mitica Thule, il favoleggiato ostello della gioventù a Capo Nord -. E così, sacco a pelo e zaino in spalla, ai piedi pesanti e duri anfibi militari comprati al mercatino di via Sannio, attraverso la Danimarca in battello lo Skagerrak Oslo con le case proiettate alla ricerca di ardite soluzioni architettoniche e i colori più contrastanti delle facciate la corriera per il Telemark, la regione a Sud con straordinari paesaggi montani Bergen e la piazzetta del mercato del pesce e su, sempre avanti, fiordi cascate laghetti boschi rocce coperte di muschio. (Ne ho raccontato, ultimo capitolo, in Strade d’Europa, frammezzando i ricordi con passi di Hamsun de Per i sentieri dove cresce l’erba, scritto all’età di 87 anni a ricordo del suo internamento e condizione di isolamento al termine del conflitto mondiale).
Nel 1962 Le edizioni del Borghese pubblicano proprio quest’ultima opera di Hamsun dandole però quale titolo Io, traditore. Conservo quella copia acquistata alla cifra di lire 1500, ingiallita fragile dimessa come s’è fatto il suo proprietario. Altro motivo per voler bene alla propria biblioteca. Sintomatico di quanto scritto in precedenza. Il richiamo doveva evocare il mondo scomparso della guerra, i vincitori tronfi di sé, reclamanti la vendetta mascherandola da giustizia. E certo con questo spirito l’ho comprato, perdendo probabilmente in prima lettura, diciottenne (come Drieu bisognoso di misurare le mie forze attraverso l’adesione al mondo escluso e rissoso del neofascismo), il sapore dei luoghi delle sensazioni delle atmosfere delle profondità in cui il meglio della scrittura si fonda. Anche in ciò l’attuale saggio di Kunnas colma un vuoto, sana una ferita (lo scrittore è ciò che è o è ciò che lascia traspirare dalla sua opera complessiva? Quanti sono i segreti in cui l’uomo e la parola si nascondono disvelandosi).
E mi torna a mente Mauro, con cui dividemmo l’esperienza di aver coniugato musica e parole, Le sbarre e le stelle, lettura recitata dei Poemi di Fresnes. Così ospiti nella discoteca Carnaby di Rimini e poi Varese Trieste Littoria Viterbo e le tante volte a Roma. Sempre puntuale, attento, coinvolto con i capelli biondi fattisi grigi lo sguardo buono e la giacca e la cravatta e il tanto amore verso Hamsun, uno dei pochi. La vita, poi, come sovente accade, allontana senza un vero perché, per ritrovarti in un letto d’ospedale, prossimo alla morte. E la memoria, simile ad onda sulla riva, riporta ciò che comunque ci appartiene. Knut Hamsun, Mauro… Come scrive lo stesso Kunnas ‘l’autore che si credeva scomparso o defunto vive nella sua opera. E’ facile porre l’accento sulla grande passione hamsuniana per la vita, per la natura, gli esseri umani, gli animali, il mondo cosmico’. Ciò vale per ognuno di noi – ‘non omnis moriar’ -, anche se a un nichilista ciò non consola, anche se la nostra opera è simile alla formica, pietra per un cantiere di ideali sogni quotidiano esperire.
‘Conservatore tradizionalista, – lo definisce Kunnas (ed io penso a quel geniaccio di Céline)– un difensore dell’ordine; … nemico di ogni organizzazione, anarchico ludico, modernista ribelle’. E ancora: ‘il modernista e l’anarchico hanno la meglio sul conservatore’. Giudizi politici che vanno oltre la politica perché ridurre la scrittura ad un qualsiasi elogio del ‘migliore dei modi possibili’ è da imbecilli, da marxisti pervicaci e inetti, da distributori di volantini all’angolo di strada. Così preferisco quando, poche righe sopra, egli lo definisce: anti-intellettuale e intellettuale, istintivo e sagace; è morale ed amorale; è comico e tragico; è ottimista e pessimista… racchiude in sé il filosofo ed il poeta’… E, soprattutto, essere capace di mettersi a nudo nella più intima e sofferta confessione: ‘ho ricevuto dal cielo tanti doni benedetti, ma li ho rovinati e fatti a pezzi a forza di ragionare. Mi basta toccarlo con la punta delle dita, e il polline cade dal fiore’. L’importante è, mi sento di aggiungere (mi torna a mente il testamento di Drieu), preservare le mani pulite…
Qualcuno canta da dietro la porta della cucina, una voce giovane e femminile. Non intonata, conta poco. E mi offre biscotti speziati e, in un capanno per gli attrezzi della pesca, il luogo ove trascorrere la notte e il riparo dalla pioggia fitta e lieve. Non ricordo il nome di quelle quattro case, di un minuscolo agglomerato lungo il fiordo, forse di pescatori o agricoltori a nord di qualsiasi nord. Non andrò oltre, in fondo non sono un viandante, certo non un viaggiatore, solo un vagabondo incapace di portare a termine qualsiasi meta o percorso intrapreso. ‘Di tutto ciò che vive nel mondo, solo tu sei nato senza motivo, o quasi. Non sei né buono né cattivo, sei stato creato senza scopo meditato. Vieni dalla nebbia e tornerai nella nebbia, tanto grande è la tua imperfezione’. Già, eppure quella notte tradussi la sua immagine, occhi azzurri e ridenti, il seno piccolo e candido, perché con il linguaggio del corpo il vagabondo diviene un poeta e, in rari momenti, si eleva re del cielo stellato e signore della terra.
Il saggio di Tarmo Kunnas mi ha riportato indietro di trenta-quaranta anni e, se fosse anche solo per questo, devo ringraziarlo. Esso è, certo, di più, ma la mia non è una recensione… Io non conosco altro, in fondo, che la musica suonata su una nota solitaria e completamente a me dedicata; la mia Storia merita, essa soltanto, d’essere scritta con la maiuscola. Unico…
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