7 Ottobre 2024
Appunti di Storia Fumetto d'Autore

Kurt Caesar oltre Romano: “Marsch und Kampf des Deutschen Afrikakorps 1941”


Francesco G. Manetti

I nostri lettori dovrebbero ormai conoscere a menadito l’opera più importante di Kurt Caesar, Romano il Legionario, analizzata su “EreticaMente” per la prima volta nella sua completezza. Nell’ultima puntata che avevamo dedicato a quella immortale saga a fumetti avevamo accennato a un libro al quale il disegnatore collaborò da protagonista fra il 1941 e il 1942, quando era al seguito del Generalfeldmarschall Erwin Rommel in Africa come ufficiale, con il grado di Sonderführer Z (tenente). Si intitolava “Marsch und Kampf des D.A.K. – Band I – 1941” (“Avanzata e battaglia del Deutschen Afrikakorps – Volume I – 1941”) e fu edito nel 1943 dalla Carl Röhrig Verlag di Monaco; era diviso in due parti (primo e secondo semestre dell’anno in esame) e i volumi successivi, che avrebbero dovuto occuparsi del 1942 (il “Band II”, annunciato nell’ultima pagina del libro), del 1943, etc., non uscirono mai, com’è facile intuire. Il sottotitolo recitava “Herausgegeben vom Generalkommando des Deutschen Afrikakorps” (“Rilasciato/pubblicato dal Comando Generale del Deutschen Afrikakorps”) e il testo era bilingue italiano-tede

Copertina originale del volume, 1943

sco, perché il tomo era stato immaginato per essere consegnato ai partecipanti al conflitto contro i britannici, i soldati delle forze italo-germaniche. Caesar si occupò dei testi della parte storico-culturale e di tutti i raffinatissimi disegni; senza contare i minuscoli “schizzi” di “collegamento” fra un capitolo e l’altro, le illustrazioni grandi erano ben oltre cento, molte delle quali a “tutta pagina”, realizzate con stile fotografico e abbozzate in presa diretta sui luoghi descritti, per così dire “in tempo reale”, da giornalista, durante i combattimenti, gli spostamenti e le avanzate del DAK e dell’alleato fascista.

Il libro fu ristampato in Germania nel 1994 da Mittler & Sohn, ma, anche se furono salvate tutte le illustrazioni (con qualche ritocco marginale, come alcune firme dell’autore cassate, se troppo vicine ai bordi, per questioni di formato e cose simili), furono operati pesanti tagli ai testi: la traduzione italiana (molto probabilmente in parte dovuta allo stesso Caesar, che non era solo “artista corrispondente di guerra”, ma anche uno degli interpreti di Rommel) fu quasi completamente eliminata e varie didascalie furono riscritte, con un occhio al “politicamente corretto”. Prova ne sia l’immagine del soldato britannico morto nelle sabbie della Cirenaica (a pag. 15 nell’originale e a pag. 33 nella ristampa); la versione del 1943 riportava una frase estrapolata da un discorso di Adolf Hitler del gennaio 1941 (“Wo wir England schlagen können, Werden wir England schlagen”, ovvero “Dove possiamo battere l’Inghilterra, batteremo l’Inghilterra”), mentre quella del 1994 dice semplicemente “Gefallener Engländer in der Wüste” (“Inglese caduto nel deserto”). A onor del vero c’è da dire che nell’edizione del 1943 le didascalie in italiano tendevano a “interpretare” le didascalie in tedesco, piuttosto che tradurle letteralmente, mettendo in risalto il ruolo dell’alleato fascista, quando era sottaciuto o sminuito nel testo germanico; ciò salta agli occhi nelle didascalie poste sotto le due cartine militari (Mediterraneo Ovest ed Est) presenti all’inizio del volume.

Di parzialmente interessante la ristampa del 1994 offre soprattutto la breve prefazione di Manfred Rommel (1928 – 2013), unico figlio della Volpe del Deserto, politico della CDU e, n

Il soldato inglese morto nel deserto

el periodo in cui scrisse l’intervento, sindaco di Stoccarda; Manfred parla in termini molto generici e non celebrativi del padre (rispettandone comunque la memoria e la competenza militare e raccontando l’aneddoto per cui lasciò i combattimenti africani praticamente incolume, con un unico livido provocatogli da una scheggia di bomba britannica che gli si era incastrata tra la cintura e la giacca) e si dilunga con piglio pacifista e democristiano sugli errori del passato, sulla crudeltà della guerra, sulle mine che erano ancora disseminate nel nord Africa, sulla riconciliazione fra Alleati e Tedeschi, etc.; segue una lunga introduzione di Reinhard Stumpf, un esperto di storia militare, che tenta di contestualizzare e storicizzare il tutto. 

Esiste anche una ristampa americana, del 1998, edita da Stackpole Books con il titolo di “Rommel’s Year of Victory” (“L’anno vittorioso di Rommel”); in Italia, nel 2007, il volume su riproposto in versione anastatica, da Editore Grafica Ma.Ro. di Pavia.

Per quanto diremo sotto ci atterremo alla versione originale del testo; e riporteremo alcuni brani particolarmente interessanti, così com’erano nell’originale, scritti in un italiano non del tutto corretto – in certi punti addirittura naif.

Nel dettaglio delle illustrazioni – Il primo semestre

La copertina del libro, oltre al titolo in tedesco, riporta un termine in arabo, sahrā, “deserto”, ovvero il Sahara, il deserto africano per eccellenza. Dopo il frontespizio, i copyright, l’indice e l’elenco dei collaboratori (nel quale si spiega il duplice ruolo di scrittore e artista avuto da Caesar nell’opera) c’è l’introduzione di Erwin Rommel, qualificato come General der Panzertruppen und Befehlshaber der Panzergruppe Afrika (“Generale delle Truppe Corazzate e Comandante del Panzergruppe Afrika”): si tratta della semplice riproduzione fotografica del manoscritto che il generale vergò, senza alcuna trascrizione in caratteri di stampa.

Rommel secondo Caesar

Il ritratto eseguito nel 1941 del Comandante Rommel, sorridente e soddisfatto, è la prima illustrazione di Caesar ad apparire nel libro. Seguono le effigi del Generalleutnant Ludwig Crüwell (comandante dell’Afrikakorps, controllato dal Panzergruppe Afrika, guidato da Rommel), dell’Oberst Fritz Bayerlein (Capo di Stato Maggiore del DAK, che per il libro si occupò delle descrizioni dei combattimenti del 1941), del Generalmajor Walter Neumann-Sylkow (morto alla fine del 1941, in seguito a ferite di guerra, nell’ospedale da campo Italiano di Derna, in Libia), del Generalmajor Johann Von Ravenstein (aiutante di campo di Rommel in Africa) e del Generalmajor Max Sümmermann (primo comandante della 90a Divisione, morto alla fine del 1941).

Dopo questa sequenza di volti militari entriamo nel vivo del capolavoro artistico di Caesar, con il corpo del soldato inglese nella polvere di cui abbiamo già parlato: il volto del nemico caduto è pietosamente e rispettosamente coperto. Arrivano poi due cartine, ugualmente citate, riproduzioni di carte militari italiane, molto probabilmente non dovute alla mano dell’artista. Ci spostiamo dunque nel porto di Tripoli, dove due locali, intabarrati negli abiti tradizionali, sono inquadrati mentre chiacchierano seduti; uno volge le spalle al disegnatore e con una mano si copre la faccia, quasi a voler evitare di essere “fotografato”; vicino a loro due carri armati italiani modello M14/41 della Ansaldo. La prima immagine di combattimento arriva dopo un lungo racconto sulle imprese del DAK fra il dicembre del 1940 e il giugno 1941: si illustra un tentativo inglese, con fanteria e mezzi corazzati, di sfondare le linee nemiche. Come spiega il testo italiano:

Per il D. A. K. questi giorni furono estremamente pericolosi. Appena 80 carri armati tedeschi dovettero sostenere e respingere il violento urto di quasi 400 carri armati nemici. La maggior parte dei mezzi corazzati nemici era del tipo Mark IV, Mark VI e Mark II. Le truppe inglesi sostenute dalla massa dei carri armati erano numericamente molto superiori alle truppe italo-tedesche”.

Molto più “rilassante” l’inquadratura successiva, con la Torre dell’Albergo Casinò Uaddàn di Tripoli, costruito nel 1935 su visionario progetto dell’architetto romano Florestano Di Fausto (1890 – 1965), uno dei massimi artefici delle costruzioni coloniali fasciste nella Libia italiana; inaugurato nel 1936 come prima struttura ricettiva internazionale della Libia l’albergo esiste ancora, restaurato negli ultimi anni dell’epoca di Gheddafi, con il nome del lussuoso Hotel al Waddan (in riferimento alla cittadina saudita sacra per la religione islamica); lo stesso Rommel vi alloggiava, tanto che l’illustrazione successiva era proprio una veduta del porto di Tripoli da una delle terrazze dell’albergo.

La torre dell’Albergo Uaddan

In mezzo ad alcune pagine di testo dedicate ai trasporti e alle comunicazioni per l’Africa in periodo di guerra, appare un nuovo ritratto (sempre “di quinta”, con lo sguardo diretto verso sinistra ovvero destra per chi osserva la figura, come quasi tutti quelli precedenti), realizzato da Caesar a Roma, il 1° aprile del 1941: si tratta dell’Oberstleutnant Graf von Klinckowstroem, che aveva scritto il paragrafo di cui sopra, e che era appunto il responsabile del settore trasporti militari in Africa; si trattava di un nobile, discendente da una famiglia di soldati e ufficiali prussiani.

I trasporti per l’Africa significano quindi lotte e battaglie continue: lotte per l’esistenza e per le vittoriose azioni delle truppe dell’Asse, combattenti nell’Africa del Nord. Speciale gratitudine meritano anche gli equipaggi delle navi mercantili che mettono a repentaglio la loro vita nei continui viaggi marittimi. Con orgoglio si può affermare che il numero delle vittime in rapporto alla mole dei trasporti marittimi è veramente esiguo. Con ferrea disciplina vengono osservate le norme di sicurezza per il salvataggio degli uomini imbarcati. La massa dei soldati però raggiunge l’Africa per via Aerea. La generosa Ju 52 (lo Junkers Ju 52, qui declinato al femminile, era un trimotore per il trasporto truppe e passeggeri, impiegato anche come bombardiere – n.d.r.) è per tutti i combattenti dell’Africa oramai vecchia conoscenza ed appartiene a questo teatro di guerra come la sabbia al deserto. Il soldato con la rara licenza in tasca la saluta come una vecchia amica, sapendo che lo riporta a casa con sicurezza e rapidità”.

Un bimotore Caproni Ca.309 “Ghibli” impegnato in un duello aereo contro sei Supermarine Spitfire inglesi

Dopo una bella panoramica marina che ritrae un convoglio di navi dell’Asse nel Mediterraneo, ecco il “marchio di fabbrica” di Caesar: i velivoli! Abbiamo così un bimotore Caproni Ca.309 “Ghibli” impegnato in un duello aereo contro sei Supermarine Spitfire inglesi e un trimotore ad ala bassa Savoia-Marchetti S.M.79 “Sparviero”, a quei tempi il bombardiere più veloce del mondo, colto dall’immagine nella sua versione aerosilurante. Si tratta di tre aeroplani che ben conosciamo, grazie all’epica di Romano…

Un trimotore ad ala bassa Savoia-Marchetti S.M.79 “Sparviero”

Appare poi il primo scorcio di architettura del luogo, la Moschea di Homs in Tripolitania, non distante dalle rovine romane di Leptis Magna, seguita dall’Albergo Sirte (nell’omonima città, capoluogo della zona dalla quale originava la famiglia di Gheddafi, centro di coltivazione dello zafferano), in un disegno desolato, straniante, che non ha niente da invidiare a un quadro del paesaggista americano Hopper; l’Albergo Sirte, nella memorialistica, è considerato quasi come un miraggio nel deserto, un’oasi di pace e conforto in un paesaggio altrimenti lunare. Dopo una panoramica di Sirte (con il suo minareto, unica caratteristica interessante del luogo secondo il testo), attraversata da una colonna di camion militari, vediamo passare lo stesso convoglio, sollevando nubi di fine sabbia, davanti a un cippo che segna la posizione di En Nofilia, a Est e più nell’interno rispetto a Sirte, sul confine con la Cirenaica e sempre sulla Via Balbia, l’arteria costiera libica stesa dagli Italiani; sulla strada punteggiata dai pali telegrafici la colonna incontra un indigeno in groppa a un dromedario, che guarda quasi sospettoso “in camera”. Merita riportare per intero il passaggio:

Quale contrasto vedere accanto ad un modernissimo autocarro un solitario cammelliere incrociare la nostra strada. Come nei secoli passati, cosi ancora oggi l’indigeno sta pellegrinando attraverso il deserto. Sembra che due mondi si tocchino senza che uno si preoccupi dell’altro. È un parallelismo tra l’Oriente e l’Europa — due mondi si avvicinano senza toccarsi. Noi contiamo giorni, ore, minuti e chilometri. L’indigeno, al contrario, non si interessa d’altro che delle sue minime necessità di vita. E mentre noi combattiamo per un migliore avvenire nazionale e per assicurare alla crescente popolazione un più vasto spazio, un libero cammelliere attraversa cavalcando il deserto non pensando all’oggi né al domani. Lui è legato ad una comunità, legato soltanto spiritualmente attraverso la fede in Maometto. Due mondi s’incontrano qui — due epoche — due estremi!”

Dopo l’immagine raffigurante un gruppo di soldati dell’Asse che respingono nel deserto un attacco inglese con un PaK (Panzerabwehrkanone, ovvero “cannone anticarro”), ecco altri poetici passaggi, stavolta dedicati alla polvere, alla sabbia e al solo del deserto:

Il PAK in azione

POLVERE !!!…

Polvere è immaginazione in Europa. In Africa è un fatto realistico e palpabile. Vi è polvere dappertutto. Tormentosamente colonne di veicoli si spingono avanti. Surriscaldati ed impolverati i motori lavorano faticosamente. Ci si meraviglia che con tanta polvere le macchine funzionino ancora. Una nuova colonna si spinge avanti su una pista. I cingoli mordono profondamente il terreno e sollevano nubi di polvere. Il veicolo che segue scompare quasi del tutto nel turbine di quella polvere-sabbia, che tirannizza dominando uomini e macchine. I carri che seguono ai primi possono appena intuire che altri veicoli li precedono. Ciò nonostante si avanza per delle ore e per centinaia di chilometri. I carri sono coperti di uno strato di polvere color bianco-giallastro. Conducenti, autisti ed accompagnatori altrettanto. La faccia degli uomini assomiglia ad una maschera di terra, sulla quale il sudore colante pittura profondi solchi. Su questi si formano nuovi grossi strati di polvere che, mescolati con altro sudore, danno al volto una colorazione del tutto caratteristica. Novizi ed ottimisti adoperano occhiali contro la polvere. Se si tenta di togliere dalle lenti il grosso strato di finissima polvere che le copre, esse si insudiciano talmente che ogni altra fatica diventa vana. Fazzoletti o qualche cosa di simile sono pieni di polvere perfino nelle tasche. Se a qualcuno viene in mente di aprire un baule ermeticamente chiuso per togliere da questo una linda pezza di tessuto, lo richiude deluso immediatamente; perfino nelle casse impermeabilizzate penetra questa sottilissima cipria sabbiosa. Gli orologi — se non sono ricoperti di materia plastica, si fermano. Non importa, poiché nel deserto il tempo non conta. Per delle ore colonne tormentate attraversano questo mare di sabbia che come una visione dantesca, si estende diabolicamente senza fine. Sostando per consumare il rancio a base di scatolame: ovunque c’è questa maledetta polvere che scricchiola perfino sotto i denti. Tenacemente la colonna procede innanzi per portare i rifornimenti a coloro che debbono combattere in prima linea sotto condizioni inimmaginabili per l’Europa. Meravigliosi questi cari ragazzi delle autocolonne italo-tedesche, che senza stanchezza compiono il loro dovere. (…) La regione stessa non offre nulla all’occhio che sabbia, sabbia, sabbia! Ora in lineamento agitato, poi ferma come dune, poi ancora sollevata in turbini e ammucchiata in forme sempre nuove e labili, talvolta mista con pietre che raggiungono dimensioni di blocchi di rupi. Questo e tutto! E poi il sole! Non c’è centimetro che offre in qualche modo ombra. Dappertutto l’aria vibra. I veicoli perdono a breve distanza le loro sagome caratteristiche e diventano strane caricature e quadri storpiati come le negative di un film che — sotto l’azione di un eccessivo calore — si sciolgono. Il fisico soffre sotto questa bestiale espressione della forza solare. Grondanti di sudore i conducenti bestemmiano in tutti i dialetti immaginabili: pero essi continuano nel loro faticoso viaggio, resistendo nel compiere il loro dovere.”

L’Arco dei Fileni secondo Caesar

Ecco poi un’inquadratura di En Nofilia, con la Fontana dell’Impero, un pozzo di acqua potabile sormontato dall’aquila romana, posta al centro del villaggio: l’avamposto fortificato italiano, modellato per rispettare le esigenze della popolazione locale, ospitava una moschea, una scuola, un mercato, un ufficio postale, una stazione radio, un comando dei Carabinieri e una clinica ambulatoriale aperta anche agli indigeni, nomadi e pastori. Subito dopo En Nofilia è vista dall’esterno e sembra davvero imprendibile. E poi il villaggio di tipo colonico costruito dagli italiani come punto di riferimento per le popolazioni nomadi. Dopo queste “oasi architettoniche” il deserto si riapre ai nostri viaggiatori: la Via Balbia si snoda fra le dune, dal Bivio En Nofilia fino all’Arco dei Fileni. Caesar rappresenta in tutta la sua maestosità questa costruzione contemporanea italiana, posta sulla Via Balbia a segnare il confine fra la Tripolitania e la Cirenaica. Il testo italiano, nel raccontare la leggenda che stava alla base della moderna architettura, si ispira al Bellum Jugurthinum di Sallustio:

I panzer di Rommel passano sotto l’Arco dei Fileni

Come un’improvvisazione si innalza nelle pianura del deserto un gigantesco Arco Trionfale nel moderno Stile coloniale italiano. Dista 650 chilometri da Tripoli, e ricorda l’antica Arae Philaenorum. Nella parte superiore dell’arco giacciono due colossali figure di bronzo, che rappresentano gli eroici fratelli Fileni. II commovente supremo sacrificio compiuto dai fratelli Fileni ci è tramandato dall’antichità (Sallustiö, Pompeiano e Valerio Massimo). I Cartaginesi avevano fondato e sviluppato un porto non lungi dalla greca-sirtica Antomala (probabiImente l’odierno Mugtaa El-Chebrit). L’antagonismo delle due città condusse presto ad una sanguinosa guerra, che si prolungava con grave danno dei belligeranti. Verso l’anno 350 a. C. si giunse finalmente ad un accordo che prevedeva un singolare accomodamento. Da Cartagine e da Cirene, nello stesso giorno e alla stessa ora dovevano partire due corridori. II futuro confine doveva essere tracciato nel punto d’incontro dei quattro corridori. Cartagine scese quali suoi rappresentanti i Fratelli Fileni notissimi atleti di allora, che eseguirono lo loro marcia con una incredibile tenacia. In mezzo del deserto sirtico si incontrarono con i rappresentanti di Cirene, che erano così di molto superati. Gli abitanti di Cirene, anch’essi atleti di gran classe, ostacolati nella loro marcia dal vento e dalla pioggia, per evitare conseguenze sfavorevoli per la loro Patria, accusarono i fratelli Fileni di non aver osservate le disposizioni del concordato e di essere partiti prima del tempo fissato. Da queste accuse sorsero estese e lunghe trattative. Finalmente i rappresentanti di Cirene proposero ai Cartaginesi di ripetere la competizione, ciò che fu rifiutato. Finalmente si fece una proposta di cui gli abitanti di Cirene, prevedevano in anticipo che non sarebbe stata accettata. Dissero: ‘Siamo pronti a riconoscere questi nuovi confini se i vostri corridori si dichiarano disposti a farsi seppellire vivi sul punto dove verrebbe tracciato il futuro confine’. Senza esitazione i fratelli Fileni si dichiarano disposti a sacrificare subito la loro vita per la patria. Nel luogo dove i fratelli Fileni fecero il sacrificio supremo, venne eretto l’Arae Philaenorum, che divenne non soltanto l’altare del più sublime amor patrio, ma anche una pietra eterna di confine tra Cirene e Cartagine. Il maresciallo Balbo, volendo dare vita perenne in una nuova forma a questo eterno grande spirito di Patria, fece erigere nel 1937 un nuovo Arco di Trionfo nel luogo dove presumibilmente i fratelli Fileni si fecero seppellire. Oggi l’Arco separa la Tripolitania dalla Cirenaica”. 

L’Arco dei Fileni su una carta geografica edita alla fine degli anni ’30 dall’Ufficio di Propaganda del Ministero della Guerra (collezione privata)

L’arco in travertino, sulla cui sommità era rappresentata in forma stilizzata una delle leggendarie Are dei Fileni, fu genialmente progettato dal già nominato Di Fausto. Si intendeva così celebrare non solo la fine vittoriosa della Guerra d’Etiopia, ma la costruzione della strada litoranea libica, la Via Balbia. Sulla sommità campeggiava una scritta latina, tratta da Orazio, che esaltava la grandezza di Roma: “Alme Sol Possis Nihil Vrbe Roma Visere Maivs”. Se all’esterno vi erano la già menzionate figure di bronzo, all’interno dell’arco vi erano due giganteschi bassorilievi firmati dallo scultore e accademico faentino Ercole Drei (1886 – 1973) che raffiguravano momenti della campagna d’Africa in epoca fascista e fissavano su pietra l’attimo della fondazione del nuovo Impero. L’arco fu un successo di critica e popolare enorme, grazie alle sue linee che mescolavano lo stile coloniale fascista e il razionalismo ad alcuni elementi addirittura futuristici; venne rappresentato sulle cartine e sulle guide turistiche, sui francobolli, sulle pubblicità di pneumatici, etc.; nel 1944 o nel 1945, durante la RSI fu coniata in zama (lega di zinco, allumino e magnesio, la stessa con cui sono fatte le caffettiere moka) una medaglia commemorativa della Campagna Italo-Tedesca in Africa. Gli inglesi lo chiamavano Marble Arch, “arco di marmo”. Dopo la Seconda Guerra Mondiale Re Idris fece aggiungere una scritta in arabo che traduceva la citazione latina. Nel 1973 il colonnello Gheddafi fece distruggere l’arco, visto come simbolo del colonialismo; rimasero solo le statue di bronzo dei Fileni e alcuni frammenti dei bassorilievi (tra cui spicca quello che ritraeva l’incontro fra Mussolini e Vittorio Emanuele III), che adesso giacciono all’esterno del museo di Sirte, in un campo, fra la polvere e le sterpaglie.

Il volume, riportando un comunicato delle Forze Armate italiane datato 26 febbraio 1941 (“Nell’Africa Settentrionale, il mattino del 24 corrente, formazioni del Corpo tedesco in Africa sono entrate per la prima volta in contatto col nemico a sud-est di Agedabia”), dichiara che “così inizia la marcia e la lotta del Corpo Tedesco Africano”, ricalcando dunque il titolo del volume stesso. Il 27 marzo 1941 le truppe italiane e tedesche occupano El Agheila, nell’area sirtica, in Cirenaica, nella cosiddetta “Valle dell’Inferno”; nel febbraio 1941 la località era stata conquistata dai britannici, ed ora era nuovamente nella mani dell’Asse (che la avrebbero tenuta fino alla fine del 1942). Caesar “celebra” l’evento con l’immagine di due Panzer III tedeschi diretti verso El Agheila e con una scena di veicoli inglesi (una colonna di rifornimento) distrutti dai carri armati germanici. In aprile del 1941 l’Asse occupa Marsa El Brega, un porto sul Golfo della Sirte, testa di ponte verso Tobruk, e poi Agedabia (a 150 km da Bengasi), che il disegnatore ritrae sterile e solitaria, inquadrando anche il primo cimitero di guerra nel Nord Africa, dove vennero sepolti i camerati italiani e tedeschi, e altre croci nel deserto; l’Afrikakorps continua ad avanzare, lasciandosi dietro una scia di mezzi corazzati nemici disfatti.

Ghemines

Poi, come un’oasi o forse come un miraggio, sorge dalla sabbia Ghemines, luogo leggendario anche per un tragico aneddoto storico locale:

Sulla Via Balbia le colonne sono già passate oltre Ghemines e Benghasi. Nella desolazione del deserto, Ghemines e un godimento per l’occhio ed un sollievo per lo spirito. Ghemines fu in antico Caminus, di cui sono state scoperte ancora varie rovine. Le 200 casupole arabe stanno nel mezzo di un terreno di pozzi, che offrono un’acqua leggermente salata, ma tuttavia potabile. Nei piccoli giardini arabi, accuratamente tenuti, si coltiva verdura e frutta. In tempo di pace la popolazione viveva dell’esportazione dell’orzo e del bestiame. A meno di 2 chilometri dall’abitato si trovano i resti di un antico castello romano, di cui grandi blocchi di pietra servirono per pavimentare la piazza principale del luogo. Come si vede anche una applicazione del vecchio proverbio: ‘Usa con buon senso quello, che prima di te crearono le generazioni.’ Nelle vicinanze del castello romano, chiamato dagli arabi Gasr el Cheil, si trova un mucchio di pietre, denominato Megtelet Ghernàs (luogo dove Ghernas fu ucciso). Per se stesso niente di straordinario, ma interessante e caratteristico per il luogo. Secondo la tradizione visse nella vicinanza di Ghemines un giovano guerriero che si innamorò di una meravigliosa ragazza appartcnente ad una tribù avversaria. Dopo averla rapita egli condusse la piccola araba fino a questo luogo, ove entrambi furono scoperti e lapidati dagli stessi parenti. La famiglia della giovinetta uccisa fece incidere sulla più grossa pietra la seguente iscrizione: ‘Chi ama il Profeta, getti una pietra su questo luogo!’ Col tempo il mucchio di pietre cresceva fino a diventare una piccola collina. Ciò che rapresenta per lo meno una convincente manifestazione di fede religiosa in una zona, nella quale è caratteristica la mancanza di pietre. I credenti dovettero trascinare queste pietre da lontano (quanto più grandi, quanto più la fede). In occasione della costruzione della Via Balbia, questo mucchio di pietre e stato un prezioso materiale da costruzione. Stanno sempre di fronte il sognante mondo dell’Oriente e il realismo dell’Europa — Ma il mucchio di pietre è ancora là, e continua di nuovo a crescere. Allora però nessuno dei soldati italo-tedeschi aveva occhio e orecchio per quel romanticismo da Mille e una Notte. Tutti guardavano come elettrizzati le pietre miliari che segnavano i chilometri fino a Bengasi. Il più importante era: avanzare!”

Lo Storch di Rommel nell’interpretazione di Caesar

Finalmente Caesar disegna un altro dei suoi velivoli: si tratta del Fieseler Fi 156 “Storch” (“Cicogna”), l’aereo personale di Rommel, con il quale il generale seguiva dall’alto la colonna di panzer; come racconta David Irving nel suo volume “The Trail of the Fox” (“La pista della volpe”, pubblicato da Mondadori nel 1978, quando lo storico britannico non era ancora considerato un appestato):

Rommel sorvolava il deserto a bordo di un aereo da trasporto Junker 52 o di un velivolo leggero Storch, tentando di controllare i movimenti delle sue truppe. Due volte si trovò al di sopra di unità nemiche che aveva scambiato per le proprie. Atterrava a rimproverare generali e colonnelli per la loro lentezza, imprecando perché il nemico stava scivolando fuori dalle loro grinfie. (…) Una colonna motorizzata che avanzava tra mille fatiche osò fermarsi per concedersi un riposo; ma ecco subito lo Storch passare a volo radente, lasciando cadere un foglio di carta su cui c’era scritto: ‘Se non vi rimettete subito in marcia, scendo io. Rommel.’”

Lo Storch di Rommel a terra nel deserto

Lo Storch di Rommel era lo stesso modello di velivolo con il quale Otto Skorzeny, due anni dopo, avrebbe liberato Benito Mussolini dal Gran Sasso.

Sulla rotta di Bengasi la colonna arriva a Solluch, passando da Marabut; dovunque immagini di distruzione: la stazione della ferrovia a scartamento ridotto Bengasi-Solluch, la centrale idrica di Solluch… Continuano i comunicati militari italiani, una lista di vittorie in Cirenaica che sembra non finire mai: Barce, Tòcra, Msùs, El Mechili (con l’illustrazione della ridotta vista dall’esterno), Derna.

A El Mechili sorgeva un “palo indicatore”, con le direzioni esatte per le varie località: Caesar lo delinea come una sorta di esile albero artificiale in mezzo al deserto, “padrone” di una bassa duna. Questo palo introduce una lunga sequenza pittorica di “ridotte” nel deserto, talmente scarnificate da far venire in mente le composizioni per piano di Erik Satie.

Il palo indicatore di El Mechili

L’indicatore di El Mechili era, nel 1941, una piccola celebrità. Una trave sulla quale erano inchiodate delle frecce di legno, indicanti lontani luoghi e città. Bastava mettere la bussola di marcia sul numero indicato dalla corrispettiva freccia, per poter essere sicuro di giungere a destinazione dopo un più o meno lungo viaggio col proprio automezzo. Un viaggio attraverso zone desertiche è un po’ da paragonare a un viaggio per mare. Attitudine, esperienza e molte delusioni fanno da un conducente finalmente un vero soldato del deserto.”

Fu a El Mechili che il generale Johannes Streich catturò agli inglesi tre veicoli-comando corazzati ACV della AEC, i quali furono poi usati da Rommel e dal suo staff come basi semoventi; con la croce bianca e nera germanica dipinta sulle fiancate furono ribattezzati Max, Moritz (gli eroi del “protofumetto” tedesco realizzato da W. Busch nel 1865) e Mammut. La ridotta di El Mechili, nell’interpretazione del disegnatore, ricorda invece le scenografie pseudo-messicane di certi film western, con le scarne abitazioni umane calcinate dal sole, in un panorama sabbioso e desolato; un autocarro militare italiano Lancia 3-RO interrompe il colpo d’occhio di un paesaggio senza anima viva; in una terza immagine è invece un fusto vuoto per il trasporto di carburante a rammentare che in quella landa immota uomini si scontrano in armi. Anche la ridotta Pessana, vista dalla Via Balbia irta di pali del telegrafo, rimanda all’iconografia della Frontiera; il termine tedesco per “ridotta”, che è Wüstenfort, ovvero “fortino nel deserto”, ci fa immediatamente pensare al fumetto e alla cinematografia avventurosa con cow-boy e indiani! E anche qui ci sono combattimenti campali: alla ridotta di Sidi El Magrùn la carcassa di un carro armato Mark inglese spunta a metà dalla sabbia che, agente della Natura, si riprende immediatamente tutto ciò che lì l’uomo abbandona. La ridotta di El Guarscià e un piccolo castello, guardato da un’esile palma: evoca immediatamente il Deserto dei Tartari di Dino Buzzati. 

Bengasi

In confronto Bengasi, capoluogo della Cirenaica, sembra una metropoli, con le sue piazze piene di FIAT 500 e 508. Il testo scritto delinea un’interessante quadro storico della città, con turistiche descrizioni dei dintorni. Di particolare interesse le Grotte di Lete:

Passando per un vecchio letto di un fiume si giunge ad una ripida parete di rupi, nelle quali si trovano le famose grotte. Oggi si ha la certezza che queste grotte e i corsi d’acqua sotterranei sono in comunicazione con il lago di Zaiana. Il corso d’acqua sotterraneo si può facilmente riconoscere negli avvallamenti del terreno che oggi sono coperti da ricchi giardini e frutteti. Sembra che le grotte, chiamate dagli indigeni Gioch el Chebir (il Grande Buco) siano identiche coll’ingresso ad un fiume sotterraneo, il Lete. Dal Lete i morti bevevano l’acqua della dimenticanza per liberarsi dalla gioia e dal dolore della nostra terra. Probabilmente nell’antichità l’acqua scorreva in parte alla superficie nella direzione del lago di Zeiana (sic); con ciò si comprende pure l’antica descrizione che parla di un fiume. Per conoscere la strada, Heracles dovette dapprima soprafare il veliardo del mare, Nereus, e andare poi attraverso la Libia da Atlas. Questi fu pregato da Heracles di cogliere dall’albero delle meraviglie le mele, mentre lui avrebbe nel frattempo sostenuta col suo capo la volta del cielo. Egli prese le mele e le portò al suo mandatore Eurystheus, il quale non poté tenerle, perché esse formano la garanzia dell’immortalità. Atene le tenne per sé. Nelle vicinanze delle grotte, la città di Bengasi aveva eretto, prima della guerra, la bella Casa di Lete, un locale aperto giorno e notte, al quale fanno corona magnifici giardini.”

Postazione italiana anti-carro respinge l’assalto dei Mark inglesi

Dopo El Abiar ecco Tolemaide con il Mausoleo e sede di importanti vestigia antico-romane , e poi Tocra, d’origine greca, e la ridente (per gli standard del luogo) Valle delle Grotte nel nord della Cirenaica. Ecco Derna, altro importante centro della Cirenaica al quale gli italiani diedero notevole impulso architettonico, con il suo cimitero di guerra dove riposano per l’eternità i camerati italiani e germanici.

Gli Stukas attaccano una colonna motorizzata nemica

Dopo il lungo viaggio lungo la Balbia i nostri arrivano alle porte di Tobruk: Kurt Caesar, dopo aver tratteggiato la “casa bianca”, ovvero un ospedale con la croce rossa dipinta sui muri, entra nel vivo dei combattimenti. Vediamo così, in un impressionante susseguirsi di scene di guerra: la colonna di panzer tedeschi sfondare le linee nemiche; un pezzo di artiglieria pesante italiano quasi del tutto oscurato in una tempesta di sabbia prodotta dal ghibli, il vento del deserto; un carro armato inglese Mark II attaccare una postazione italiana; un’altra postazione italiana con pezzi d’artiglieria anticarro difendersi dall’assalto nemico; gli Stuka lanciare bombe in picchiata sui britannici.

Il primo semestre e la prima parte del volume terminano con un panorama di Bardia, al confine con l’Egitto, teatro di numerosi scontri fra l’Asse e gli Alleati (la località fu persa e riconquistata due volte).

Nel dettaglio delle illustrazioni – Il secondo semestre

I carri armati italiani della divisione “Ariete” all’attacco

Intervallando una lunga e dettagliatissima descrizione dei combattimenti (novembre – dicembre 1941), le illustrazioni del secondo semestre iniziano con un attacco dei carri armati inglesi dalle parti di Segnali; rispondono all’offensiva i carri armati FIAT/Ansaldo M13/40 italiani della Divisione Corazzata “Ariete”; vediamo poi un “pezzo anticarro pesante che cambia posizione su un campo di battaglia della Cirenaica”; molto evocativa l’illustrazione con un “nido” di mitragliatrice pesante Mauser MG34 tedesco fra le sabbie della Cirenaica. Degna di nota l’unica immagine “in notturna” realizzata da Caesar per il volume: la didascalia dice semplicemente “Nachtgefecht in der Wüste” (“battaglia notturna nel deserto”), con una postazione tedesca (forse la stessa dell’illustrazione precedente, vista la presenza della stessa mitragliatrice) appena illuminata dalla fioca luce dei traccianti. Tornato il giorno ecco alcuni fanti italiani sdraiati pancia a terra in attesa del nemico.

Battaglia notturna nel deserto

La prima immagine di aerei del secondo semestre illustra una formazione di apparecchi da trasporto truppe, i trimotori Junkers Ju 52/3m mentre la prima immagine non bellica della seconda parte raffigura la chiesetta cattolica semidistrutta di Bardia, presso la quale, per un certo periodo, fu installato il quartier generale della DAK; di Bardia vediamo anche un tratto di costa, controllato da un pezzo d’artiglieria, e una ben più tranquilla e riposante Baia dei Bagni (con tanto di bagnanti, molto probabilmente militari in pausa o in licenza); il pezzo d’artiglieria visto prima viene analizzato nel dettaglio dall’artista e scopriamo trattarsi di un cannoncino anticarro italiano, con tanto di operatore in divisa coloniale.

La carcassa di un Mark II inglese presso la Ridotta Capuzzo

Appare dunque la ridotta Capuzzo, vista dopo i combattimenti dell’estate del 1941: anche questo Forte, caposaldo italiano ai confini con l’Egitto, passò più volte di mano, negli scontri fra l’Asse e il nemico albionico. Il momento vittorioso colto dall’opera di Caesar è rappresentato da un primo piano di un Mark II distrutto presso la ridotta. Al caposaldo Capuzzo combatterono i Bersaglieri, riferendosi ai quali Rommel ammise: “Il soldato tedesco ha stupito il mondo, il bersagliere italiano ha stupito il soldato tedesco”.

Rommel viene insignito da Hitler della “Eichenlaub zum Ritterkreuz des Eisernen Kreuzes”. Dal “Panzergruppe Afrika – Kalender 1942” (collezione privata)

Dopo un panorama di Sollum Alto ecco alcuni carri tedeschi Panzer III irrompere in una trincea britannica: i soldati con il classico elmetto a bacinella cercano scampo fuggendo in primo piano, e vista l’inquadratura, quasi che Caesar fosse a disegnare dalla parte del nemico, c’è da chiedersi se non fosse veramente così, ovvero se l’artista, come un neutrale inviato di guerra, non avesse una sorta di “immunità” e potesse avvicinarsi agli oppositori con relativa tranquillità. In mezzo a pagine che riproducono in fac-simile gli autografi dei comandanti tedeschi della DAK e dei Cavalieri della Croce di Ferro, Rommel in testa (Hitler lo aveva insignito della “Eichenlaub zum Ritterkreuz des Eisernen Kreuzes”, ovvero della “Croce di Cavaliere della Croce di Ferro con Fronde di Quercia”, nel marzo 1941), ecco una bella rappresentazione di fanti italiani al contrattacco oppure intenti a respingere un assalto di Mark inglesi in Marmarica, nel dicembre del 1941. Anche in cielo qualcosa si muove, cosa ovvia per Caesar: un bimotore Focke-Wulf 187 “Falke” (classe Zerstörer – caccia distruttore pesante) insegue nello spazio aereo nord-africano uno Spitfire britannico. Come spesso era accaduto nella saga a fumetti di Romano il Legionario anche in questo caso Caesar pare mescolare elementi reali ad altri fittizi o al massimo probabili. La didascalia specifica solo “F.W.-Zerstörer”, ma dall’immagine sembra trattarsi del FW 187 che però fu prodotto in un numero limitatissimo di esemplari-prototipo, impiegati esclusivamente in Europa (in Germania e in Norvegia).

Un bimotore Focke-Wulf 187 “Falke” assale uno Spitfire

Tragica l’immagine successiva: cadaveri di soldati britannici dell’11° Reggimento Ussari giacciono in mezzo a pezzi di artiglieria e carri armati distrutti. Si tratta dell’impietosa “fotografia” scattata da Caesar del fallito attacco inglese al Passo di Halfaya, al confine con l’Egitto, respinto nel giugno del 1941 dall’Asse. Dopo questa sconfitta gli inglesi ribattezzarono la località Hellfire (“fuoco d’inferno”), con un termine per loro quasi perfettamente assonante con Halfaya.

Sollum – località contesa da sempre al confine fra l’Egitto e la libia – viene ripresa dall’artista da tutte le angolazioni: la strada a serpentina che congiunge la parte bassa con la parte alta, il porto, il golfo, la fabbrica di ghiaccio, e poi ancora la zona del Passo di Halfaya con i resti dei carri inglesi distrutti.

Un lungo trattato ci informa sulle politiche coloniali italiane in Libia prima e durante il Fascismo; molto interessante il passaggio sui Villaggi Rurali:

La principale regione di colonizzazione, dove si è avuto il più grande flusso di contadini italiani, e dove la terra è stata più intensamente lavorata, è quella dei Villaggi Rurali, piccole città rurali che posseggono tutta l’attrezzatura necessaria ad una popolazione agricola. — L’Ufficio postale, una Stazione di Pubblica Sicurezza, la Casa del Fascio, la Chiesa, un ambulatorio, una palestra sportiva, il municipio, ecc. La più grande cittadina di questi villaggi è Barce. Altri centri rurali di una certa importanza, caratteristici per la loro particolare posizione, sono i villaggi di Sidi Mabius, El Guarscia (10 km a sud di Bengasi), El Cuf, Cirene, Luigi di Savoia e Giovanni Berta, sulla strada Cirene-Derna. Le più importanti grandi colonie e i principali possedimenti privati sono quelli della Società Agraria Industriale di Er Rahaba presso Bengasi, le fattorie General Borghi di El-Abiàr, i possedimenti del Barone Potara di Sidi Mahius e quelle della S. A. C., nella pianura di Barce.”

L’autoblinda Achtrad tedesca

Torna dunque Caesar, con una splendida autoblinda Achtrad (“ottoruote”), in livrea mimetica color sabbia e attrezzata per il deserto, il cui nome completo era Sd.Kfz. (“Sonderkraftfahrzeug”, “veicolo per usi speciali”) 231 Schwerer Panzerspähwagen 8 rad: la vediamo avanzare, in due immagini, nelle lande desolate presso Sidi Suleiman, vicino a Tripoli. Momento “turistico” è quello dove un visitatore (forse lo stesso Caesar) osserva, piccolo come una formica rispetto alla maestosa e severa immensità del deserto, uno uadi libico, ovvero il letto essiccato di un fiume stagionale oppure definitivamente insabbiato; il caposaldo Cirener, sempre al confine con l’Egitto, vide impegnato il Secondo Gruppo del Secondo Reggimento Artiglieria Celere Emanuele Filiberto Testa di Ferro, e Caesar disegna in primo piano la carcassa di un biplano (quasi sicuramente un caccia italiano FIAT C.R42); siamo in terra nemica, dove le postazioni italo-germaniche, nelle caratteristiche tane di volpe, devono affrontare anche “la solitudine del deserto egiziano”; un altro grande aereo italiano fa la sua comparsa, mitragliando a bassa quota una postazione inglese: si tratta del caccia Macchi M.C.202 “Folgore”, all’epoca al suo battesimo di fuoco; ecco poi il caposaldo Cova (chiamato così in onore in onore del Tenente Giacinto Cova, Medaglia D’oro al Valor Militare, caduto ad aprile a El Mechili), con un pezzo di artiglieria italiano.

Un caccia Macchi M.C.202 “Folgore” mitraglia gli inglesi a volo radente

Ma Caesar non si limita a riprendere mezzi di combattimento, paesaggi desolati piste nel Sahara e reticolati al confine fra Egitto e Libia. C’è anche il momento di riposare le stanche membra: ecco dunque la cucina da campo e una tenda con le “comodità dei soldati nel deserto”.

Ecco poi, con solo testo e alcune cartine geografiche (molto probabilmente non opera di Caesar), un lunghissimo e articolato saggio di due millenni di storia militare libica, distinguendo la Tripolitania dalla Cirenaica. Solo due illustrazioni di Caesar interrompono il vasto racconto: in una vediamo i Panzer tedeschi passare accanto a una batteria nemica devastata; in un’altra i carri armati distruggono una batteria indiana presso Sidi Omar.

Chiuso il racconto storico, l’ultimo capitolo, intitolato “Comando Tappa Roma” (“Frontleitstelle Rom”), illustrato con il volto di un maggiore tedesco (eseguito da Caesar a Roma il 10 dicembre 1942) e affiancato dall’immagine di due scorpioni che lottano nel deserto, è una sorta di saluto al lettore (anche se la versione italiana è piuttosto “incerta”, come leggerete):

Due scorpioni lottano nel deserto, quasi a simboleggiare lo scontro degli eserciti

Se anche il Comando Tappa di Roma non significa l’Africa, l’Albergo Nuova Roma è incluso nel ricordo di ogni combattente dell’Africa Settentrionale. Migliaia di militari affluiscono o pervengono ogni mese dal fronte africano. Per tutti loro Roma è rispettivamente l’ultima o la prima impressione dell’Europa. Il Libro d’Oro del Comando Tappa contiene quasi tutti le firme famose del Fronte africano. Attraverso le dediche del Libro d’Oro traspare sempre il pensiero: ‘Ci siamo sentiti sempre come a casa nostra’. È il più significativo dei elogi che la semplice anima di un combattente può dare ad un Comando Tappa.”

Francesco G. Manetti

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