Ancora una volta, come già negli anni scorsi, vediamo, alla conclusione di un anno e all’inizio di un altro, di fare un po’ il punto sul cammino percorso, impresa che forse stavolta risulta più ardua ma anche più importante, perché il cammino è stato probabilmente più tormentato del solito.
Il grosso problema di questa serie di articoli, o vogliamo dire rubrica, è stato quello di dipendere da fonti straniere, soprattutto inglesi. Non è che la Gran Bretagna abbia un passato più ricco del nostro ma, diciamolo pure, altrove c’è un interesse verso la propria storia remota, le radici, che in Italia raramente si riscontra, anche se spesso mi è venuto il dubbio: aveva senso sul fatto di parlare, ad esempio dei menhir, pietre erette e nemmeno squadrate diffuse nell’Europa continentale, quando sappiamo che nel Bacino mediterraneo Greci e Romani erigevano edifici civili e templi di ben altra complessità e bellezza?
Dubbi che sono stati troncati all’improvviso nell’estate del 2021 in conseguenza del comportamento degli Inglesi in occasione dei campionati europei di calcio vinti dalla nostra nazionale in finale proprio contro l’Inghilterra (non solo i tifosi, i soliti scalmanati hooligans dal cervello di gallina, ma la nazionale inglese, un membro della casa reale, tutta la stampa britannica che ci hanno dimostrato un disappunto e un disprezzo assai poco sportivi). L’odio si può tollerare, il disprezzo no.
Da qui la mia decisione di ignorare del tutto le fonti britanniche, di non menzionare l’Isola inglese nemmeno se da sotto Stonehenge dovessero emergere Thule, Atlantide e il Santo Graal.
Bene o male, L’eredità degli antenati è andata avanti per tutto il 2021, prima grazie ad alcuni articoli che avevo predisposto anticipatamente, poi con alcuni articoli “fuori serie” (uno di recensioni librarie, uno dedicato a rispondere ai commenti dei lettori di “Ereticamente”, uno in cui vi ho relazionato sulle conferenze da me tenute nell’ambito del Triskell, il festival celtico triestino).
Nel 2022 ho esordito con due articoli, la settantatreesima e la settantaquattresima parte, che sono un riepilogo dell’annata appena trascorsa (dal momento che prevedevo di chiudere la rubrica a breve, perché non largheggiare?), cui ha fatto seguito una settantacinquesima parte di nuovo dedicata alle osservazioni dei lettori (che non hanno mai mancato, grazie al Cielo, di mostrare interesse per L’eredità degli antenati), dopo di che, prevedevo, fosse arrivato il momento di abbassare metaforicamente la serranda.
Ho ricevuto da diverse parti inviti a proseguire, ed è quello che sto cercando di fare al meglio, però è visibile che quella che doveva essere la settantaseiesima e poi è diventata la settantasettesima parte di questa rubrica, l’ho concepita come una sorta di riepilogo finale, nel quale ho evidenziato in particolare due questioni: le prove che indicano l’insostenibilità dell’Out of Africa, e il fatto che da un lato la scoperta che gli australopitechi erano delle semplici scimmie con nessuna tendenza verso l’umanità, dall’altro che l’Homo erectus si rivela molto più umano di quanto avevamo finora supposto, mettono in dubbio il concetto classico di evoluzione come progressivo passaggio dalla scimmia all’uomo.
Tra la settantacinquesima e questa parte, ho poi inserito un altro articolo, che avevo inizialmente intitolato Esplorando le radici. Questa volta non mi sono occupato di tematiche archeologiche o paleoantropologiche, ma sono andato alla ricerca dei miei antenati, tuttavia, capite, più Eredità degli antenati di così…
La settantottesima parte non è stata quasi opera mia, poiché sulla parte immediatamente precedente che, come vi dicevo, viene a essere una specie di summa del cammino fin allora fatto, mi è sembrato opportuno sentire il parere dell’amico e grande esperto della questione delle origini alla luce del pensiero tradizionale (peccato che i suoi contributi su “Ereticamente” siano relativamente scarsi) Michele Ruzzai.
A questo punto, per comprendere bene, è opportuno che teniate a mente una doppia linea temporale, una è quella della stesura di questi articoli, un’altra quella della loro pubblicazione. Fra le due cose c’è una differenza anche notevole perché non sono mai riuscito a “stare sul pezzo” in tempo reale, per svariati motivi, fra i quali il fatto che L’eredità degli antenati non è la sola cosa di cui mi occupo su “Ereticamente”. Ad esempio, tutto il mese di febbraio è stato dedicato all’esposizione di un saggio suddiviso in quattro articoli, sul dramma delle foibe e dell’esodo, a partire dalla circostanza che il 10 febbraio è appunto la Giornata del Ricordo.
Gli articoli dalla settantanovesima parte in poi, in cui ho ripreso un andamento “regolare”, hanno cominciato ad apparire su “Ereticamente” da aprile, ma in realtà la loro stesura è partita da gennaio. Pazienza, dato che il compito che mi propongo è quello di fare analisi piuttosto che cronaca.
A questo punto devo segnalare una cosa strana: al momento della transizione fra le due annate 2021 e 2022, un po’ sbollita la collera per il vergognoso comportamento inglese (ma non la determinazione a ignorare d’ora in poi tutto quanto accade nella perfida Albione), mi sono messo a consultare quelle che fino a sei mesi prima erano le consuete fonti britanniche: “Ancient Origins”, “The Archaeology News Network”, nonché l’americana “The Archaeology Magazine”. Dopo sei mesi che le avevo ignorate, pensavo di dover affrontare un arretrato considerevole, invece niente, letteralmente niente.
Vorrei essere chiaro su questo punto: a me non interessa fare un centone di ogni scoperta archeologica: Cina, Medio Oriente, America precolombiana, isole del Pacifico e chi più ne ha più ne metta, quel che mi interessa è mettere in luce la nostra eredità di uomini europei, e il niente di cui sopra è riferito a ciò che concerne il nostro continente. Se volete, dite pure che si tratta di una scelta ideologica, lo è.
Con tutto ciò, però, torniamo al discorso iniziale: in un campo come questo non è possibile contare su un flusso di informazioni costante e regolare. La sensazione alquanto bizzarra che ho avuto, è di essermene venuto via giusto in tempo, puntando su altro per proseguire questa rubrica.
In realtà, anche le fonti nostrane, a scavare bene, non sono così avare di informazioni circa il nostro passato ancestrale. Ad esempio, proprio alla fine del 2021, RAInews 24 ha riferito di uno studio compiuto dai ricercatori dell’Università di Aarhus (Danimarca) su di un elmo dell’Età del Bronzo, l’elmo Viks, che appare identico a quelli nuragici sardi, il che li ha spinti a ipotizzare inediti scambi commerciali in un’epoca così remota tra la Scandinavia e la Sardegna. Ancora nello stesso periodo “ArcheoMedia.net” riferisce dello studio del DNA condotto sulla mummia di una ragazza, figlia di un gran sacerdote, vissuta in Egitto sotto la XXV dinastia, 2600 anni fa. Apprendiamo che aveva un DNA prettamente europeo, oltre ad avere capelli biondi e ricci. Una conferma in più di quanto ho sempre sostenuto: la presenza di una forte componente europea, almeno nelle élite egizie, e la decadenza di questa civiltà quando l’elemento europeo si è affievolito.
Di ciò vi ho parlato nella settantanovesima parte.
Il problema tuttavia salta agli occhi, infatti quest’ultimo scritto è comparso su “Ereticamente” il 18 aprile, siamo dunque a uno iato fra le notizie e la pubblicazione degli articoli, che ha superato i quattro mesi. Vediamola così: queste notizie, per loro natura fanno una comparsa irregolare, a volte sono un fiume in piena, altre volte un rigagnolo in secca, mentre io cerco di presentarvi L’eredità degli antenati con una scadenza più o meno regolare, all’incirca bisettimanale (alternando settimanalmente un’Eredità degli antenati e un articolo di altro tipo), quindi necessariamente esse vanno “spalmate” su tempi lunghi, e questo perlomeno va a compensare periodi vuoti.
Proprio a inizio d’anno (ottantesima parte) “L’arazzo del tempo” ci parla di un sito neolitico che è stato chiamato Deltaserraserne (deformazione danese dell’inglese “Delta Terraces”) all’estremità settentrionale della Groenlandia, in quella che oggi è una delle regioni più disabitate e inospitali della Terra. Non è questa una prova convincente del fatto che in un remoto passato, quando le regioni oggi temperate erano strette dalla morsa della glaciazione, le terre oggi artiche dovevano presentare un clima ben diverso e ben più favorevole all’insediamento umano? E questa cos’è se non una conferma di quanto al riguardo hanno sostenuto Tilak e gli autori tradizionalisti? Abbiamo forse trovato un pezzo di Iperborea.
Abbiamo poi rivisto grazie a “Il fatto storico” quello che sembra essere il ritrovamento paleoantropologico più importante degli ultimi anni, l’uomo di Harbin, ossia Dragon man. A quanto pare, e come avevo pronosticato, “non era altro che” un denisoviano, a dispetto di quanti complicano fino all’assurdo il nostro albero genealogico inventando nuove specie umane per personalismo e per sostenere teorie che non reggono a un esame attento, come l’Out of Africa.
La cosa più importante dell’ottantunesima parte, è probabilmente il riferimento a un servizio di SkyTG24 che ci racconta dell’analisi condotta dalle università di Firenze, Jena e Tubinga sul DNA di ben 82 individui etruschi, che ha evidenziato che esso è prettamente italico. Gli Etruschi erano autoctoni della nostra Penisola, e questo va a smentire sia la leggenda raccontata da Erodoto di una loro origine anatolica, sia la moderna fesseria “politicamente corretta” degli Etruschi neri.
A quanto pare (ottantaduesima parte) tutta la cronologia della preistoria andrebbe radicalmente riveduta. Secondo le ricerche sul DNA dei nativi americani condotte dalla genetista Jennifer Raff ed esposte nel libro Origins: a Genetic Chronicle of the First Peoples in the Americas, il popolamento delle Americhe risalirebbe a 36.000 anni fa, ben più dei 12-13.000 anni concessi dalla cronologia ufficiale. Ma non è tutto, perché nello stesso periodo scopriamo che la presenza dell’Homo sapiens moderno in Europa risale ad almeno 54.000 anni or sono, è quanto emerge dallo studio di una serie di denti ritrovati nella grotta Mandrin nella Valle del Rodano (Francia), il che retrodata la presenza del sapiens moderno in Europa di almeno 10.000 anni.
L’immagine del nostro passato più remoto che abbiamo sotto gli occhi non cessa di modificarsi sulla base delle nuove scoperte, e ne abbiamo una riprova anche nell’ottantatreesima parte. Qui le scoperte di rilievo da segnalare sono due. Prima di tutto, i geologi dell’Università di Vienna avrebbero scoperto che uno dei più noti idoli preistorici, la statuetta nota come Venere di Willendorf ritrovata nell’omonima località austriaca, era con tutta probabilità italiana, infatti proviene dall’Italia settentrionale la pietra su cui è stata scolpita. Il primo dei nostri capolavori artistici che ha preso la via dell’estero?
L’altra notizia riguarda il ritrovamento da parte di un team di archeologi polacchi, di due tumuli funerari appartenenti alla cultura Yamnaya considerata proto-indoeuropea, nella Serbia settentrionale, che è un’area alquanto distante dall’Ucraina da dove questa cultura è originaria.
A mio parere si tratta di una scoperta particolarmente importante. Ancora oggi c’è chi nega che l’espansione indoeuropea nel nostro continente sia effettivamente avvenuta e riconduce le somiglianze fra le lingue indoeuropee a scambi e influssi culturali, e chi sostiene l’origine mediorientale degli Indoeuropei (questo strabismo mediorientale sempre ricorrente!). Nulla di tutto questo, gli Indoeuropei o Yamnaya hanno conquistato il nostro continente, a eccezione dell’area basca e di quella nord-orientale ugrofinnica, frazionandosi nei popoli storici che conosciamo.
Il resto dell’articolo segnala notizie forse meno eclatanti, ma che dimostrano l’ampiezza e la qualità della ricerca archeologica italiana, che tuttavia fatica ad arrivare al grosso pubblico, non ottiene grandi considerazioni sui media, e questa è una cosa pessima, perché che futuro può avere chi dimentica il proprio passato?
Forse la cosa più notevole della ottantaquattresima parte, è stata l’intervista rilasciata da Marco Peresani, docente di culture del paleolitico alle Università di Ferrara e di Verona Marco Peresani, docente di culture del paleolitico alle Università di Ferrara e di Verona a Francesca Bianchi di archeoMedia.net, dove il docente afferma:
“Prima di noi c’era qualcuno che aveva un rapporto sano ed equilibrato con il Pianeta, un rapporto che è andato avanti per centinaia e centinaia di migliaia di anni, ed è impressionante pensare a questa profondità temporale e a quanto velocemente stiano cambiando le nostre culture, la nostra economia e, ovviamente, il nostro rapporto con il Pianeta”.
Parole su cui riflettere alla luce dei cambiamenti distruttivi avvenuti nel nostro mondo negli ultimi secoli e negli ultimi decenni (ciò che si chiama “progresso”).
Probabilmente, la cosa più importante che vi ho potuto segnalare nell’ottantacinquesima parte, è una scoperta che riguarda proprio il Friuli-Venezia Giulia, la regione dove sono nato e vivo: a quanto pare, il colle su cui sorge il cinquecentesco castello di Udine, non è una formazione naturale, ma una collina artificiale, un mound risalente all’Età del Bronzo, e dovrebbe essere la più ampia formazione di questo tipo esistente in Europa.
A farci comprendere ancora meglio quanto in realtà conosciamo poco dei nostri remoti antenati e tendiamo perlopiù a sottovalutarli, è arrivata la notizia che vi ho riportato nell’ottantaseiesima parte:
“Più di 150 giganteschi monumenti sono stati individuati grazie alle fotografie aeree effettuate in tutta l’Europa centrale, nelle città dell’odierna Germania, Austria e Slovacchia.
Furono costruiti 7.000 anni fa, tra il 4800 a.C. e il 4600 a.C.
(…).
In tutto sono stati identificati più di 150 centri religiosi monumentali, ciascuno fino a 150 metri di diametro, costruiti su un’area di 400 miglia in quella che oggi è l’Austria, la Repubblica Ceca, la Slovacchia e la Germania orientale”.
Altrettanto degne di nota, sono però le fonti di queste informazioni. Nel caso del mound udinese un comunicato della Soprintendenza Archeologica del Friuli-Venezia Giulia, in quello delle scoperte nell’Europa centrale un sito dignitosissimo ma nettamente “minore” come “L’arazzo del tempo”. Vale a dire che scoperte che dovrebbero rivoluzionare l’immagine che abbiamo della preistoria e delle origini della civiltà, hanno una circolazione molto limitata, passano quasi inosservate, viene da pensare siano vittima di un coverage, nemmeno si trattasse di informazioni militari.
E in un certo senso lo sono, perché riscoprire l’antichità e la grandezza della civiltà europea potrebbe portare a un risveglio delle coscienze, ed è proprio ciò che il potere non vuole.
Per il momento, per non creare un testo troppo chilometrico, mi fermo qui, e nel prossimo articolo proseguiremo la nostra rassegna, ma siamo appena a maggio, la metà dell’anno non è ancora passata. Un anno senza dubbio ricco di informazioni e nuove scoperte che mettono sempre più in luce la ricchezza della nostra eredità ancestrale.
NOTA: Nell’illustrazione, a sinistra la Venere di Willendorf, al centro, Origins, il libro di Jennifer Raff sulle origini dei Nativi americani, a destra, ricostruzione dei lineamenti di un uomo della cultura Yamna o Yamnaya.