Ricominciamo dal mese di maggio la nostra ricerca dell’eredità ancestrale, anche se a questo punto non me la sento di fare previsioni sul momento in cui leggerete questo articolo.
I motivi per cui “la forbice” temporale tra gli eventi e le scoperte di cui vi sto raccontando, e il momento in cui i miei articoli compaiono su “Ereticamente”, si è andata progressivamente allargando li conoscete.
Tralasciamo il fatto che tutto il mese di febbraio l’ho dedicato a un ampio saggio suddiviso in quattro parti sull’infelice sorte toccata a conclusione della seconda guerra mondiale al nord-est italiano (avevo deciso di effondermi ampiamente su questo tema per compensare il fatto che probabilmente per non ripetere cose dette e ridette, non avrei scritto quest’anno l’ormai consueto articolo sul 25 aprile, poi l’ho scritto ugualmente, La vergogna continua), alcuni articoli dovevano essere una sorta di chiusura di questa lunga serie, che non pensavo di poter proseguire, dopo la decisione di non avvalermi più di fonti britanniche e ignorare tutto ciò che avviene oltre Manica, Stonehenge e compagnia cantando, in particolare la settantasettesima e la settantottesima parte (in quest’ultima mi sono avvalso del contributo di Michele Ruzzai).
Ho invece scoperto, con mia sorpresa devo dire, che di ricerca italiana ce n’è non poca e di buona qualità, anche se perlopiù ignorata dal grosso pubblico, cosa che purtroppo ci rimanda a un Paese ricco di intelligenze e di eccellenze, in ogni campo, ma che nutre per esse ben scarsa considerazione.
L’ultima e più singolare scoperta: il colle su cui sorge il castello di Udine, in realtà è un mound, una collina artificiale risalente all’Età del Bronzo, e la più grande struttura di questo tipo esistente in Europa.
Dopo la settantanovesima parte dedicata alle “code” del 2021, con l’ottantesima siamo infine arrivati a vedere cosa ha iniziato a riservarci l’anno nuovo, ma a questo punto siamo già ad aprile, “la forbice” si è allargata a quattro mesi. Ora però ha cominciato a ridursi, dato che questo articolo, se non ho sbagliato i calcoli, dovrebbe comparire a luglio, i mesi sono scesi a tre.
Come vi ho già spiegato, questa situazione che sarebbe assolutamente insostenibile se si trattasse di fare della cronca sportiva, della cronaca nera o gossip, ha almeno il vantaggio di consentire di “spalmare” su tempi lunghi eventi per loro natura irregolari.
Cominciamo con un paio di notizie dal sito “In Italia Magazine” degli inizi di maggio. Venerdì 6 maggio ad Avio (Tn) in occasione della mostra “La montagna e la preistoria”, è stata presentata al pubblico una spada di bronzo risalente ad almeno 3.300 anni fa, che è stata casualmente rinvenuta l’anno scorso a 1360 metri di altitudine sulle pendici del Monte Baldo, che si trova appunto nel comune di Avio. La spada, risalente all’Età del Bronzo, prima di tornare in Trentino, è stata studiata dalla Soprintendenza Archeologica di Verona.
Sempre “In Italia Magazine” ci racconta del ritrovamento a Spinadesco (Cr) di un enorme teschio di megalocero emerso, a causa della secca, dal greto del Po. Il megalocero (nome che significa “grandi corna”), erroneamente conosciuto come “alce irlandese” era in realtà un gigantesco cervo preistorico, dall’enorme palco di corna che poteva arrivare a pesare una quarantina di chili, a quanto risulta, il più grande cervide che sia mai vissuto. Erroneamente classificato come un’alce a causa delle dimensioni delle corna, non era in realtà neppure irlandese, ma diffuso fino all’Europa orientale.
Ci ricorda che anche in Europa, durante la preistoria, gli uomini hanno a lungo convissuto con una megafauna.
Il 7 maggio ci arriva una notizia dalla Sardegna. Secondo quanto riferisce ArcheoMedia.net, la nuova campagna di scavi nel sito della necropoli nuragica di Mont’e Prama, avviata lo scorso 4 aprile dalla Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio per la città metropolitana di Cagliari e le province di Oristano e Sud Sardegna, ha portato alla scoperta di due nuove statue di “giganti” del tipo pugliatore.
Ricordiamo che “i giganti” di Mont’e Prama rappresentano il più antico esempio di statuaria di grando dimensioni conosciuto a livello europeo e probabilmente mondiale: una scoperta che ci illumina ulteriormente sulla ancora così poco conosciuta civiltà nuragica e sul livello che può avere raggiunto in un’epoca remota.
Poiché siamo in discorso sulla Sardegna, sarà bene ricordare che la civiltà nuragica sviluppatasi sulla seconda grande isola italiana, ci appare per tanti versi misteriosa, oltre a essere stata nell’Età del Bronzo sicuramente molto più avanzata di quanto ritenuto fino a poco tempo addietro. Alcuni (tra cui Roberto Giacobbo nel programma televisivo “Freedom”) sono arrivati a proporre addirittura l’identificazione della Sardegna con Atlantide, ma questo fa poca meraviglia, infatti non esiste praticamente luogo al mondo in cui la misteriosa isola platonica non sia stata cercata.
Tuttavia, per quanto riguarda il misterioso mondo nuragico, abbiamo in mano qualcosa di più concreto.
Un articolo pubblicato lo scorso agosto su “L’arazzo del tempo”, il pregevole sito che vanta fra i suoi collaboratori Felice Vinci, l’autore di Omero nel Baltico (Io mi scuso se lo cito soltanto adesso, ma, come sapete, “la rete” è un mare magnum dove tenere d’occhio tutto quanto è un’impresa disperata) e fimato semplicemente “Redazione” che ci parla dell’ingranaggio di Olbia.
Di che si tratta? Leggiamo:
“Nell’estate del 2006 era in corso ad Olbia uno scavo nell’area dell’ex mercato civico situato nel centro dell’abitato antico quando emerse un frammento di una ruota dentata, successivamente datato alla metà del II sec. a.C”.
Fino a qui, non sembrerebbe niente di eccezionale, ma:
“Dopo il restauro è emerso che l’ingranaggio, nonostante sia stato realizzato prima di tutti gli altri meccanismi a noi finora pervenuti, risulta più evoluto scientificamente. Gli ingranaggi hanno una curvatura molto speciale che lo rendono particolarmente fluido e all’avanguardia, ma la sorpresa più grande è che chi lo ha costruito conosceva funzioni matematiche stabilite solamente nel XVII secolo”.
Si sarebbe trattato di parte di un meccanismo simile alla ben più famosa “macchina” di Antikythera, ma considerevolmente più antico e ben più avanzato.
“Degne di nota, a nostro avviso, sono le osservazioni dell’Ing. Giovanni Pastore, uno degli esperti che ha lavorato sull’oggetto insieme all’equipe della Sovraintendenza per i Beni Archeologici di Sardegna, un ingegnere meccanico docente a contratto di Costruzioni Meccaniche presso le Facoltà di Ingegneria Meccanica di alcune Università italiane.
Dopo un accurato restauro è emerso che i denti dell’ingranaggio non avevano un profilo triangolare ma curvo e per di più straordinariamente simile a quello degli ingranaggi moderni. La perfezione dell’ingranamento, senza giochi eccessivi e interferenze, è il risultato di studi matematici accurati e profondi formulati in epoca moderna, nei secoli XVII e XVIII, da scienziati come Hooke, Eulero, Roemer, Savary, de Lahaire, Willis e altri.
Questo significa, ci spiega l’ingegnere, che chi ha realizzato la Ruota di Olbia aveva conoscenze molto avanzate, dalla matematica all’astronomia, per cui il costruttore della ruota dentata di Olbia ha anticipato le conoscenze di quasi 2000 anni.
Un altro aspetto strabiliante e del tutto inatteso, prosegue l’ing. Pastore, è la lega di metallo con cui è stato realizzata la ruota, non bronzo, come quella di Antikythera, ma ottone, noto già dal VII sec. a.C. ma di difficile realizzazione. L’utilizzo di una lega metallica come l’ottone, così preziosa nell’antichità ma con migliori caratteristiche meccaniche e tecnologiche rispetto al bronzo, è molto appropriata per la costruzione di organi meccanici fortemente sollecitati come le ruote dentate. Tale scelta non può essere casuale ma è sicuramente dovuta ad una profonda conoscenza della metallurgia del rame e delle costruzioni di apparecchiature meccaniche
La conclusione, sbalorditiva per alcuni, è questa:
“Considerata la perfetta concordanza tra le evidenze scientifiche e le risultanze storiche, letterarie ed archeologiche, non sembra azzardato concludere che conoscenze scientifiche all’avanguardia facevano parte del bagaglio culturale di una società “pre-istorica” e che lentamente queste conoscenze, dapprima rimasero appannaggio di pochi, e poi si persero nel tempo”.
La mitologia classica, più o meno, la conosciamo tutti, quanto meno i principali miti della classicità fanno parte del patrimonio culturale di un uomo occidentale di media cultura. Parallelamente a essa per quanto riguarda i Greci o prima di essa per quanto riguarda i Romani, è esistita anche una mitologia etrusca? Molti ritengono di no e vedono gli Etruschi in questo campo del tutto tributari dei Greci. Nomi come Vanth, Pava Tarchies e Lasa Vecu vi dicono qualcosa? Oppure conoscete le storie di Tages e della Ninfa Vegoia, di Porsenna e del mostro Volt?
E’ appena stato pubblicato per le edizioni Effigi il libro di Andrea Verdecchia, noto studioso delle civiltà italiche preromane, Mitologia etrusca, che vi permetterà di colmare le vostre lacune al riguardo.
L’ho già rilevato altre volte, e mi sembra un vero paradosso: mentre nell’Europa settentrionale e centrale, nelle Isole Britanniche, perfino negli Stati Uniti che di storia non ne hanno prima del XVI secolo, c’è passione per il passato e molti ricercatori della domenica muniti di metal detector hanno fatto importanti ritrovamenti, noi Italiani di interesse per la nostra storia, non è che ne dimostriamo un gran che, sebbene la ricerca archeologica professionista sia, come abbiamo visto più volte, di ottimo livello anche se i suoi risultati sono di solito completamente ignorati dal sistema mediatico, e questo è certamente paradossale, alla luce del fatto che la nostra Italia, terra di antichissimo popolamento umano e di antichissima civiltà, ha un passato di una ricchezza invidiabile.
Capita spesso che siano ricercatori stranieri a illuminarci sullo scrigno di tesori archeologici che abbiamo in casa, e che così spesso ignoriamo.
“Ancient Origins” del 10 maggio (articolo di Sahir), e poi un comunicato ANSA del 12 maggio ci informano su uno studio condotto da ricercatori dell’Università di Newcastle su di una serie di pugnali dell’Età del Bronzo provenienti dal sito di Pragatto, nel comune di Crespellano nei pressi di Bologna.
Come sapete, quella che la civiltà abbia avuto origine in Europa e non in Medio Oriente, che tutta la storia antica che ci viene raccontata a partire da Sumeri ed Egizi sia sostanzialmente “strabica”, è una tesi che sostengo da anni, è anzi, si può dire la mia tesi centrale, fortemente eretica rispetto a quanto ci viene raccontato dal sistema “educativo” e mediatico a tutti i livelli. Bene, ora, a quanto pare, nuove scoperte archeologiche stanno dando un fortissimo sostegno a questa tesi “bizzarra” e ci imporrebbero di rivedere completamente l’immagine che sin qui abbiamo avuto del nostro passato.
Ce lo racconta “L’arazzo del tempo” in un articolo del 12 maggio, Trovati i resti della civiltà più antica d”Europa, firmato “Redazione” come quello sull’ingranaggio di Olbia di cui vi ho detto più sopra.
Un testo che non manca di far trasparire un senso di meraviglia:
“Infatti fino ad oggi si pensava che l’architettura monumentale si fosse sviluppata in Europa molto più tardi che in Mesopotamia e in Egitto”.
Ma in concreto, di che si tratta? Abbastanza da rimanere senza fiato.
“La scoperta proviene direttamente dal cuore dell’Europa centrale, per l’esattezza da un perimetro che si estende dall’Austria alla Repubblica Ceca e alla Slovacchia, fino ai confini meridionali della Germania e rivoluzionerà lo studio della preistoria. (…).
Più di 150 giganteschi monumenti sono stati individuati grazie alle fotografie aeree effettuate in tutta l’Europa centrale, nelle città dell’odierna Germania, Austria e Slovacchia.
Furono costruiti 7.000 anni fa, tra il 4800 a.C. e il 4600 a.C.
“I nostri scavi hanno rivelato un alto grado di civilizzazione di questa civiltà. Per creare i primi complessi di terrapieni su larga scala d’Europa queste popolazioni furono in grado di utilizzare una visione monumentale e sofisticata dell’insieme”, ha affermato l’archeologo Harald Staeuble del dipartimento del patrimonio del governo statale della Sassonia che ha diretto le indagini.
In tutto sono stati identificati più di 150 centri religiosi monumentali, ciascuno fino a 150 metri di diametro, costruiti su un’area di 400 miglia in quella che oggi è l’Austria, la Repubblica Ceca, la Slovacchia e la Germania orientale.
Costruiti in terra e legno, avevano bastioni e palizzate che si estendevano per mezzo miglio.
Furono costruiti da un popolo che viveva in case comuni lunghe fino a 50 metri, raggruppate intorno a consistenti villaggi. Le prove suggeriscono che la loro economia fosse basata sull’allevamento di bovini, ovini, caprini e suini”.
Ora, il fatto che davvero colpisce è che, mentre se il sistema mediatico desse agli eventi uno spazio realmente proporzionato alla loro importanza e al loro significato, cioè se avessimo un’informazione onesta, una simile scoperta, anziuna simile serie di scoperte, occuperebbe ampio spazio su tutti i media, essa rimane praticamente ignorata da tutte le fonti di informazione ufficiali, ma trova invece un’eco solo sulle pagine di “L’arazzo del tempo”, sito dignitosissimo, per carità, ma certo non in grado di offrire la copertura mediatica che le spetterebbe, è costretta a un’esistenza catacombale da circolo di carbonari.
“The power of the press is to soppress”, dice un noto proverbio anglosassone, il potere della stampa è quello di sopprimere le notizie, e il modo più efficace per farlo, non è la censura, ma fare in modo che esse abbiano pochissima eco, disperse in un mare di “novità” futili e irrilevanti, negare loro, come si dice oggi, “visibilità mediatica”.
“La storia è una congiura”, ha detto qualcuno, o meglio, è una congiura l’immagine che abbiamo, che ci è stata costruita, di essa, una congiura le cui finalità sono drammaticamente chiare: in nome del “politicamente corretto”, evitare che gli Europei riscoprano l’orgoglio di essere tali.
Ma noi, in ogni caso, siamo qui, a testimoniare la grandezza e l’antichità della nostra eredità ancestrale in quanto italiani ed europei.
NOTA: Nell’illustrazione, i giganti di Mont’e Prama, enigmatica testimonianza della civiltà nuragica.