Ricominciamo il nostro cammino nel nuovo anno. Io non so dirvi quando leggerete questo articolo su “Ereticamente”, ormai, stante i tempi tecnici della pubblicazione, ho rinunciato a fare previsioni, ma nel momento in cui ne inizio la stesura, siamo a gennaio. Prevedere il futuro non è ovviamente possibile, ma, da quello che abbiamo visto in questo scorcio d’inizio d’anno, c’è da presumere che anche il 2022 non ci farà mancare interessanti novità in questo viaggio alla ricerca delle nostre origini.
Cominciamo con il menzionare un articolo apparso piuttosto indietro nel tempo, ma come sapete, nel mare magnum di internet è praticamente impossibile essere aggiornati in tempo reale, precisamente il 25 settembre scorso, su Sky TG 24 che dà una risposta che dovrebbe essere definitiva a una delle questioni più dibattute degli ultimi anni: l’origine degli Etruschi. Noi sappiamo che di questo popolo che ha creato nell’Italia antecedente la conquista romana una grande cultura, sono state proposte le origini più strampalate, complice il fatto che la lingua che parlavano non era di ceppo indoeuropeo (c’è di base, come al solito la confusione fra il piano antropologico e quello linguistico).
Sulla scorta della narrazione di Erodoto, se n’è varie volte proposta un’origine orientale, dall’Anatolia (come se anche il grande storico greco fosse immune dal dire cavolate), ma questa non è una riprova se non del fatto che il malsano fascino dell’oriente, nella nostra cultura è assai antico, ha preceduto il cristianesimo e gli ha spianato la strada. I Romani stessi, contro ogni evidenza storica, si attribuivano un’origine troiana con la leggenda del mai esistito Enea.
Potremmo pure ignorare le fesserie recentemente comparse su alcuni siti afroamericani che attribuiscono agli Etruschi un’origine africana, si tratta di un’idiozia “democratica” e “politicamente corretta”, tendente a ogni modo a minimizzare il ruolo storico dell’uomo bianco, e quindi ovviamente una totale falsità e una stupidaggine.
Ora una ricerca genetica condotta dalle università di Firenze, Jena e Tubinga, che ha coinvolto ricercatori italiani, tedeschi, danesi, inglesi e statunitensi, effettuata su un campione dei resti di 82 persone vissute tra l’800 a. C. e il 1000 d. C., ci dà la risposta: il genoma degli Etruschi è prettamente italico, non ci sono dubbi sul fatto che fossero autoctoni della nostra Penisola, come d’altra parte lo si ricorderà, il sottoscritto ha sempre sostenuto.
Non si tratta propriamente di un’omissione, poiché ne ho parlato più volte, ma prendiamo comunque atto che il periodico “Stile-Arte” ha dedicato lo scorso 29 ottobre un articolo alle misteriose mummie dalle fattezze sorprendentemente europidi ritrovate in Cina nel bacino del fiume Tarim (mummie naturali, dovute all’eccezionale stato di aridità della regione, non frutto di imbalsamazione come quelle egizie). L’articolo si sofferma in particolare su quella di una giovane donna in eccezionale stato di conservazione, e che corrisponde perfettamente ai nostri canoni di bellezza occidentali, che è stata soprannominata la “Biancaneve” del Tarim, che risale a 3.800 anni fa.
Tuttavia, ed è probabilmente questo l’aspetto più interessante dell’articolo, esso ci parla anche della ricerca condotta dall’Istituto Max Planck per la biologia evolutiva di Lipsia, sul genoma di questa antica popolazione per stabilirne l’origine.
Beh, il risultato è sorprendente, il loro genoma coinciderebbe al cento per cento con quello del tipo paleolitico definito come eurasiatico settentrionale. Si tratterebbe di una popolazione fortemente endogama che ha mantenuto le sue caratteristiche genetiche intatte dalla remota preistoria fino a dopo Cristo, e non sembra aver dato alcun contributo al genoma dei cinesi moderni.
Questo ci dà una risposta molto chiara a una questione non solo importante, ma fondamentale: contrariamente a quanto ci sentiamo ripetere da tutto lo sciocchezzaio “democratico” e “politicamente corretto” proveniente soprattutto dal bastardume “made in USA”, perché un popolo possa esprimere una cultura degna di considerazione, come è stato il caso della “cultura del Tarim”, non sono necessari apporti esterni, né tanto meno il meticciato, che si è rivelato sempre un fattore di decadenza.
Messe a posto queste omissioni riguardanti l’anno trascorso, diciamo subito che se il 2021 è stato, come abbiamo visto, un anno denso di sorprese e novità, il 2022 da come si annuncia in prima battuta, non sembra proprio voler essere da meno.
La prima notizia dell’anno ci arriva da una fonte alquanto insolita, nel senso che non si occupa spesso di archeologia, l’Associazione Pietas, che ben conosciamo per i suoi ammirevoli sforzi per ricreare in Italia una comunità gentile.
Leggiamo sul sito dell’Associazione un post datato 2 gennaio:
“A pochissime centinaia di metri dall’attuale tempio di Giove, è emerso un antico complesso composto da tempio e villa, che lascia intendere la presenza di un antico collegio sacerdotale qui sulla via Casilina”.
L’attuale tempio di Giove, s’intende, è quello realizzato ed aperto al culto dagli amici della Pietas, per i quali, a quanto fa comprendere il blog, questo ritrovamento appare un po’ il segno della continuità fra l’antica religione e quella a cui loro stessi si adoperano per ridare vita, ma nulla vieta di tenere in considerazione anche l’aspetto propriamente archeologico di questo ritrovamento.
Ricorderete che nell’ottantesima parte vi ho parlato di elmi, in particolare del fatto che occorre smentire una diffusa leggenda al riguardo: gli elmi scandinavi dell’età vichinga non erano muniti di corna. Al contrario, elmi cornuti si ritrovano in Scandinavia nell’Età del Bronzo, in epoca molto più antica, 1500 anni prima, e, questa è la sorpresa, sono praticamente identici a quelli indossati dai personaggi raffigurati nei coevi bronzetti nuragici. Questo ha spinto i ricercatori a ipotizzare un collegamento già in epoca preistorica tra la Sardegna e la Scandinavia, un collegamento marittimo che avrebbe interessato anche la Penisola iberica come tappa intermedia.
Bene, il 10 gennaio, Cagliaripad, un notiziario on line ovviamente sardo, ci informa che questa ipotesi dei ricercatori dell’Università danese di Aarhus è stata oggetto di un documentario della CNN. Da un lato fa piacere, dall’altro però bisogna constatare ancora una volta che sono gli stranieri, più che noi stessi, a interessarsi del nostro passato.
Sarà forse, come si dice oggi con un brutto anglicismo (tutti gli anglicismi sono brutti) out off topic, non attinente all’argomento archeologico, ma è impossibile non menzionare il fatto che a lato della notizia del documentario della CNN, Cagliaripad ne riporta una di tutt’altro genere: una donna di 25 anni incinta, con dolori e perdite ematiche è stata respinta dal pronto soccorso di Sassari e ha poi perso il bambino. Fratelli d’Italia si ripropone di presentare al ministro Speranza un’interrogazione parlamentare sull’accaduto.
Ma vogliamo scherzare? Non avete ancora capito che gli Italiani figli non ne devono più fare, che questa è un’incombenza che tocca agli immigrati? Le “nostre” istituzioni lavorano alacremente per la sostituzione etnica, e non può certo sfuggire che la “colorizzazione”, cioè la falsificazione “politicamente corretta” e “democratica” della nostra storia contro cui ci stiamo battendo, serve precisamente al medesimo scopo, la nostra morte come popolo. Quello per il nostro passato non è un interesse erudito, e questo è un campo di battaglia.
Andiamo avanti, seppure con uno sforzo maggiore del solito. Il 13 gennaio troviamo su un altro blog personale, verosimilmente quello di un altro ricercatore (ma perché l’indagine sul nostro passato sembra quasi doversi nascondere nelle catacombe?), quello di Renzo Giuseppe Madia, la notizia di un importante ritrovamento nella tomba di un guerriero miceneo dell’Età del Bronzo, 3.500 anni fa ad opera di ricercatori dell’Università di Cincinnati, a Pylos, di un imprevisto tesoro:
“Secondo l’articolo di UC Magazine Unearthing a Masterpiece, il tesoro includeva “quattro anelli d’oro massiccio, coppe d’argento, perline di pietre preziose, pettini d’avorio a denti fini e una spada di costruzione complessa, tra le altre armi”.
Ma la vera sorpresa è stata un’altra, il ritrovamento di una minuscola agata finemente lavorata con una perizia artistica sorprendente.
“Quando hanno rimosso l’impiallacciatura incrostata della piccola agata, si sono resi conto che la sua superficie piatta portava un’incisione quasi microscopica che potrebbe cambiare il modo in cui gli studiosi vedono lo sviluppo dell’arte in quel momento e in quel luogo.
Innanzitutto, l’immagine sulla pietra raffigura una scena di battaglia in cui un guerriero trafigge un nemico con la sua spada mentre ne calpesta un altro sotto i piedi. Questa scena è caratteristica della guerra in quell’epoca, ma furono i dettagli estremamente fini dell’opera d’arte a stupire gli archeologi che l’hanno portata alla luce.
Ciò che è affascinante è che la rappresentazione del corpo umano è a un livello di dettaglio e muscolatura che non si ritrova fino al periodo classico dell’arte greca 1000 anni dopo”, ha spiegato Jack Davis, capo di scavo e professore di archeologia greca”.
A ciò non vi sarebbe nulla da aggiungere, tranne il fatto che più cose sappiamo dei nostri antenati, tanto maggiore rispetto dobbiamo avere dell’antica civiltà europea.
Sembra proprio che in questo inizio di 2022 non dobbiamo farci mancare nulla, abbiamo anche una nuova Atlantide mediterranea, e a quanto pare, non molto lontano da casa nostra. Sempre il 13 gennaio, un altro ricercatore, Luigi Usai, ha annunciato sul suo blog la scoperta addirittura di un’antica civiltà finora sconosciuta che sarebbe sorta sulla scarpata continentale oggi sommersa, che collega la Sicilia e Malta, e annuncia la prossima uscita di un libro sull’argomento. Staremo a vedere.
Nel frattempo sono comunque disponibili diversi filmati su Youtube che lo stesso Usai ha postato a partire da dicembre 2021, epoca in cui sarebbe avvenuta la scoperta.
Continuiamo a parlare di micenei. Come con ogni probabilità sapete, questi antichi Greci dell’Età del Bronzo erano un popolo indoeuropeo che, sceso da nord, sottomise gli abitanti pre-indoeuropei della Penisola ellenica (Pelasgi) e i Minoici di Creta, dando luogo alla civiltà che prende il nome dal suo centro più importante, Micene, non furono il solo popolo indoeuropeo a calare da nord nella penisola ellenica. Secoli più tardi, la loro discesa fu seguita da quella di un altro popolo indoeuropeo, i Dori, che posero fine alla civiltà micenea originando il cosiddetto medioevo ellenico. In età classica, manteneva una fisionomia prettamente dorica Sparta.
I Micenei, noti anche come Achei (è questo il nome che davano a sé stessi) sono i protagonisti del ciclo epico omerico narrato nell’Iliade e nell’Odissea. E qui sorge il problema, poiché secondo la nota tesi esposta dall’ingegner Felice Vinci nel libro Omero nel Baltico, le vicende narrate da Omero non sarebbero avvenute nel Mediterraneo, ma nell’area baltica di cui gli Achei erano originari, e solo successivamente riambientate nel contesto mediterraneo del loro insediamento definitivo.
Ciò, come vi ho spiegato a suo tempo proprio recensendo il libro di Vinci, mi sembra possibile, un’ipotesi da prendere in attenta considerazione, ma non certo (avversata tra l’altro da studiosi di non poco calibro, come Ernesto Roli, già amico e collaboratore di Adriano Romualdi), mentre sulla provenienza nordica degli Achei non sussistono dubbi di sorta.
Torniamo a occuparcene perché venerdì 7 gennaio Felice Vinci ha postato su Youtube I segreti di Omero nel Baltico, un’interessante conferenza che riepiloga le sue tesi.
Un sito, io penso, meritevole di essere seguito con interesse, è “L’arazzo del tempo”, proprio perché vanta Felice Vinci fra i suoi collaboratori. Recentemente, esso ha “partorito” due gruppi facebook, uno che s’intitola appunto “L’arazzo del tempo” e l’altro dal titolo chilometrico (e forse prevedibile) “Coloro che credono alla teoria di Omero nel Baltico di Felice Vinci”.
Una cosa che, devo dire la verità, ho trovato piuttosto curiosa, è trovare su “L’arazzo del tempo” una recensione in termini alquanto favorevoli del libro Gli dei baltici della bibbia di Mauro Biglino e Cinzia Mele.
In tutta sincerità, la tesi di fondo di Biglino secondo la quale ciò che la bibbia chiama Elohim e noi traduciamo come Dio sarebbe stata in realtà un’entità collettiva di extraterrestri che avrebbero creato l’umanità come una sorta di automi biologici, mi lascia totalmente scettico, e questo, badate bene, non perché io ritenga che la bibbia sia un libro sacro e che l’interpretazione canonica datane dalla Chiesa cattolica non possa essere messa in dubbio. Il fatto è che come autore di fantascienza ho bazzicato parecchio con alieni ed extraterrestri, e so bene che la finzione letteraria è una cosa, la realtà tutta un’altra, e Biglino e tutti gli ufologi in genere, verso le cui tesi sono del pari del tutto scettico, non tengono conto di un fatto fondamentale, l’enormità delle distanze interstellari, impercorribili a velocità inferiori a quella della luce, nell’arco di una vita umana o di quella di un qualsiasi organismo che non abbia la lentezza metabolica di una sequoia.
Gli dei baltici della bibbia mi è sembrato appunto un libro scritto “In scia” di Omero nel Baltico, per sfruttare l’interesse che quest’ultimo ha creato nel pubblico dei lettori.
Tornando a Felice Vinci, io francamente non so se ulteriori ricerche ci permetteranno o meno di verificare le sue tesi sull’Omero baltico, ma quanto meno la sua opera è una preziosa controtendenza rispetto a quella oggi prevalente e totalmente mistificante, di “africanizzare” e “colorizzare” la nostra storia remota.
Un’ultima considerazione, dopo l’ottantesima e l’ottantunesima parte, questa è la terza Eredità degli antenati “regolare” stilata prescindendo del tutto da fonti anglosassoni, perché il risentimento nei confonti di quella genia arrogante non è che si possa archiviare. Vi pare che ne abbiamo risentito molto?
NOTA: Nell’illustrazione, l’agata con la fine incisione ritrovata a Pylos nella sepoltura di un guerriero miceneo di 3.500 anni fa.
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