La compagnia si allarga. Fino a poche settimane fa chi non era devoto europeista veniva accusato di ogni nefandezza. Per colpa – vorremmo dire merito, ma il rispetto per la morte e la sofferenza impone il tono grave della tragedia – del coronavirus, si può dire e pensare che l’Europa è “ripugnante”. Il solco è stato tracciato dal ministro dell’economia portoghese Antonio Costa, che ha duramente attaccato il suo collega olandese Hoekstra durante un’infruttuosa riunione dell’Eurogruppo in video conferenza. Da parte dei paesi legati alla Germania non è venuta alcuna solidarietà concreta nei confronti dei paesi più colpiti dall’epidemia, bensì l’aperta proposta di commissariarli, espropriarli, in nome della (finta) austerità nordica, di quel che resta della sovranità. Ripugnante davvero, e poco importa a quali fazioni politiche appartengano i protagonisti del litigio, vera e propria metafora dell’impotenza e dell’irriducibile conflitto di interessi, convinzioni e cultura che paralizza l’istituzione europoide.
La ripugnanza è una sensazione fisica di disgusto dinanzi alla vista di qualcuno, alle sue parole e ai suoi atti. È un’avversione profonda e primaria, non spiegabile in termini logici. Questa è precisamente la distanza insuperabile tra la civiltà razionale e utilitaristica dei paesi avvolti nella loro sporca ultramodernità e la civiltà, residua ma vitale, di nazioni che conservano nel corpo sociale più profondo un afflato di fraternità che, ahimè, espone maggiormente alla malattia. E’ lo “spirto gentil” dei popoli latini, che, nonostante tutto, rende umani, più felici e davvero civili, membri di una comunità. Vomitevole è la “surmodernità” (Marc Augé) di matrice anglosassone, germanica e protestante, che calcola con l’algida precisione dei matematici attuariali chi è degno di vivere dopo la tempesta virale. La matematica e sua sorella maggiore la ragione economica consigliano il sacrificio dei vecchi, l’eutanasia di massa, o semplicemente l’indifferenza programmata nei confronti di chi sta male, ma ha superato una certa età. Ripugnanza è anche la definizione dell’invincibile avversione a compiere gesti incompatibili con la condizione di uomini.
Si rompe, speriamo, la relazione – quella sì, infettiva – tra la nuova Europa utilitarista e liberale, commerciale e produttiva, e la Vecchia Europa che sa fare, agire, produrre, ma conserva, latenti nel fondo della coscienza, principi antichi. Davanti alla richiesta di aiuto, gli utilitaristi astratti, i profeti dell’eutanasia, esigono la revisione del deficit. Una delle accuse mosse dai civilissimi nordici è di ammettere alle cure intensive vecchi e malati. Ciò che è una medaglia al valore della civiltà, diventa, nella cloaca dei ragionieri aspiranti omicidi e futuri suicidi, una colpa. Per loro, anzi, è necessario e positivo che il costo economico degli anziani sia alleviato dall’epidemia killer. La posizione olandese ha suscitato nel ministro portoghese – dirigente di una piccola nazione ex imperiale povera di risorse e priva di tulipani – una santa ripugnanza.
Scarsa reazione da parte italiana. Il solito piede in due scarpe, vizio delle nostre classi dirigenti. In più, temono rigurgiti di populismo e di antieuropeismo: nossignori, sono conati di vomito per rispetto della nostra civiltà. Spiace ricordare agli europei di là delle Alpi che quando nel Mediterraneo si fondavano la filosofia e il diritto e venivano enunciati i principi più alti della civilizzazione umana, i loro antenati erano poco più che bestioni. Nel DNA, qualcosa deve essere rimasto. La ripugnanza, gentili ostrogoti, è mutua. In Olanda si chiede agli ultrasettantenni di rifiutare le cure con apposito certificato. La legalità è un rivoltante apparato di forme. Con apposito timbro e firma legalizzata dinanzi al rappresentante di una miserabile “autorità”, tutto diventa fattibile, conforme alla legge. In un romanzo di Bertolt Brecht – un tedesco – il capo dei gangster comanda un omicidio ai suoi complici, ma “il lavoro deve essere legale.” La legalità finisce nella parola d’ordine di un bandito. In Belgio l’avvertenza è chiara, bilingue, francese e fiammingo: i vecchi malati verranno soccorsi solo se possibile. Codice nero; nessuna urgenza, si può morire, con piena soddisfazione delle assicurazioni sanitarie, della previdenza pubblica e privata, degli eredi.
Non ci servono i consigli “tecnici” della soggettività razionale utilitaria. E’ bastata la situazione innescata dal Covid19 per far emergere le contraddizioni e le differenze fondamentali, non solo economiche, fino a ieri coperte da vacui formalismi, banali interessi e dichiarazioni di facciata. Ora sappiamo, noi europei, che cosa possiamo aspettarci gli uni dagli altri nelle circostanze dolorose. Sappiamo anche che sono reciprocamente “ripugnanti” i principi che significano civiltà, per noi e per gli altri. Da tempo si è diffusa la spaventosa riduzione della felicità umana – diritto costituzionale garantito – al piacere etologico, zoologico, con l’idea conseguente di utilizzare il denaro come unità di misura universale del piacere trasformato in merce. Un’idea stravagante, ma divenuta fondamento unico della visione del mondo.
La testa mummificata del padre dell’utilitarismo, Jeremy Bentham, posta ai piedi del suo scheletro esposto all’ingresso dell’University College di Londra, dà l’idea della morbida egolatria e del senso della trascendenza del fondatore. Esiste una linea diretta tra il razionalismo dominante e la considerazione che la vecchiaia dolente e molesta, che non apporta piacere, onerosa per i bilanci pubblici e per la ricchezza privata, deve essere soppressa. L’unico dibattito sembra ridursi ai costi: l’assassinio seriale è a carico dello Stato, o prevale l’iniziativa privata?
Lo scrittore Francisco Ayala formulò con precisione la contraddizione tra i due mondi in cui nasce questa ripugnanza essenziale. Da un lato, l’imperialismo commerciale della Nuova Europa che sottopone i popoli dominati a un trattamento puramente tecnico: “Il criterio razionale di cui il commerciante è la tipizzazione consente di scendere a compromessi, contrattare, rovesciare, eccetera, perché nel suo calcolo non entra il nucleo della personalità, ma solo valori misurabili, mai impegnati sino in fondo, e tutte le sue azioni sono con beneficio d’ inventario”. Il fallimento di questo dominio mercantile potrebbe essere trovato “in quell’atteggiamento freddo e noncurante che lega gli uomini nelle strutture tecnico-organizzative e li forma alla gestione dei materiali tecnici, ma non li incorpora in una comunità di cultura, in maniera tale che, pur essendo capaci di solidarietà negli interessi, non lo sono in ugual misura in una solidarietà di destino”.
Dal lato della Vecchia Europa resisteva la difesa di una “solidarietà di destino” fondata su una costituzione spirituale, non materiale. È la vecchia Europa le cui vestigia storiche soffrono oggi la più alta incidenza di un virus che si porterà via i suoi vecchi e i suoi malati nell’indifferenza, senza neppure un funerale. Certo, sotto il profilo economico e comportamentale, esiste la nostra mancanza di carattere e la propensione allo spreco. Il primo presidente della BCE, l’olandese Dijsselbloem, che finì misteriosamente annegato nella piscina di casa, fu chiaro: perché aiutare i paesi del Sud Europa, che spenderanno i soldi in donne e alcool? Residui di antichi, biechi, moralismi luterani. Chi lavora nel commercio internazionale sa che le barriere doganali e giuridiche olandesi sono particolarmente flessibili, aggirabili in denaro, e che l’intera filiera dei controlli- sanitari, di qualità, sui movimenti di denaro, è più stringente dalle parti del Mediterraneo.
La ripugnanza non ha soltanto motivi etici e civili, ma si nutre di cifre e circostanze. Nel Nord Europa – in particolare in Olanda – opera un enorme dumping fiscale. Miliardi e miliardi di volumi d’affari e di profitti dichiarati non in Italia, Francia o Spagna, ma nel paradiso tributario olandese, santuario europeo delle multinazionali dell’abbigliamento e dello sport, dei giganti finanziari e dei padroni della tecnologia informatica. Germania e Paesi Bassi sono i grandi beneficiari della moneta unica. Il cosiddetto “salvataggio” imposto alla Grecia, ma anche, in larga misura, a Spagna, Portogallo e Italia, si è risolto nella tutela degli interessi degli investitori tedeschi e olandesi. Questa novella Lega Anseatica non è neppure una novità: il piano di Walter Funk, ministro delle finanze del Terzo Reich, prevedeva che l’industria fosse appannaggio degli efficienti e laboriosi tedeschi. A noi, il turismo, l’agricoltura e la cura degli agi materiali dei vicini del nord. Lo ricordò Paolo Savona, non un folle complottista, e mal ne incolse alla sua carriera di grand commis finanziario.
Oggi tentano di evitare la contaminazione – non quella del coronavirus – e sono entrati in uno stato di confino economico. Vogliono uscire da questa crisi nella migliore situazione in termini nazionali. Il danno alle strutture europee conta poco se aumenta la loro forza. In realtà, si stanno preparando per il futuro, compresa la rottura dell’attuale UE. Il loro atteggiamento è una forma indiretta e tortuosa di Brexit. L’anti Unione Europea sta oltre le Alpi e sul Mare del Nord. La presente incerta deglobalizzazione è stata avviata dal paese più potente del mondo, gli Stati Uniti, con la presidenza Trump. Un piccolo paese, la Grecia, non ha lasciato l’UE, ma uno grande, il Regno Unito, sì. I separatismi regionali sono forti nelle aree ricche; In altre parole, sono state le classi, i territori e i paesi con le maggiori risorse a stravolgere le regole del gioco; sarebbe strano se ciò non accadesse anche nell’UE.
Tuttavia, nulla di quanto esposto ciò viene di solito rilevato: la tendenza alla biforcazione continua. Neppure il coronavirus riesce a cambiare la direzione in Europa. Chi non si fida dell’Europa sono i sedicenti virtuosi, Germania, Paesi Bassi e Lega anseatica, che stanno disegnando un altro futuro. Forse arretreranno, come nelle rispettive lotte domestiche contro il coronavirus; altrimenti, dovremo prepararci per ciò che accadrà. Grava sul dibattito un enorme onere morale, poiché l’attuale crisi sta provocando la morte di migliaia di persone e molti lutti sono il prodotto, oltreché del virus, del collasso dei sistemi sanitari e della mancanza di risorse in Italia, Spagna, persino in Francia, nei paesi ai quali è stata imposta l’austerità, il vento del Nord.
Per molto tempo abbiamo creduto che i paesi dell’Europa settentrionale e centrale fossero più civili di noi. Si è generalmente alluso alla maggiore disciplina dei cittadini, alla superiore efficienza dei funzionari e dei tecnici delle pubbliche amministrazioni e alla trasparenza delle loro istituzioni. Molti spagnoli, italiani o portoghesi vorrebbero che i loro paesi assimilassero queste qualità ma allo stesso tempo respingono con orrore – con ripugnanza – caratteristiche come la propensione all’isolamento individuale e il deficit di sentimenti. La prova è nelle franche dichiarazioni degli epidemiologi olandesi, per i quali “in Italia, le unità di terapia intensiva sono gestite in modo molto diverso. Includono persone che noi non includeremmo perché troppo vecchie. Gli anziani hanno una posizione molto diversa nella cultura italiana”. In Olanda è vicina la legalizzazione di una pillola suicida gratuita per gli over 70, un dibattito riaperto quest’anno, prima che scoppiasse la pandemia. Civiltà…
Se la civiltà è efficienza, la risposta è ovvia: tedeschi e olandesi sono più civili di spagnoli e italiani. Ma se la civiltà è il sentimento che modella la società, il centro che le dà forma, le cose stanno diversamente. In questa dicotomia tra efficienza (ragione strumentale, partita doppia, profitti e perdite) e sentimento (ragione morale, umanità, comunità) vi è tutto il conflitto tra due forme di civilizzazione. Affinché una società sia davvero civile, non è sufficiente che sia illuminata e tecnologicamente avanzata, serve comprensione reciproca tra i suoi membri, empatia, comunità. Quando Aristotele sottolinea la relazione tra l’emergere dei miti e la filosofia, afferma che la filosofia nasce dallo stupore, un sentimento che precede la ragione. La gente ragiona su ciò che la attrae, che in precedenza ha generato un sentimento. Civiltà è, prima di tutto, prendere posizione.
Certo, il sentimento è solo un primo passo che la ragione deve valutare, perché, insegna la storia, non c’è nulla di più distruttivo del sentimento sbagliato. Ma quando scompare il sentimento che anima l’ascesa di una civiltà, la società si riduce a convivenza casuale in cui l’efficienza prevale su qualsiasi altro valore. Quindi, la civiltà può degenerare in barbarie come abbandonare gli anziani al loro destino perché, nell’impero dell’efficienza, l’età è un fattore determinante per il valore di una vita. Sono i sentimenti a collegarci con gli anziani e con i più giovani. Edmund Burke lo avvertì quando disse che quelli a cui non importa degli antenati non si preoccuperanno dei loro figli.
La perdita del sentimento porta al deterioramento delle relazioni umane. Da questo punto di vista, l’atteggiamento olandese è un fedele riflesso dell’uomo moderno, che, arrendendosi all’efficienza, decide di sacrificare gli anziani, freddamente, senza rimorsi o malizia. Dopotutto, la conoscenza della realtà materiale così com’è, senza valutare alcun principio, è conoscenza della morte. Non molto tempo fa la vecchiaia era ancora venerata come deposito di saggezza e legame con il passato, e salvaguardare gli anziani era segno di alta civiltà. Ora che la conoscenza è diventata universale e il passato è un onere irritante e sacrificabile, gli anziani sono identificati come una minaccia al mantenimento del benessere. Pochi se li caricano sulle spalle, conservando ancora abbastanza eroismo per non essere travolti dall’efficienza scientificamente programmata.
In questi giorni, tuttavia, stiamo osservando eventi sociologici apparentemente contraddittori. I tedeschi, di solito più riservati, escono su balconi e finestre per fraternizzare con i vicini, mentre gli italiani, così refrattari al distanziamento sociale, dimostrano una disciplina insospettata nell’ isolamento. Non è così strano. I tedeschi, di fronte a una concreta minaccia esistenziale, hanno sentito il bisogno di socializzare, mentre noi accettiamo il sacrificio perché sappiamo di tutelare noi stessi e gli altri. In entrambi i casi, ha prevalso il sentimento, unito a una dose di razionalità, o meglio di senso comune. È la civiltà millenaria dell’”animale sociale”, che sa di non potere vivere, sopravvivere ed essere felice da solo. Lo sapeva Aristotele già duemilacinquecento anni fa, ed è forse il senso profondo del “pensiero meridiano” del Sud Europa, evocato da Franco Cassano. Desta ripugnanza che non lo sappiano i civilissimi figli delle brume, reduci dall’avere affisso sulla porta della chiesa di Wittenberg le novantacinque tesi di Lutero, padre del soggettivismo, dell’efficienza individuale, della solitudine esistenziale, dell’etica “more geometrico” e del frigorifero dell’anima nordica.
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