Nel libro “L’ultima intervista di Pasolini” Furio Colombo e Gian Carlo Ferretti riportano le profetiche parole del marxista eretico Pier Paolo Pasolini, concesse tramite una intervista, di cui ne riporterò un estratto di seguito. Pasolini manifestò <<la sua netta opposizione nei confronti della “legalizzazione dell’aborto” nel 1975, opposizione da lui ricondotta al “senso dell’origine sacra della vita”, al legame viscerale con le “acque primordiali del ventre materno”, al richiamo di un “paradiso” naturale e prenatale>>.
Il marxista eretico insieme a cattolici e missini verrà, in questo caso, sconfitto dall’entrata in vigore della legge sull’aborto del 1978 che di fatto sancirà la non sacralità della vita sin dal concepimento.
Tale legge oltretutto arrivava dopo l’imperfetta, squilibrata, e nella prassi prevalente, antipaterna legge sul divorzio, che avrebbe poi avuto effetti nefasti sulla natalità e sulla famiglia; il tutto andava a formare una sorta di filo rosso che ci avrebbe portato all’ultimo e liberticida (art. 4, estremamente rischioso sotto il profilo della libertà di opinione) ddl Zan, fortunatamente per ora, caduto nell’oblio.
Viene quindi inaugurato con il divorzio uno Stato e una Legge che inizia ad occuparsi degli aspetti più intimi della vita delle persone (arrivando a stabilire i giorni e gli orari precisi in cui il genitore non affidatario possa vedere i figli); da lì in avanti la normazione ossessiva sarà una costante del progressismo che ci accompagnerà fino ad oggi, arrivando alle pesanti restrizioni del 2020 in cui il legittimo principio costituzionale della tutela della salute (art.32) è stato applicato con metodologia rischiosamente oscurante nei confronti di altri principi costituzionali (art. 4, diritto al lavoro e art.13, libertà personale) che di fatto gli sono risultati tendenzialmente subordinati, allontanando il tentativo di armonizzarli tra loro, e costruendo quindi una tendenziale gerarchia dei principi costituzionali.
Ritornando agli anni Settanta, questo grande desiderio di modifica antropologica del popolo italiano che doveva divenire più aperto ai nuovi costumi urbani, alla nuova sessualità liberata, all’attacco alla famiglia, alla desacralizzazione della vita, ha visto un piccolo partito fare da apripista, il Partito Radicale, e alcuni grandi accodarsi, come l’elettoralmente rilevante Partito Comunista Italiano.
Il Partito Radicale nasce nel 1955 da una scissione a sinistra del partito liberale, non ha quindi una matrice marxista, è infatti liberista in economia, libertario nel campo dei costumi e della sessualità, filoamericano; la sua principale arma sarà la continua proposizione di tematiche disarticolanti il corpo sociale (divorzio, aborto, eutanasia, legalizzazione di alcune droghe, apertura all’immigrazione).
Le tematiche radicali diverranno nel tempo le principali istanze dell’intera sinistra che quindi senza accorgersene diverrà la cassa di risonanza di istanze non più prevalentemente operaie (che cercavano sicurezza nel P.C.I.) ma di una umanità affrancata dal vincolo, individualista, convinta di farcela da sola, che iniziava a vedere nella famiglia, nel fidanzato e nella ristretta cerchia delle amicizie un limite angusto, e veniva sempre più abbagliata dalla luce di un progressismo che reclamava opportunità per chiunque fosse stato disposto ad abbandonare la tradizione.
Il Partito Comunista Italiano che aveva sempre posto in cima ai suoi interessi i diritti sociali iniziava ad aprire sempre più convintamente ai diritti civili sbandierati dalle istanze radicali.
La tesi secondo cui i diritti civili non sono in contraddizione con i diritti sociali ha una qualche fallacità, in quanto mentre i secondi si prefiggono di contrastare e ridurre le distanze tra il basso e l’alto della società, i primi non hanno questo scopo, bensì quello di deverticalizzare lo scontro e renderlo orizzontale, ricondurlo cioè al di fuori della contrapposizione “Padrone-Suddito” e ricollocarlo in altre innumerevoli contrapposizioni (uomo-donna, eterosessuale-omosessuale , famiglia naturale- famiglia arcobaleno ecc..) che sono potenzialmente infinite e discutibili sotto il profilo costituzionale, dato che tenderebbero a stabilire una sorta di gerarchia delle discriminazioni che non ha ragion d’essere secondo il nostro articolo 3 della Costituzione; la discriminazione è sempre e comunque inaccettabile indipendentemente dal profilo identitario di chi la subisce, le specificazioni rischierebbero di lasciar fuori qualcuno.
Ecco quindi che l’elettorato della sinistra muta e la sinistra lo insegue, sempre alla ricerca di nuove vittime vere o presunte, che si badi bene, lo sono non in riferimento ad uno specifico fatto subito in un dato momento, ma sostanzialmente a priori, cioè perché appartenenti a quella specifica categoria che si decide di porre sotto i riflettori (omosessuali, donne, immigrati, ecc..).
Le tematiche delle nuove contrapposizioni non sono quindi specificatamente popolari, bensì libertario-borghesi; non tragga in inganno la parola libertario che non ha nulla a che vedere con la libertà di una singola persona cosciente della sua identità e delle sue radici, ma si rivolge bensì a procedure da seguire, indipendentemente dalla volontà dell’altro, in un perimetro definito minuziosamente dallo Stato (esempio divorzio).
Nella sinistra quindi, le istanze sociali iniziano a ridimensionarsi ben prima della mutazione genetica del Pds di Achille Occhetto, attraverso “la presa di spazio” di divorzio e aborto, che non si rivolgono specificatamente alla classe operaia ma attirano un elettorato più borghese e meno legato a una visione religiosa della vita, che in alcune aree del proletariato permaneva; il trionfo in sostanza della borghesia urbana e di chi aspirava ad una emancipazione dall’Altro; individualismo a scapito di relazionalità.
Inizia quindi a scomparire l’Altro e a ipertrofizzarsi l’io.
Dagli anni Sessanta, con il suo attacco al padre, ben orchestrato dalle teorie dei freudo-marxisti della scuola di Francoforte, l’inurbamento progressivo della popolazione, lo spopolamento delle campagne (grande serbatoio di religiosità e visione sacra della vita) si verifica una poderosa ritirata del sacro, inteso come non negoziabilità dei valori, che invece il piccolo Partito Radicale e i molti che vi si accodarono iniziarono a riscrivere, prospettando ad un popolo ormai preda della civiltà dei consumi e dell’edonismo un percorso da uomini soli garantiti dalla legge; la comunità si sfalda e la società aperta avanza, con tutti i suoi spettri, denatalità, edonismo, individualismo indifferente all’Altro, immigrazione di massa, decadimento della famiglia e dei valori comunitari.
La sola salvezza è invertire la rotta nella direzione del comunitarismo, la ritirata dello Stato dagli aspetti intimi delle persone e il suo rientro nella questione dei diritti sociali, riattivando un ascensore sociale oramai fermo da decenni.
Fa specie che ancora oggi, in questi giorni di imbarazzante lasciapassare verde, secondo molti esponenti politici e non solo, in Italia c’è un grave problema fascismo, e ovviamente a dirlo è la sempre più borghese sinistra.
In conclusione l’eredità politica del piccolo Partito Radicale e di tutta la sinistra, sia essa marxista o liberale, che vi si è accodata, è da ritenersi devastante, in quanto responsabile dell’attacco alla cellula fondamentale della società, ossia la famiglia. Dalla fine degli anni Sessanta, attraverso il Sessantotto, il femminismo, il divorzio in stile prevalentemente antipaterno e una generalizzata misandria si è minata la famiglia, trasformandola da ambito solidaristico a pura somma di individui contrattualmente vincolati sotto l’egida di uno Stato affetto da normazione ossessiva, che si ritirava sempre più dal pubblico e penetrava sempre più pervicacemente nel privato.
Di questo ultimo aspetto ne stiamo vedendo proprio in questi giorni, di lasciapassare verde, il clima divisivo serpeggiante tra vaccinati e non, proprio come in quel 1970 l’istituzione del divorzio polarizzò lo scontro tra i sessi e iniziò a diffondere l’instabilità dei rapporti, che da li a poco sarebbero divenuti sempre più labili.
Ancor più preoccupante è ciò che sta facendo capolino dietro la famigerata transizione verde, ossia gira e rigira, la solita e oramai decennale volontà di tentare di imporre sul suolo italiano le pericolosissime centrali nucleari; evidentemente i disastri di Černobyl’ e Fukushima a qualcuno continua ad insegnare poco.
Al di là della questione strettamente energetica, su cui è bene si esprima gente ben più competente di me, resta l’innegabile fatto che l’inquinamento radioattivo è inarrivabile (rispetto ad altre fonti energetiche) nel riuscire a condannare le popolazioni e le sue discendenze per tempi lunghissimi ad abbandonare i luoghi del disastro, che risultano di fatto “irrecuperabili in tempi umani”; a ciò vanno aggiunti i danni diretti a tutto ciò che è vivente da far rabbrividire; personalmente ritengo più gestibile un rischio certo ma basso di alcune fonti energetiche alternative al nucleare, rispetto ad una fonte, quale quella atomica, che seppur gravida di rischi meno probabili, in caso di disastri produce conseguenze abnormi e inaccettabili, soprattutto sotto il profilo umano.
Fonte: Arianna Editrice