Fu uno scrittore di origine scozzese, stravagante e immorale, omosessuale e pederasta dichiarato, John Henry Mackay, che lo trasse dall’oblio. Dopo aver fatto ritorno da un soggiorno a Londra, si diede a propagandare le tesi dell’anarchismo individualista ed elesse Max Stirner a suo fondatore e teorico tanto che, nel 1898, scrisse una biografia che ebbe un discreto successo e che forse rimane quella di una certa compiutezza, sebbene da alcuni criticata come agiografica.
In precedenza si aveva una caricatura, il suo profilo a matita ad opera di Friedrich Engels con dei versi ironici il cui autore probabilmente è Marx, che lo descrive intento a bere birra come se si trattasse di sangue degli odiati borghesi. I due apostoli del comunismo (nei pressi dell’Alexanderplatz, a Berlino, una brutta statua li raffigura, l’uno in piedi e l’altro seduto, in giacca cravatta e panciotto, inespressivi e massicci nella corporatura) s’erano accompagnati alla ‘sinistra hegeliana’, i cosiddetti ‘die Freien’(i liberi), che si incontravano da Hippel’s, birreria sulla Friedrichstrasse, unendo la filosofia a boccali di birra alla spina (del resto hanno in comune il gusto aspro dello spirito…). Fra costoro nomi già noti quali Ludwig Feuerbach e Bruno Bauer. Con quest’ultimo Marx aveva sostenuto la tesi di laurea, prima che perdesse la cattedra dopo che il nuovo sovrano di Prussia, bigotto, imponesse una restaurazione di tipo teologico (ad esempio, invitando, alla morte di Hegel, a reggere la cattedra Friedrich Wilhelm Schelling, già suo amico al tempo degli studi allo Stift di Tubinga e, successivamente, a Jena e trasformatosi in acerrimo avversario dopo la pubblicazione della Fenomenologia dello Spirito).
Nel 1845, pubblicando La sacra famiglia, i due Marx e Engels si scagliano contro Bauer, suo fratello e la loro cerchia, con ironia e maldicenza, poco filosofica (come evidenziava l’austero filosofo Rosenkranz, autore di una pregevole Vita di Hegel) ma di certo efficace – e, se si vuole, premessa di quella tecnica della demonizzazione tanto cara ai marxisti vecchi e nuovi –, inserendovi suo malgrado il ‘santo Max’. Testo che avrebbe trovato ampia e compiuta stesura ne L’ideologia tedesca, sebbene l’opera vide la stampa solo nel 1932. Qui Max Stirner occupa uno spazio in apparenza anomalo e a dismisura, una critica serrata e feroce, sovente rasentando l’insulto (in un primo momento Engels aveva letto L’Unico e la sua proprietà con una certa benevolenza prima che Marx ne cogliesse la pericolosità e imponesse la stroncatura), per un personaggio finito nell’oblio per decenni (è vero che Stirner li ripagava ritenendo e accusando come il trionfo da loro auspicato del comunismo aprisse le porte a ‘la società degli straccioni’ (cosa che, nel modello sovietico e dintorni sembra avergli dato ragione). Perché, dunque, tanto peso tanto livore tanto accanimento?
Johann Kaspar Schmidt, conosciuto con lo pseudonimo di Max Stirner (si dice che fin da studente questo fosse il sopranome con cui lo dileggiavano i suoi compagni per l’ampia fronte – chissà se ebbe mai a riflettere sulla strana coincidenza, egli anti-idealista assoluto e radicale, dispregiatore di ogni idea, che anche Platone portava lo stesso nomignolo?), aveva ottenuto la cattedra presso la scuola privata della signorina Gropius per ragazze dell’alta borghesia. Possiamo immaginare quanto quest’uomo dagli occhialetti tondi, sempre curato nei modi e nel vestire, dovesse sentirsi in una sorta d’aurea prigione fra fanciulle tutte pregiudizi ipocrisie buone maniere che arrivavano a scuola in carrozza e accompagnate dai domestici.
E come trovasse conforto in quella birreria dove le orecchie si nutrivano di parole idee concetti in contrasto fra loro, espressi da irruenti intellettuali in cerca di un radicalismo estremo e verboso e facendo a gara di chi fosse il più feroce dissacratore di Cristo della religione dello Stato e di quanto era stato il lascito filosofico di Hegel (costui tanto superiore e realista quanto loro astratti e chiacchieroni come dovette ammettere, tardivamente, Engels che pure aveva partecipato a spolparne il cadavere). Così, probabilmente, si disse, chiuso in se stesso, che egli conosceva la ricetta per collocarsi sull’estrema linea dell’orizzonte oltre il quale nessuno si sarebbe potuto spingersi. E scrisse L’Unico e la sua proprietà, magari su foglietti bagnati dall’ira sorda e dalla birra traboccata dal boccale, libro tanto al confine d’ogni filosofare che la censura prussiana lo ritenne innocuo e strampalato consentendone la pubblicazione. Al contrario, quando venne a sapere chi si nascondeva dietro quello ‘Stirner’, la signorina Gropius si preoccupò del buon nome della scuola e, senza esitazione alcuna, lo licenziò. Come, anni dopo, fece sua moglie, una femminista e libertaria, che in nome del libero amore se n’andò fra altrui braccia e nuove e più concrete speranze. Solo, non compreso, deriso, ridotto a vendere latte e scrivere qualcos’altro con poca fortuna e spessore. Poi il 26 giugno del 1856, a49 anni, forse per la puntura di un insetto, se ne andò al cimitero di Berlino, con il solo Bruno Bauer a star dietro la bara, sotto una pietra con il suo nome e rapidamente coperta dalle erbacce… in attesa di una postuma gloria…
Non crederete se dico che voglio bene a Stirner (quasi come a Nietzsche); che ho una storia personale da raccontarvi e su Mussolini e Gramsci; che non ho risposto al perché Marx tanto se l’era presa a male… ciò presuppone un secondo mio intervento, dunque? Abbiate fiducia… forse…
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